2022-08-10
Sanità pubblica distrutta dai governi. «Problemi? I tagli, non la pandemia»
I medici della Cimo-Fesmed snocciolano: «Negli ultimi 10 anni 111 ospedali e 113 Ps chiusi; 37.000 posti letto eliminati; migliaia di sanitari in meno; 2,5 milioni di ricoveri saltati e 283 milioni di prestazioni non erogate».I candidati alle politiche devono formulare impegni precisi sul fronte sanità. A chiedere programmi elettorali vincolanti, non vuote promesse, sono i medici della Federazione Cimo-Fesmed a cui aderiscono i sindacati Anpo-Ascoti, Anmdo e Cimop. Quindi anche ospedalieri, primari, odontoiatri, veterinari. Lo fanno con numeri alla mano, una conta in perdita destinata solo a peggiorare. «Negli ultimi 10 anni, nonostante continui proclami a difesa della sanità pubblica, governi di tutti i colori l’hanno falcidiata, lasciando campo sempre più aperto ai privati: 111 ospedali e 113 Pronto soccorso chiusi; 37.000 posti letto tagliati; migliaia di medici e professionisti sanitari in meno; 2,5 milioni di ricoveri non effettuati e 283 milioni di prestazioni non erogate», elenca a nome di tutti Guido Quici, presidente della Federazione. Una drastica e scellerata riduzione, cui tenta di porre rimedio un personale che continua a lavorare a fronte di carenze di organici. Ma qualcuno ha la volontà di fermare questo scempio di risorse, chiede il presidente? «Quantomeno, si intende tutelare o meno lo status quo?». Incalza: «E se sì, in che modo, considerata la gara in atto tra chi promette di abbassare maggiormente le tasse, e quindi i contributi per servizi pubblici essenziali come la sanità, le scuole, i trasporti?». Allo stato attuale, non c’è alcuna volontà manifesta di frenare l’impoverimento delle nostre strutture sanitarie e l’appello che arriva dal sindacato dei medici risulta un chiaro ultimatum. O si finisce di tagliare (37 miliardi di euro dal 2010 al 2019 l’operato nefasto dei governi che si sono succeduti) e vengono disposti investimenti seri, non di facciata, o l’assistenza ai malati sarà sempre più a rischio. Già la situazione è esplosiva negli ospedali di tutta Italia, dove manca il personale perché positivo al tampone «sono circa il 20% gli attuali contagiati», segnala Cimo-Fesmed, o perché sospeso in quanto non vaccinato. Il sovraccarico di lavoro grava su medici, infermieri, sui cittadini che si rivolgono alle urgenze o che hanno bisogno di visite specialistiche. «Il sistema di cure pubblico è in stato comatoso e in prognosi riservata», lo definisce il sindacato medici in una nota di pochi giorni fa. Terminata la stagione degli applausi per l’abnegazione mostrata durante la pandemia, nessun intervento è stato fatto a favore della categoria. Sarebbe bastata la defiscalizzazione del lavoro straordinario come gesto di riconoscimento e «di scarso impegno economico», accusano i camici bianchi. Collassano i Pronto soccorso, non certo per ricoveri Covid ma perché mancano circa 4.200 medici, secondo i dati Simeu, la Società italiana di medicina d’emergenza urgenza. Nel frattempo, la riforma della medicina del territorio e quella della dei medici di famiglia sono ferme alle vacue parole del ministro della Salute, Roberto Speranza. «Tra le questioni aperte va ricordato che alla base del successo di qualunque sistema di assistenza sanitaria territoriale non può non trovarsi un ruolo della medicina di base coerente con il disegno complessivo dei servizi», scrive l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) nel documento del 3 agosto dal titolo Il Pnrr e la sanità: finalità, risorse e primi traguardi raggiunti. Invece mancano all’appello anche i medici di base che vanno in pensione (se ne prevedono 35.200 entro il 2027), abbandonano il posto o non rispondono ai bandi regionali. Nella sola Emilia Romagna servirebbero 3.000 dottori, ma ne manca il 10% e a Bologna sei posti su dieci sono vacanti. In Veneto, da 3.100 medici di famiglia si è scesi a 2.884 per via dei pensionamenti, ci sono 570 sedi vacanti ed entro il 2026 se ne andranno altri 800. In Lombardia dopo l’ultimo bando per le zone carenti che è stato chiuso il 14 luglio, mancano ancora oltre 200 medici di famiglia tra Milano e Lodi. «Tra 2019 e 2024, tra pensionamenti e dimissioni volontarie, stima la ragioneria dello Stato, si potrebbe sfiorare un’uscita complessiva di 40.000 medici. Tra i medici di famiglia in due anni sono previste 6.318 uscite su 35.000 effettivi», riporta l’Anaao, l’associazione dei medici dirigenti. Senza medico di base, privato di prevenzione e cura, il cittadino può solo rivolgersi al sistema dell’emergenza urgenza «che necessita di una riorganizzazione radicale», sottolinea Cimo-Fesmed, «ma cinque disegni di legge rimangono custoditi in cassetti del Parlamento». «Resta il dubbio che le risorse concesse per il Sistema sanitario nazionale non siano sufficienti a coprire tutti i nuovi impegni attesi», la prende alla larga l’Upb, elencando tra le carenze la «mancata valutazione delle spese per acquisti di beni e servizi», così pure «la limitata dotazione di personale per le terapie intensive» e che «particolarmente critico appare il caso dell’assistenza domiciliare, una volta che i finanziamenti del Pnrr saranno esauriti». Un collasso più che annunciato.
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