2022-02-28
Augusto Cosulich: «Sanzioni ed energia. La guerra la pagano le imprese italiane»
Il colosso del trasporto navale ha imbarcazioni ferme a Mariupol. «Mosca fuori dallo Swift? Ricadute enormi su cittadini e aziende».Augusto Cosulich, presidente e amministratore delegato dell’omonimo gruppo, si occupa da anni di trasporto navale. I Cosulich sono «proprietari di navi, spedizionieri, agenti marittimi, trasportatori», ci riferisce lui con orgoglio. «La società ha registrato, l’anno scorso, un miliardo e mezzo di fatturato; del gruppo fanno parte altre 105 società e, complessivamente, diamo lavoro a 2.000 persone». Un pezzo dell’attività, l’imprenditore genovese, lo svolge anche in Ucraina. E lui si trovava proprio lì, poche ore prima che scoppiasse la guerra che sta insanguinando l’Europa orientale: «Ho avuto la fortuna di prendere l’ultimo volo rimasto», ha raccontato, incredulo, al Piccolo di Trieste. «Abbiamo una partnership molto importante con la Metinvest, una delle più grosse acciaierie del mondo», spiega Cosulich alla Verità. «Abbiamo comprato già tre navi, che abbiamo dato a noleggio a loro. E stavamo progettando l’acquisto di altre tre, per il trasporto di prodotti siderurgici da Mariupol verso l’Adriatico».Adesso, Mariupol, che si trova nella regione di Donetsk, è sotto l’attacco dei russi. «Abbiamo delle navi bloccate lì, le attività portuali sono sospese. Soprattutto, è chiuso lo stretto di Kerc e quindi le imbarcazioni non possono uscire».Quali sono le ricadute economiche del conflitto? Se le vostre navi sono ferme, cosa succede?«S’innesca un effetto domino sulle imprese della filiera».Voi quanto perdete?«Ancora non si può dire con certezza. Se la guerra finisce domani è un conto, se dura mesi un altro».È preoccupato?«Guardi, noi siamo imprenditori e ci adattiamo a tutto. Io sono cavaliere del lavoro, ho 68 anni e ne ho passate tante, di situazioni difficili. Alla fine, abbiamo sempre trovato la quadra».Quale potrebbe essere, in questo caso, la quadra?«Be’, se una nave non passa da una parte, passerà da un’altra. Esistono anche altri mercati. Il settore ucraino vale il 2-3% del nostro fatturato».Ha detto che ne ha passate tante. A che si riferiva?«Per anni abbiamo lavorato con l’Iran. Poi sono arrivate le sanzioni e abbiamo dovuto chiudere ogni rapporto. Ma noi siamo molto eclettici».E se voleste tenere in piedi il business in Ucraina?«Sarebbe dirimente che il conflitto durasse poco». Andrebbe bene anche un governo fantoccio, eterodiretto da Mosca?«Tecnicamente sì. La politica non ci interessa; ci interessa lavorare. Certo, ci dispiace per il popolo ucraino e per le sue sofferenze. Non esistono solo gli affari».Lei era nel Paese fino a pochi giorni fa. Che aria tirava?«In realtà, era tutto tranquillo».Il popolo non si aspettava la guerra?«Ovviamente c’era tensione, ma nessuno pensava a un attacco immediato, specialmente su Kiev».Si parla dell’esclusione della Russia dal sistema Swift: avrebbe ripercussioni enormi sulle aziende italiane, no?«Questo sì, ma non solo per le aziende: per tutti i cittadini. Se escludiamo la Russia dal sistema Swift, come lo facciamo il bonifico per pagare il gas?».In teoria, con una esclusione selettiva, che tenga in piedi i rapporti con Gazprom. Alla sua azienda, il gas russo serve?«Be’, l’energia la consumiamo e la bolletta ci arriva...».E con la bolletta come va?«I rincari sono importanti. Tra il 10 e il 30% in più».Se la sua impresa paga bollette più alte, al consumatore finale del prodotto cosa succede?«C’è un’ovvia ricaduta sul prezzo di tutti quei prodotti che vengono fabbricati con materiali siderurgici: automobili, lavatrici, vari elettrodomestici...».Alla Tgr Friuli Venezia Giulia, lei ha spiegato che uno dei contenitori che trasporta dall’Asia al Mediterraneo, due anni fa, costava 2.000 euro. Oggi, ne costa 14.000.«Esatto, ma non a causa della crisi russa: in questo caso, la colpa è della pandemia».Ci spieghi.«È un’applicazione della classica legge della domanda e dell’offerta. C’è stata scarsità di navi, a fronte di un inatteso aumento dell’import in Italia e in Europa. Le industrie, infatti, durante la pandemia, sono andate alla grande».Scusi, non c’è stata la recessione?