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2021-09-05
Salvini lancia cinque idee per mediare. Il Pd vuole usare la fiducia come clava
Matteo Salvini (Ansa)
Sul green pass il premier, Mario Draghi, tira dritto, incurante delle critiche dell'opinione pubblica e dalla componente leghista della maggioranza. E si prepara ad allargare in modo massiccio la platea delle categorie per cui il lasciapassare sarà obbligatorio. Un'anticamera, forse, dell'obbligo vaccinale. Sta di fatto che settimana prossima, forse giovedì, si riunirà la cabina di regina che metterà a punto le nuove categorie, che confluiranno poi in un nuovo decreto, che dovrebbe entrare in vigore il 4 ottobre.
Le indiscrezioni parlano di un primo elenco imponente, che andrà a sanare, ma in termini ulteriormente restrittivi, la contraddizione tra l'obbligo per alcune categorie di utenti di servizi, con il personale che li eroga esentato. Il certificato sarà richiesto ai dipendenti della Pubblica amministrazione, ma anche a tutti i lavoratori impiegati in settori in cui è già necessaria la carta verde per gli utenti. A doversi munire di green pass saranno infatti: ristoratori e camerieri, i baristi, il personale di bordo di treni, aerei, navi e bus interregionali, quello di stadi, musei, musei, fiere, teatri, cinema, palestre e piscine. Più complesso il dibattito sull'imposizione dell'obbligo del certificato Covid per i passeggeri del trasporto pubblico locale: metropolitane, bus e tram, che incontra le perplessità del ministro delle Infrastrutture, Enrico Giovannini. Esattamente come un anno fa all'epoca della riapertura delle scuole (all'epoca il dibattito era sulla capienza consentita), il trasporto si dimostra ancora una volta l'ostacolo insormontabile nella prevenzione al virus: a differenza di quanto avviene sui treni ad Alta velocità, controllare con l'apposita app il Qr code di ogni passeggero che si avvicina ai tornelli della metropolitana di Milano o Roma all'ora di punta paralizzerebbe gli spostamenti dell'intera città. E lo stesso accadrebbe con autobus e tram. Il risultato però è che tutte quelle categorie a cui è stato e verrà imposto il certificato dovranno effettuare i loro spostamenti cittadini stipate in vagoni con altre centinaia di persone sconosciute, dopo aver atteso, altrettanto ammassate, il treno della metropolitana sulla banchina. O il tram alla fermata. Con tanti saluti non solo alle finalità del sempre più invasivo green pass, ma anche a qualsiasi ipotesi di tracciamento dei contatti dei positivi. Il premier però non sembra disponibile a nessun cambio di rotta, forte anche di una maggioranza che, almeno in pubblico, recepisce quasi incondizionatamente le sue proposte.
Con l'eccezione della Lega, il cui leader Matteo Salvini ieri, dopo aver ricordato che l'obbligo vaccinale non rientra tra gli accordi che hanno portato alla nascita del governo, ha presentato le proposte del Carroccio sul Covid, articolate in cinque punti, per provare a limitarlo: «Promozione della campagna vaccinale, riconoscendo l'efficacia dell'impegno dei sindaci, delle Regioni, della struttura commissariale e del governo […] e salvaguardando la libertà ed evitando obblighi o costrizioni […]; utilizzo del pass per favorire aperture in sicurezza a partire dai grandi eventi (per esempio, concerti o eventi sportivi), ma senza complicare la vita agli italiani; tamponi gratuiti per alcune categorie, così da permettere agevolmente l'ottenimento del green pass (ad esempio per i minori che fanno sport o le persone che non possono vaccinarsi); possibilità di usare tamponi salivari molecolari per ottenere il green pass; estensione dell'utilizzo degli anticorpi monoclonali prescrivibili anche dal medico di medicina generale». E proprio sui tamponi si potrebbe svolgere il dialogo all'interno della maggioranza. Non solo sul costo, ma anche sull'uso massivo di quelli salivari, la cui validità per ottenere il green pass è in già in corso di approvazione alla Camera, grazie a due emendamenti gemelli, presentati in commissione Affari sociali dalla Lega e dal M5s. L'utilizzo dei test salivari (non invasivi a differenza di quelli nasali), a prezzo calmierato o gratuiti, renderebbe infatti percorribile a chi non vuole sottoporsi al vaccino di mantenere la stessa autonomia di movimento di chi ha ricevuto le dosi del farmaco, paradossalmente con una maggiore chiarezza sullo stato di salute.
