2019-08-12
Sanità: il business delle cause ai medici
Fioriscono le agenzie e gli studi legali che sollecitano i pazienti a farsi risarcire per casi di malasanità. Avviare il contenzioso costa anche 50.000 euro. Ma i malati vincono solo 5 volte su 100. Sempre meno compagnie disposte ad assicurare i camici bianchi. Ogni denuncia comporta spese elevate anche se alla fine il giudice darà torto ai malati. «Un arbitro per risolvere i dissidi». Il consulente per i diritti dei dottori Francesco Del Rio: serve un nuovo organismo libero e indipendente. «Un gruppo di esperti che decida entro sei mesi e faccia risparmiare le parti». Lo speciale comprende tre aticoli. Un business da quasi 2 miliardi all'anno. Ecco che cosa c'è dietro il fiorire di studi legali specializzati e di agenzie che sollecitano i pazienti a chiedere fantomatici e astronomici risarcimenti per errori medici. Fantomatici sì, perché, di fatto, quelli importanti arrivano davvero di rado. A fronte di una spesa che varia tra i 30.000 e i 50.000 euro per intentare una causa civile contro un medico o una struttura sanitaria, soltanto una piccola parte di queste va a buon fine. Al contrario, il 95% dei procedimenti penali per lesioni personali colpose si conclude, dopo anni, con un proscioglimento, mentre le transazioni extragiudiziali, certamente più frequenti, finiscono per coprire di poco le spese legali sostenute da chi ha tentato l'impresa. Insomma, fare causa a un medico non si rivela quasi mai un affare tranne che per i professionisti di questo ambito legale, che le parcelle le incassano comunque, anche se la causa giudiziaria non dovesse chiudere con un successo. Non è un caso che il numero di sedicenti esperti nel settore sia cresciuto negli ultimi mesi a dismisura, con pubblicità e spot promozionali sempre più aggressivi. Questo fenomeno ha costretto molti seri professionisti del settore a mettere le mani avanti. «A differenza di finte associazioni e società senza scrupoli promettiamo ai nostri clienti massima serietà e trasparenza, sia negli accordi presi che nelle possibilità di vittoria», sono costretti a specificare i più quotati studi legali nelle home page dei loro siti Web. Eppure, le cause continuano a crescere. Nel 2013 una commissione parlamentare d'inchiesta dedicata alla questione degli errori sanitari aveva stimato 300.000 contenziosi giacenti nei tribunali italiani esclusivamente dedicati al tentativo di ottenere ragione di un danno subito in ambito sanitario. Un numero spropositato al quale ogni anno si aggiungono circa 35.000 nuove azioni legali, molte delle quali arrivano dal Mezzogiorno d'Italia. Dalle regioni del Sud, infatti, giunge quasi la metà delle cause (44,5%) del totale. Al Nord la percentuale scende invece al 32,2% mentre al Centro si ferma al 23,2%, secondo i dati dell'Osservatorio Sanità, Ania, Marsh Risk Consulting. Le aree di operatività maggiormente a rischio di contenzioso sono quella chirurgica (45,1% dei casi) e in particolare nell'ortopedia, quella materno-infantile (13,8%) e quella della medicina generale (12,1%). Per un risarcimento medio con una richiesta da 100.000 euro, la causa civile ha un costo dai 30.000 ai 50.000 euro. Se si tratta di una causa penale, invece, sono necessari in media 35.000 euro. Le somme sono stabilite nella «Determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense» riferita a una legge del 2012 (articolo 13 comma 6 della legge 31 dicembre 2012 n. 247 aggiornati al DM n. 37 dell'8 marzo 2018). Prima di intentare causa civile la normativa prevede il tentativo di conciliazione tra le parti per il quale, a seconda del valore economico della controversia, il legale può richiedere una cifra che si aggira attorno agli 8.000 euro. Vanno aggiunte le spese vive (marche da bollo e tasse del tribunale che variano a seconda dell'importo risarcitorio), che si aggirano di solito intorno ai 3.000 euro. Una modalità corretta di approcciare la questione economica da parte dei legali è parametrare il costo della causa al suo valore, stabilendo una