Salvini incontra la Le Pen. L’asse sovranista è pronto per la presa di Bruxelles

- Il vicepremier: «La sinistra ormai ha più banchieri che operai, ai precari penseremo noi». Marine: «A maggio daremo nuovi valori all'Unione».
- Il presidente della Camera Roberto Fico vede Pierre Moscovici e invita alla calma nel dialogo con l'Ue. Nello stesso momento, Jean Claude Juncker parla di «populisti stupidi» riferendosi ai membri dell'esecutivo M5s-Lega.
Lo speciale contiene due articoli.
Chi può dirsi certamente soddisfatto della giornata è Paolo Capone, segretario generale dell'Ugl, davanti al muro di telecamere arrivate (non solo dall'Italia) per la conferenza organizzata dalla sua sigla sindacale con Matteo Salvini e Marine Le Pen.
Un successo mediatico e anche un forte elemento simbolico: tutto avviene infatti a via delle Botteghe Oscure, a pochi passi da quella che per decenni è stata la sede della «chiesa» comunista italiana.
Tra Salvini e la Le Pen il tandem è affiatato: ma dal 4 marzo è cambiato il ciclista che sta davanti. Per molti anni, i leghisti italiani avevano guardato alla Francia come punto di riferimento: ora si sono invertite le parti, nel senso che la case history da studiare è quella di Salvini, che al governo del suo Paese è arrivato davvero.
Sui contenuti la sintonia è forte: «Condividiamo la stessa idea di Europa, agricoltura, lavoro, lotta all'immigrazione. Abbiamo in comune con Marine valori, principi, coerenza, orgoglio: a maggio avremo la rivoluzione del buon senso», ha esordito Salvini. Il quale ha rivendicato la volontà di farsi carico di un patrimonio abbandonato dalla sinistra: «Non penso a un'Ue senza regole, ma che investa sul lavoro, non schiava dello zero virgola, che non risparmi sui diritti sociali. Io e la Le Pen stiamo raccogliendo l'eredità sociale di una sinistra che ha tradito i suoi valori. Noi difendiamo i precari che la sinistra ha dimenticato: nelle loro sedi ci sono più banchieri che operai».
E la Le Pen ha rincarato: «L'Ue ha calpestato i valori della solidarietà. A maggio riusciremo ad arrivare a un'Unione che parta da nuovi valori contro la mondializzazione».
Crociata antimondialista (più della Le Pen che di Salvini) a parte, l'aspetto politicamente più interessante è l'annotazione di Salvini su un'Europa che deve essere capace di rispettare le differenze nazionali. Sembra finalmente un attacco al cuore della linea sostenuta in questi anni da Ppe e Pse, tutta basata su una maggiore centralizzazione delle decisioni a Bruxelles, su una specie di pilota automatico in economia da imporre a ventisette Paesi diversissimi (dalla Finlandia al Portogallo, dalla Germania alla Grecia), e su un'assurda idea di una uniformità che - nelle intenzioni degli euroentusiasti - avrebbe dovuto portare alla creazione di un ministro delle Finanze unico e a una totale omogeneizzazione fiscale.
È proprio la critica a questa gabbia che potrebbe incoraggiare una qualche forma di dialogo tra realtà diverse: non solo i sovranisti, ma anche i britannici in uscita dall'Unione europea dopo Brexit, gli euroscettici conservatori e liberali del gruppo Ecr, e pure la parte del Ppe meno soddisfatta del sodalizio con il Pse.
A ben vedere, il punto di coesione potrebbe essere non l'uscita dall'euro (che anche ieri Salvini ha tolto dal tavolo), ma la necessaria stesura di nuove regole improntate al rispetto delle diversità nazionali.
Quello che invece è meno chiaro (ma è naturale: siamo ancora nella prima metà di ottobre, mentre le elezioni europee sono in calendario il 26 maggio) è la tattica elettorale. Che faranno i sovranisti?
Saranno in grado da subito di esprimere uno Spitzenkandidat (una sorta di supercapolista comune già candidato alla guida della futura Commissione europea), oppure preferiranno cogliere successi elettorali paese per paese e poi, a elezioni avvenute, cercare alleanze nel nuovo Parlamento europeo?
Dall'altro lato dell'emiciclo, nel centrosinistra, Emmanuel Macron punta a un'alleanza tra il suo movimento En marche, i vari partiti di sinistra raccolti nel Pse, con in più la stampella dell'Alde (egemonizzata dal belga Guy Verhofstadt, schiacciatissimo sulla linea francotedesca). Il vero rebus è cosa farà il Ppe, spaccato come una mela tra i sostenitori della coalizione con il Pse e quelli che invece (l'ungherese Viktor Orbán e l'austriaco Sebastian Kurz) puntano a un'alleanza alternativa. Sul lato del centrodestra, si tratta di capire se, Ppe a parte, i gruppi saranno uno o due (sovranisti da un lato, e conservatori euroscettici Ecr dall'altro).
Tornando a Salvini e Le Pen, il loro bersaglio è chiarissimo: «Siamo contro i nemici dell'Europa che sono Juncker e Moscovici, chiusi nel bunker di Bruxelles». E a stretto giro di posta, è arrivata la risposta greve di Juncker: «Opero un distinguo tra gli euroscettici, che hanno delle domande, e i populisti limitati, i nazionalisti stupidi. Non sono la stessa cosa. Dobbiamo ostacolare la loro marcia verso la non Europa».
Ma Juncker, che puntava a dividere i suoi avversari, li ha compattati un'altra volta: mentre attaccava i populisti, si è infatti esibito in una specie di balletto (ma non soffriva di sciatica?) per prendere in giro i passi di danza accennati la scorsa settimana da Theresa May alla conferenza conservatrice di Birmingham. E così, tra smorfie, beffe e risate isteriche, Juncker continua ad accumulare nemici: Regno Unito, Polonia, Ungheria, Italia. E lui sarebbe l'uomo che dice di voler tenere unita l'Ue.