La proposta leghista scoprirà definitamente le carte sulle intenzioni del governo, che finora nel puntare tutto sulla campagna vaccinale, poteva contare, oltre che sulla formale mancanza di cure efficaci, anche sulla mancanza di alternative per la prevenzione. E che soprattutto chiarirà la linea di Draghi rispetto alle posizioni di critica costruttiva della Lega. E proprio dall'eventuale uso del voto di fiducia sulla conversione del decreto sul green pass si capirà se esiste una disponibilità all'ascolto delle posizioni della Lega e di Salvini. Di certo per Pd e M5s l'occasione di andare alla conta con un voto blindato per spaccare il Carroccio, o magari spingerlo fuori dalla maggioranza, è forte. Dietro l'angolo, poi, c'è l'idea di tirare dritto anche sulla imposizione dell'obbligo vaccinale se a ottobre non si sarà raggiunto il 90% di vaccinati sopra i 12 anni.
Nuovo round tra imprese e sindacati
Il green pass continua a dare non pochi grattacapi agli imprenditori che operano in Italia. Per cercare di sbloccare una situazione che vede da un lato la sicurezza dei lavoratori, ma dall'altra la necessità degli imprenditori di far lavorare senza ostacoli e a pieno regime le proprie aziende, domani Confindustria incontrerà i sindacati.
L'incontro fa seguito a una serie di botta e risposta tra le unioni dei lavoratori e l'associazione degli industriali in cui sostanzialmente le sigle sindacali si erano dette favorevoli all'obbligo del green pass sui luoghi di lavoro solo a seguito di una legge ad hoc.
Il segretario della Cgil, Maurizio Landini, ha ricordato più volte le condizioni per accettare il passaporto vaccinale nelle aziende: senza una legge, in pratica, non si va avanti. «Se il governo non fa la legge sull'obbligo vaccinale, non posso farla io», aveva detto. «Se non fai la legge e fai il green pass perché al tuo interno hai dei casini, il tampone deve essere gratuito. Non può essere il lavoratore a pagare, è una sciocchezza. Credo che governo e Parlamento si debbano assumere la responsabilità di una legge che renda obbligatorio il vaccino: spetta a loro».
Il numero uno di Confindustria, Carlo Bonomi, giorni fa aveva per questo criticato i sindacati affermando che «all'uso estensivo del green pass sui luoghi di lavoro il sindacato, o almeno una parte, ha detto no, preferisce gettare la palla nel campo del governo, e dire “se volete e ve la sentite imponete con una legge l'obbligo vaccinale". È una fuga dalla responsabilità».
Domani l'obiettivo sarà trovare una mediazione che, soprattutto, non spinga i capi azienda a sobbarcarsi anche l'onere dei controlli per i lavoratori. La soluzione, in effetti, potrebbe arrivare dal governo. L'esecutivo potrebbe mettere la fiducia sul decreto green pass già da domani nell'Aula della Camera, aggirando i mal di pancia in primis interni ai parlamentari della Lega, ma anche di alcuni del Movimento 5 stelle.
D'altronde, sul tema, le opinioni dei politici sono molto diverse anche se, va detto, ormai si sta già andando nella direzione di un obbligo vaccinale più o meno «mascherato».
Renato Brunetta, ministro per la Pubblica amministrazione, ieri, a margine del forum Ambrosetti di Cernobbio, ha fatto sapere che «l'obbligo vaccinale andrebbe esteso a tutto il mondo del lavoro pubblico». Bisogna estenderlo, ha detto, «in maniera tale che ci sia una sorta di passaporto vaccinale che deve mettere in sicurezza tutto il mondo del lavoro e delle relazioni sociali», ha sottolineato.
Sempre in tema di lavoratori della Pubblica amministrazione, c'è poi il nodo delle mense scolastiche (mentre quello delle mense aziendali è ancora sul tavolo), luoghi in cui spesso si trovano a operare professionisti di aziende esterne. Su questo le organizzazioni sindacali e le cooperative hanno chiesto un confronto «urgente» al governo perché, si legge in una nota sindacale diffusa ieri, «in queste ore alcune amministrazioni locali» hanno chiesto l'obbligo del green pass creando ancora più confusione. «Chiediamo pertanto che il governo e il ministero operino un chiarimento della suddetta normativa», fanno sapere le unioni di lavoratori. Il problema è che, infatti, dall'obbligo previsto per scuole e università dovrebbero essere esclusi i dipendenti delle imprese in appalto a partire da quelle che gestiscono il servizio di ristorazione e mensa nelle scuole.
