2019-09-25
Sbarcati gli immigrati della Viking. E ora dovremo tenerceli quasi tutti
Matteo Salvini attacca l'accordo trovato a Malta: «Contenti solo gli scafisti». Velenoso il premier: «Sei invidioso». Ma sul testo arriva il fuoco amico di Paolo Gentiloni («Serve prudenza») e Marco Minniti («Non vorrei ricredermi»). Giuseppe Conte si è perso nel labirinto libico. Il ministro Luigi Di Maio invita a bloccare le partenze e a pacificare il Paese nordafricano. Ma nel governo nessuno sa come fare e tra Fayez al Serraj e Khalifa Haftar non abbiamo ancora scelto. Lo speciale comprende due articoli. Come un cinese lungo la riva del fiume, Matteo Salvini da giorni aspettava sulla terraferma il vascello oceaonografico riconvertito a nobile causa. «Scommettiamo che, dopo più di un anno, la Ocean Viking sarà la prima nave Ong che entrerà in un porto italiano senza che nessuno si opponga?» chiedeva lo scorso 14 settembre. Domanda retorica. Ieri la Ocean Viking è attraccata al molo Norimberga di Messina con a bordo 182 migranti: e la maggior parte, spiega una fonte del Viminale alla Verità, potrebbe perfino rimanere in Sicilia. L'imbarcazione di Sos Mediterranee e Medici senza frontiere era in attesa da una settimana. Ma la decisiva autorizzazione del Viminale è arrivata domenica sera. Le cattive condizioni del mare avevano poi rallentato l'approdo. Fino alla mattina di ieri. L'epopea che ha accompagnato l'accordo di Malta finisce con un finale già scritto. A distanza di un anno dall'ormai antologica chiusura dei porti, una nave umanitaria tocca le sponde isolane. Negli ultimi dodici mesi, clandestini e richiedenti asilo venivano trasportati su motovedette della guardia costiera. Ma il nuovo corso impone solidarietà. È stato solennemente celebrato alla Valletta, dove i ministri dell'Interno di Francia, Germania, Italia, Malta e Finlandia hanno appena raggiunto una prima e zoppicante intesa per la «redistribuzione» automatica dei migranti salvati. E le esose multe del decreto Sicurezza alle Ong? Boh. E la miriade di stranieri giunti su barche e barchini? Si vedrà. La supposta collaborazione è stata comunque celebrata dal nuovo governo, con il distinguo di Luigi Di Maio. Il nuovo ministro degli Esteri avrà pure un inglese zoppicante. Ma ha lestamente imparato quanto sia popolare e trasversale la lotta all'immigrazione selvaggia. E viceversa. Da una parte, l'ultimo maxisbarco. Dall'altro, il dibattuto accordo maltese. La commistione di eventi ha scatenato una battaglia campale tra fazioni politiche. Apre il fuoco Salvini: «A me sembra una sòla, una fregatura. Gli unici contenti sono gli scafisti. Non so se il signor Conte se ne rende Conte...» ironizza. L'evocato Giuseppi non si tira indietro, buttandola un po' sul personale: «Salvini non deve avere gelosia e invidia. Abbiamo compiuto un passo in avanti storico, mai successo prima. Se si difende l'interesse italiano bisogna guardare al risultato, non a chi lo ottiene». La tenzone a distanza però prosegue. L'ex ministro dell'Interno verga una nota: «In un anno di governo ho ridotto gli sbarchi del 75 per cento, e in un solo mese di Pd-M5s gli arrivi sono aumentati». E, alla prova dei numeri, il leader leghista non mente. I numeri diffusi dal Viminale sono inequivocabili: dall'inizio del mese sono già approdati 1.719 migranti, a cui andrebbero aggiunti i 182 della Ocean Viking. Il doppio delle 947 persone sbarcate a settembre del 2018. «L'accordo di Malta» aggiunge Salvini «è solo l'ennesima promessa dell'Europa. Tante parole ma fatti zero, come in passato. Il premier Conte dovrebbe ricordarlo e mostrare rispetto per chi ha governato con lui per 14 mesi, contribuendo a strapparlo dall'anonimato. Se non sopportava me e la Lega, poteva dirlo subito». Il corollario è infine enunciato negli studi di Sky Tg24: «Gli italiani non sono scemi» assalta il leghista. «Stanno partendo più migranti, ne stanno sbarcando di più e ne stanno morendo di più. Conte ha riaperto i porti sulla base di promesse dell'Europa: forse, nei prossimi mesi, il dieci per cento di chi arriva verrà distribuito su base volontaria». È proprio questo il motivo del contendere. La bozza del patto è ora nelle mani delle cancellerie dell'Unione. E le prime indiscrezioni confermano i paventati timori: l'adesione, sarebbe infatti «totalmente volontaria» e non ci sarà «obbligatorietà» per i Paesi che decideranno di partecipare. «Dopo i proclami strombazzati sulla svolta europea arrivano ora “note" della Ue e dei nostri partner che smentiscono il governo italiano su tutta la linea» rintuzza Giorgia Meloni, leader di Fratelli d'Italia. «Nessun impegno, nessuna svolta, solo grosse pacche sulle spalle. Basta prese in giro, non consentiremo di trasformare l'Italia nel campo profughi d'Europa». L'affare s'ingrossa. Così a dar manforte a Conte e al ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese, arriva in corsa Matteo Renzi. Il leader di Italia viva, pur tra i distinguo, scrive su Twitter: «Dopo 15 mesi di assenza con Salvini, l'Italia è tornata al tavolo. E i primi risultati sono arrivati. Per cambiare le cose, serve serietà, non i proclami di Capitan Fracassa». Si riferisce ovviamente al leader del Carroccio, nella faticosa