«Certo: le cose sono andate malissimo per quei poveretti delle tabaccherie, dei ristoranti, delle palestre... Ma l’industria ha guadagnato un sacco di soldi, nel 2021. E a causa della scarsità di navi e di autisti, c’è stato un aumento sensibile del costo della logistica».Adesso, i camionisti stanno protestando per il caro carburanti.«Noi abbiamo una società di camion, ne abbiamo oltre 100». E com’è il quadro?«Il problema principale è che mancano gli autisti».Perché?«Nessuno vuole più fare questo mestieri. Quindi, bisogna pagare di più gli autisti, con aggravio di costi che si somma agli aumenti del gasolio. E, come se non bastasse, è diventato difficile farsi consegnare i mezzi».In che senso?«Compri un camion oggi, ti arriva dopo otto mesi, sempre per effetto della pandemia: aumento delle materie prime, intoppi della logistica e l’industria fatica a tenere la produzione al passo con la domanda. È tutto un circuito: c’è tantissimo lavoro, tutti pagano di più, però è anche vero che c’è una netta ripresa e, inoltre, attendiamo i soldi del Pnrr».Una nota di ottimismo incoraggiante, vista la congiuntura storica.«Eh, ora c’è l’incognita della guerra. Boh... Non le so dire cosa succederà. Sarà una guerra lampo? Durerà? Dovremo comunque adattarci... Non si può mai stare tranquilli».L’indipendenza energetica farebbe comodo alle imprese?«Non solo alle imprese, a tutto il Paese. D’altronde, la dipendenza dal gas russo non è solo un problema dell’Italia: la Germania ha guai simili, un blocco definitivo del Nord stream 2 sarebbe un dramma».Che ne pensa del nucleare?«Un nucleare pulito e sicuro può essere sicuramente un’alternativa utile. Poi si figuri, adesso parlano addirittura di rimettere in funzione le centrali a carbone...».La chiamavano «transizione ecologica»... Le sue navi sono a prova di «green»?«Abbiamo già fatto investimenti in questa direzione. Molte delle nostre navi non saranno più rifornite con bunker fuel, ma con gas. Abbiamo ordinato in Cina due mezzi a questo scopo: ci sono costate 45 milioni di dollari».Mica lo comprerà in Russia, il gas?(Risata) «No, no. Lo possiamo andare a prendere, ad esempio, in Brasile. Lo trasportiamo liquefatto e poi lo ritrasformiamo nel rigassificatore di Livorno».E questa è una delle note dolenti nella crisi ucraina: la scarsità di rigassificatori, che impedirebbe all’Italia di sostituire il gas russo con lo shale americano.«Esatto. Ce ne sono solo due. Spero che con i fondi del Pnrr ne realizzino degli altri». Gli imprenditori hanno timore che la Cina, ingolosita dalla reazione titubante dell’Occidente in Ucraina, occupi Taiwan? Lì sorgerebbe il problema degli approvvigionamenti di semiconduttori.«Sì, Pechino potrebbe pensare: “Se l’ha fatto Putin, posso farlo anche io”. È un problema, in effetti: ad esempio, tra le cause dei ritardi nella consegna dei camion, c’è pure la scarsità di chip».Ci vorrebbe un Occidente più «muscolare»?«Bisogna riconoscere che in questo mondo tutto è diventato possibile. E capisco il dilemma dei nostri governanti, ad esempio sulla questione delle sanzioni alla Russia, che alla fine rischiano di ritorcersi contro di noi. Sono situazioni in cui nessuno vince».Insomma, è più allarmante il conflitto ucraino in sé, o lo sono di più le potenziali conseguenze delle sanzioni?«Entrambe le cose in egual misura. Noi non siamo attivi su quel mercato, ma molti imprenditori non potranno più lavorare con la Russia. E il giro d’affari, tra import ed export, vale miliardi. Ma lo stesso vale per l’Ucraina: a livello di interscambio con Kiev, l’Italia è il terzo Paese europeo, dopo Polonia e Germania. Non ci siamo solo noi, che trattiamo i prodotti siderurgici: c’è il grano, c’è l’industria aerospaziale...». Citava il Pnrr. Lei ha fiducia? O sbagliamo a considerarlo una panacea?«Ho fiducia. Confido nella transizione energetica e nella digitalizzazione. E anche sul miglioramento delle città. Ovviamente, tutto dipende da come verranno spesi i soldi. Ci sono, speriamo che li usino bene».
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