Ora non resta che attendere cosa succederà domani tra sindacati e Confindustria. La realtà è che la soluzione può arrivare solo dal governo con una norma ad hoc che regoli l'uso della certificazione verde e chi si deve far carico dei controlli.
La speranza è che l'esecutivo capisca che per i datori di lavoro questa non può essere l'ennesima spina nel fianco in arrivo dopo un periodo certo non facile per molti.
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Riduci
Il premier punta a estendere il lasciapassare: dai camerieri ai baristi, fino al personale dei trasporti. Pressing della Lega per limitare l'obbligo vaccinale. E ottenere tamponi gratuiti, test salivari e anticorpi monoclonali.Domani Confindustria e le sigle dei lavoratori si incontreranno ancora. Restano da sciogliere il nodo dei controlli all'interno delle aziende e quello delle mense.Lo speciale contiene due articoli.Sul green pass il premier, Mario Draghi, tira dritto, incurante delle critiche dell'opinione pubblica e dalla componente leghista della maggioranza. E si prepara ad allargare in modo massiccio la platea delle categorie per cui il lasciapassare sarà obbligatorio. Un'anticamera, forse, dell'obbligo vaccinale. Sta di fatto che settimana prossima, forse giovedì, si riunirà la cabina di regina che metterà a punto le nuove categorie, che confluiranno poi in un nuovo decreto, che dovrebbe entrare in vigore il 4 ottobre. Le indiscrezioni parlano di un primo elenco imponente, che andrà a sanare, ma in termini ulteriormente restrittivi, la contraddizione tra l'obbligo per alcune categorie di utenti di servizi, con il personale che li eroga esentato. Il certificato sarà richiesto ai dipendenti della Pubblica amministrazione, ma anche a tutti i lavoratori impiegati in settori in cui è già necessaria la carta verde per gli utenti. A doversi munire di green pass saranno infatti: ristoratori e camerieri, i baristi, il personale di bordo di treni, aerei, navi e bus interregionali, quello di stadi, musei, musei, fiere, teatri, cinema, palestre e piscine. Più complesso il dibattito sull'imposizione dell'obbligo del certificato Covid per i passeggeri del trasporto pubblico locale: metropolitane, bus e tram, che incontra le perplessità del ministro delle Infrastrutture, Enrico Giovannini. Esattamente come un anno fa all'epoca della riapertura delle scuole (all'epoca il dibattito era sulla capienza consentita), il trasporto si dimostra ancora una volta l'ostacolo insormontabile nella prevenzione al virus: a differenza di quanto avviene sui treni ad Alta velocità, controllare con l'apposita app il Qr code di ogni passeggero che si avvicina ai tornelli della metropolitana di Milano o Roma all'ora di punta paralizzerebbe gli spostamenti dell'intera città. E lo stesso accadrebbe con autobus e tram. Il risultato però è che tutte quelle categorie a cui è stato e verrà imposto il certificato dovranno effettuare i loro spostamenti cittadini stipate in vagoni con altre centinaia di persone sconosciute, dopo aver atteso, altrettanto ammassate, il treno della metropolitana sulla banchina. O il tram alla fermata. Con tanti saluti non solo alle finalità del sempre più invasivo green pass, ma anche a qualsiasi ipotesi di tracciamento dei contatti dei positivi. Il premier però non sembra disponibile a nessun cambio di rotta, forte anche di una maggioranza che, almeno in pubblico, recepisce quasi incondizionatamente le sue proposte.Con l'eccezione della Lega, il cui leader Matteo Salvini ieri, dopo aver ricordato che l'obbligo vaccinale non rientra tra gli accordi che hanno portato alla nascita del governo, ha presentato le proposte del Carroccio sul Covid, articolate in cinque punti, per provare a limitarlo: «Promozione della campagna vaccinale, riconoscendo l'efficacia dell'impegno dei sindaci, delle Regioni, della struttura commissariale e del governo […] e salvaguardando la libertà ed evitando obblighi o costrizioni […]; utilizzo del pass per favorire aperture in sicurezza a partire dai grandi eventi (per esempio, concerti o eventi sportivi), ma senza complicare la vita agli italiani; tamponi gratuiti per alcune categorie, così da permettere agevolmente l'ottenimento del green