ricorsa al ruolo di primo antagonista. Perfino un altro ex premier dem, il placido Paolo Gentiloni, novello commissario europeo agli Affari economici, è costretto ad accorrere in soccorso: «L'intesa raggiunta a Malta per la ripartizione automatica dei richiedenti asilo è una novità positiva» spiega cautamente. «Essere prudenti è d'obbligo, vedremo modalità e Paesi disponibili, ma chi non vede la novità ignora la realtà dei fatti». E non può esimersi neppure Marco Minniti. Il predecessore di Salvini al Viminale malcela però perplessità: quello della Valletta è «solo un primo passo». E i peana governativi? «Ho sentito più volte usare aggettivi come storico» ammette Minniti. «Io invece voglio misurare le parole, per non dovermi poi ricredere». Capita l'antifona? Vai avanti tu Giuseppi, che a noi vien da ridere. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/sbarcati-gli-immigrati-della-viking-e-ora-dovremo-tenerceli-quasi-tutti-2640583958.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="conte-si-e-perso-nel-labirinto-libico" data-post-id="2640583958" data-published-at="1758063221" data-use-pagination="False"> Conte si è perso nel labirinto libico L'attenzione dell'Italia torna a concentrarsi sulla Libia. A intervenire sulla questione è stato a New York il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che ha dichiarato: «Faccio i complimenti a Lamorgese per l'accordo e la dichiarazione d'intenti sui migranti. Fatemi dire però che la redistribuzione dei migranti non è la soluzione al fenomeno migratorio. La risposta è il blocco delle partenze - per questo dobbiamo stabilizzare la Libia e su questo ci sarà un importante incontro copresieduto da Francia e Italia qui venerdì - e i rimpatri». Insomma, il capo della Farnesina frena gli entusiasmi sul recente accordo di Malta in materia migratoria e torna sostenere che il problema principale degli sbarchi sia rappresentato dalla caotica situazione libica. Il punto è che, al di là delle dichiarazioni estemporanee, non è ancora esattamente chiaro quale sia la strategia che il governo giallorosso voglia seguire in questo delicato scacchiere. E ciò vale soprattutto sotto due aspetti: quello della gestione migratoria e quello - più generale - della politica estera. Per quanto riguarda il primo fronte, non si comprende al momento come Di Maio concretamente voglia bloccare le partenze. Ci aveva provato il governo Gentiloni, che, nel 2017, aveva siglato un accordo con Fayez al Serraj: un patto che le Nazioni Unite definirono «disumano», in quanto avrebbe costretto i migranti ad essere rinchiusi in quelle che furono chiamate le «terrificanti prigioni» libiche. Quello che bisognerebbe quindi capire è se il governo Conte bis voglia oggi rispolverare la linea che fu di Marco Minniti: un'eventualità che potrebbe tuttavia determinare qualche malumore nell'attuale maggioranza di governo. Non solo alcuni esponenti dello stesso Pd sono notoriamente contrari a quell'approccio ma anche Matteo Renzi - a capo del nuovo gruppo Italia viva - ha più volte invocato ultimamente un orientamento morbido in materia migratoria. L'altro fattore da considerare è poi la politica estera. Con chi vorrà schierarsi il governo italiano nel complicato gioco delle alleanze geopolitiche sulla partita libica? Gentiloni, a suo tempo, aveva appoggiato Serraj, anche per venire incontro alla linea dell'allora segretario di Stato americano, John Kerry. L'esecutivo gialloblù aveva proseguito su questa rotta, in chiave tuttavia marcatamente antifrancese: non è del resto mai stato un mistero che Emmanuel Macron abbia sempre puntato sul rivale di Serraj, il generale Khalifa Haftar. Adesso sembrerebbe tuttavia che le cose possano cambiare. Con la linea filofrancese di questo nuovo governo, parrebbe infatti che Palazzo Chigi si stia facendo maggiormente ben disposto verso Haftar. Non sarà un caso del resto che Conte abbia avuto, proprio sul dossier libico, un bilaterale al Palazzo di Vetro con il presidente egiziano Al Sisi, storico sostenitore del generale, di cui condivide la linea dura contro i gruppi jihadisti. E il fatto stesso che Di Maio parli di «incontro copresieduto da Francia e Italia» sulla questione migratoria, la dice lunga. Per ora, Roma continua formalmente a sostenere Serraj ma riconosce in Haftar un interlocutore (soprattutto nel contrasto alle organizzazioni terroristiche). Insomma, il governo non sembrerebbe escludere un cambio di candidato, anche se non è detto che una simile eventualità possa risultare effettivamente conveniente. Puntare su Haftar presenta infatti almeno due rischi. In primo luogo, il pericolo è quello di appiattirsi eccessivamente sulle posizioni francesi, facendo perdere all'Italia ogni spazio di effettiva autonomia sulla questione libica. In secondo luogo, l'altro rischio è quello di scommettere su una figura che alla lunga potrebbe rivelarsi un fallimento. Nonostante la nomea di «uomo forte della Cirenaica», il generale è tutt'altro che un genio della strategia militare. Non solo la sua offensiva, partita ad aprile scorso, ha finora prodotto ben pochi risultati. Ma anche nella guerra contro il Ciad, alla fine degli anni Ottanta, non è che abbia dato grande prova di sé.