percentuale, nel rispetto della normativa deontologica, che non copre tuttavia il paziente dal rischio di dover sostenere importanti spese. Una causa con giudizio ordinario può durare fino a 5 anni ma secondo le assicurazioni il rimborso entra nelle tasche del paziente dopo circa 9 anni di attesa. Il procedimento è complesso: il primo step è l'invio di una diffida stragiudiziale dove l'interessato espone i fatti oggetto della questione e sostanzialmente segnala alla struttura la sua volontà di agire. Nel caso in cui la struttura non risponda, il cliente può depositare un ricorso e chiedere un accertamento tecnico preventivo relativo ai fatti segnalati, oppure rivolgersi a un consulente e chiedere l'avvio di un giudizio di merito. Quello che in ogni caso deve essere accertato, stabilisce la legge, sono le «condizioni di salute del periziando, i danni riportati e, soprattutto, il collegamento causale tra la condotta della struttura sanitaria e i danni riportati dal paziente». Prima di depositare la relazione tecnica il consulente tenta la conciliazione fra le parti: questo tipo di procedimento, infatti, deve essere sottoposto obbligatoriamente a questo istituto, disciplinato da un decreto legislativo del 2010, che dovrebbe alleggerire i carichi pendenti negli uffici giudiziari. Se la conciliazione non riesce, la relazione assumerà valore di prova documentale e ciascuna parte potrà chiederne l'acquisizione nel successivo giudizio di merito. Terminato l'iter obbligatorio del tentativo di conciliazione, se non si arriva a un accordo tra le parti, si passa allora al giudizio ordinario (che però allunga i tempi, e quindi anche le spese). Esso «prende avvio mediante la notifica di un atto di citazione e la successiva iscrizione a ruolo e si svolge come un normale giudizio civile e, pertanto, si conclude con un provvedimento di natura decisionale, con condanna alle spese della parte soccombente. La durata media del giudizio ordinario varia dai tre ai cinque anni». «Il 78,2% dei medici ritiene di correre un maggiore rischio di procedimenti giudiziari rispetto al passato», si legge nel rapporto dell'Osservatorio Sanità. Il 68,9% pensa di avere 3 probabilità su 10 di subirne; il 65,4% ritiene di subire una pressione indebita nella pratica quotidiana a causa della possibilità di subire un processo. La pressione si aggiunge alle altre che i camici bianchi subiscono nel nostro Paese, soprattutto durante il periodo di formazione: il numero chiuso nelle facoltà, l'imbuto formativo dovuto alla carenza di posti per le scuole di specializzazione e il progressivo pensionamento dell'attuale classe medica. Per questi motivi, secondo dati Enpam-Eurispes, tra il 2010 e il 2015 oltre 10.000 camici bianchi hanno «messo lo stetoscopio in valigia e sono andati all'estero». Ad accendere la polemica sulla questione, sempre calda, delle cause e dei rimborsi e a dare la misura dell'importante giro d'affari che si alimenta alle spalle di una questione tanto delicata come la salute pubblica, è stato un articolo pubblicato, lo scorso luglio, su una rivista online dal titolo «Come si denuncia un medico? Guida pratica per denunciare e ottenere il risarcimento danni», contro il quale si sono scagliati i medici. «Prima di procedere alla denuncia, specifichiamo che si tratta di una procedura da avviare solo in caso di gravi mancanze e che abusarne sarebbe un elemento che può andare alla lunga a incidere sul fondamentale rapporto di fiducia tra medico e paziente nella sanità generale», premette la guida per pazienti insoddisfatti, prima di elencare le modalità di azione. «Per provare il fatto occorre avere a disposizione delle prove idonee a dimostrare la presenza di un palese ed evidente errore di valutazione da parte del medico o un comportamento negligente e contrario al regolamento deontologico», si legge nell'articolo. «Si potranno utilizzare cartelle cliniche, lastre, risultati di analisi e terapie mediche, fatture delle spese mediche effettuate e ogni altro tipo di documento idoneo a dimostrare l'inadeguatezza delle cure a cui si è stati sottoposti» e «una volta fornite le prove, le autorità competenti, coadiuvati da tecnici ed esperti, procederanno alla valutazione del rapporto di causa-effetto tra il supposto caso di malasanità e il danno subito». Nel marzo 2017 è stata approvata la prima legge sulla responsabilità sanitaria: 18 articoli che dovrebbero preservare i medici rendendo più semplice ottenere risarcimenti da parte delle strutture sanitarie piuttosto che dai medici che ci lavorano. Per far valere i propri diritti con gli ospedali, infatti, il paziente ha più tempo (10 anni dal danno subìto) e ha un onere della prova in parte più leggero. Non serve dimostrare completamente il nesso di causa ed effetto, ma basta dimostrare di aver subìto il danno alla salute. Lo scopo della norma sarebbe tentare di contenere il fenomeno della «medicina difensiva», un contraccolpo dovuto all'eccessiva pressione che, di nuovo, il paziente finisce per pagare. Il dottore ha paura di essere denunciato e quindi evita interventi rischiosi, seppur necessari o, ancora più frequentemente, sottopone il paziente a una serie di esami evitabili e costosi, con l'intento esclusivo di tutelarsi da eventuali cause. Le pratiche dovute alla medicina preventiva generano spreco di 10 miliardi di euro all'anno. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/sanita-il-business-delle-cause-ai-medici-2639773027.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="sempre-meno-compagnie-disposte-ad-assicurare-i-camici-bianchi" data-post-id="2639773027" data-published-at="1758023220" data-use-pagination="False"> Sempre meno compagnie disposte ad assicurare i camici bianchi Troppe cause e poche assicurazioni disponibili. C'è anche questa tra le difficoltà da affrontare per chi vuole intraprendere la carriera di medico. Davanti ai numeri importanti delle azioni giudiziarie intentate per danni da parte dei pazienti, a prescindere dal loro esito (che raramente è sfavorevole ai camici bianchi), le compagnie assicurative sono sempre più restie a offrire servizi in questo settore. Secondo i dati forniti da Ania (Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici), nel 2018 i premi versati per il totale del comparto sono stati pari a 613 milioni di euro e rappresentano quasi il 15% del totale del ramo assicurativo generale. I premi sono «aumentati del 4,8% rispetto all'anno precedente, in particolare in relazione ai sanitari che operano nelle strutture private, quelle più colpite dalle cause e dalla richiesta di danni», spiegano gli esperti. «Il volume dei premi delle strutture sanitarie pubbliche, pari a 265 milioni, è risultato in lieve diminuzione (-2,5%) rispetto al 2017», mentre «quello relativo alle strutture sanitarie private, con un volume di quasi 115 milioni, è risultato per il quarto anno consecutivo in crescita (+19,3%)», così come sono aumentati anche «i premi relativi alla copertura del personale sanitario, pari a circa 233 milioni, che hanno registrato un deciso incremento (+7,7%)». Ma se la maggior parte delle cause non rileva il nesso di causa ed effetto tra le azioni mediche e lo stato di salute dei pazienti che sollevano il contenzioso, perché non conviene assicurare? «Il primo elemento tecnico che si considera per valutare la rischiosità di un settore è quantificare il numero di sinistri che ogni anno vengono denunciati alle compagnie di assicurazione», spiegano ancora gli assicuratori. Questo a prescindere dal risultato e dagli esiti finali delle denunce. Intavolare un procedimento anche solo per arrivare a una conciliazione è comunque costoso per una società di assicurazioni. Nel solo 2018 sono stati registrati circa 18.000 sinistri «di cui 5.300 relativi a polizze stipulate dalle strutture sanitarie pubbliche, oltre 3.200 relativi a polizze stipulate dalle strutture private e poco più di 9.500 relativi al personale sanitario», sostiene ancora Ania. Secondo i dati raccolti dal comparto delle assicurazioni private nel periodo tra il 2010 e il 2018, il numero dei sinistri denunciati per il totale della responsabilità civile medica si sono quasi dimezzati: nel 2010, infatti, venivano denunciati quasi 33.000 sinistri rispetto ai 18.000 del 2018. Che cosa è successo, dunque? che le strutture sanitarie pubbliche, almeno in parte, sono uscite dal perimetro delle coperture assicurative e della stipula di polizze spesso molto onerose a favore di forme di auto-ritenzione del rischio, attraverso una sorta di auto-assicurazione, alla quale però a oggi risultano aver aderito soltanto Toscana, Liguria ed Emilia Romagna. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/sanita-il-business-delle-cause-ai-medici-2639773027.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="un-arbitro-per-risolvere-i-dissidi" data-post-id="2639773027" data-published-at="1758023220" data-use-pagination="False"> «Un arbitro per risolvere i dissidi» «La petizione ha raccolto decine di migliaia di firme: solo istituendo l'Arbitrato della salute si può interrompere questa spirale tra di odio tra medici e pazienti che non giova a nessuno». La pensa così Francesco Del Rio, avvocato civilista consulente del gruppo Consulcesi, società di consulenza che tutela i diritti legali dei medici e riferimento per il mondo medico sanitario. Che cos'è l'Arbitrato della salute? «Un organismo libero, indipendente e imparziale. L'obiettivo è che venga istituito per legge come organismo capace di recepire e di trattare tutte le istanze che riguardano l'intera attività sanitaria, pubblica e privata». Un sistema alternativo ai classici percorsi giudiziari? «L'obiettivo sarebbe trovare in tempi rapidi ed economici, soluzioni realmente condivise e praticabili». Oggi non è così? «I risultati delle statistiche giudiziarie ci dicono di no». E in che modo sarebbe possibile? «Dandosi tempi precisi, con un massimo di 180 giorni per ogni pratica e valutando le istanze esclusivamente alla luce della documentazione prodotta dalle parti, ricorrendo a consulenti esperti dotati di comprovate competenze tecnico-specialistiche». Insomma, un pool di tecnici al posto di tanti avvocati… « Più precisamente: medici legali altamente specializzati e appositamente formati anche per la conciliazione attraverso percorsi specifici». E quali sarebbero i vantaggi? «La chiarezza, la celerità e i costi». Meno spreco di denaro? «Sì, anche perché la rapidità della procedura andrebbe a incidere sui compensi dei professionisti coinvolti e non sarebbe più strettamente necessario ricorrere al tramite di un legale per accedere all'Arbitrato». E se la trattativa non dovesse andare a buon fine? «Il paziente sarebbe libero di proseguire per via giudiziaria, ma ciascuna delle parti, se vorrà proseguire, dovrà responsabilmente spiegare le ragioni del proprio dissenso rispetto alla proposta conciliativa non accettata». E il materiale raccolto? «Non sarebbe più utilizzabile, per tutelare, è ovvio, la funzione degli avvocati di parte». Una sorta di tribunale minore a cui rivolgersi per fare pace. Ma in quali casi? «Si potrebbe ricorrere all'organismo dell'Arbitrato della salute per risolvere qualsiasi controversia riguardante lo svolgimento dell'intera prestazione lavorativa compiuta da persone che esercitano la professione sanitaria a favore di strutture pubbliche o private, compresa ogni possibile istanza di “malpractice" a danno di pazienti o persone comunque in cura presso le strutture». Si ipotizza un collegio giudicante: come dovrebbe essere composto? «In modo rappresentativo di tutte le parti. Il presidente dovrebbe essere scelto fra i magistrati in stato di quiescenza, dovrebbe esserci un membro designato dal ministero della Salute, uno dall'ufficio del difensore civico, un altro dalle associazioni rappresentative della cittadinanza e ancora uno dagli ordini professionali, dalla struttura interessata dalla richiesta di danni e uno dall'Ania in rappresentanza delle assicurazioni».
Lo ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo in occasione del suo incontro con il premier greco Kyriakos Mitsotakis.