pass (ad esempio per i minori che fanno sport o le persone che non possono vaccinarsi); possibilità di usare tamponi salivari molecolari per ottenere il green pass; estensione dell'utilizzo degli anticorpi monoclonali prescrivibili anche dal medico di medicina generale». E proprio sui tamponi si potrebbe svolgere il dialogo all'interno della maggioranza. Non solo sul costo, ma anche sull'uso massivo di quelli salivari, la cui validità per ottenere il green pass è in già in corso di approvazione alla Camera, grazie a due emendamenti gemelli, presentati in commissione Affari sociali dalla Lega e dal M5s. L'utilizzo dei test salivari (non invasivi a differenza di quelli nasali), a prezzo calmierato o gratuiti, renderebbe infatti percorribile a chi non vuole sottoporsi al vaccino di mantenere la stessa autonomia di movimento di chi ha ricevuto le dosi del farmaco, paradossalmente con una maggiore chiarezza sullo stato di salute.La proposta leghista scoprirà definitamente le carte sulle intenzioni del governo, che finora nel puntare tutto sulla campagna vaccinale, poteva contare, oltre che sulla formale mancanza di cure efficaci, anche sulla mancanza di alternative per la prevenzione. E che soprattutto chiarirà la linea di Draghi rispetto alle posizioni di critica costruttiva della Lega. E proprio dall'eventuale uso del voto di fiducia sulla conversione del decreto sul green pass si capirà se esiste una disponibilità all'ascolto delle posizioni della Lega e di Salvini. Di certo per Pd e M5s l'occasione di andare alla conta con un voto blindato per spaccare il Carroccio, o magari spingerlo fuori dalla maggioranza, è forte. Dietro l'angolo, poi, c'è l'idea di tirare dritto anche sulla imposizione dell'obbligo vaccinale se a ottobre non si sarà raggiunto il 90% di vaccinati sopra i 12 anni. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/salvini-cinque-idee-mediare-2654907120.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="nuovo-round-tra-imprese-e-sindacati" data-post-id="2654907120" data-published-at="1630821712" data-use-pagination="False"> Nuovo round tra imprese e sindacati Il green pass continua a dare non pochi grattacapi agli imprenditori che operano in Italia. Per cercare di sbloccare una situazione che vede da un lato la sicurezza dei lavoratori, ma dall'altra la necessità degli imprenditori di far lavorare senza ostacoli e a pieno regime le proprie aziende, domani Confindustria incontrerà i sindacati. L'incontro fa seguito a una serie di botta e risposta tra le unioni dei lavoratori e l'associazione degli industriali in cui sostanzialmente le sigle sindacali si erano dette favorevoli all'obbligo del green pass sui luoghi di lavoro solo a seguito di una legge ad hoc. Il segretario della Cgil, Maurizio Landini, ha ricordato più volte le condizioni per accettare il passaporto vaccinale nelle aziende: senza una legge, in pratica, non si va avanti. «Se il governo non fa la legge sull'obbligo vaccinale, non posso farla io», aveva detto. «Se non fai la legge e fai il green pass perché al tuo interno hai dei casini, il tampone deve essere gratuito. Non può essere il lavoratore a pagare, è una sciocchezza. Credo che governo e Parlamento si debbano assumere la responsabilità di una legge che renda obbligatorio il vaccino: spetta a loro». Il numero uno di Confindustria, Carlo Bonomi, giorni fa aveva per questo criticato i sindacati affermando che «all'uso estensivo del green pass sui luoghi di lavoro il sindacato, o almeno una parte, ha detto no, preferisce gettare la palla nel campo del governo, e dire “se volete e ve la sentite imponete con una legge l'obbligo vaccinale". È una fuga dalla responsabilità». Domani l'obiettivo sarà trovare una mediazione che, soprattutto, non spinga i capi azienda a sobbarcarsi anche l'onere dei controlli per i lavoratori. La soluzione, in effetti, potrebbe arrivare dal governo. L'esecutivo potrebbe mettere la fiducia sul decreto green pass già da domani nell'Aula della Camera, aggirando i mal di pancia in primis interni ai parlamentari della Lega, ma anche di alcuni del Movimento 5 stelle. D'altronde, sul tema, le opinioni dei politici sono molto diverse anche se, va detto, ormai si sta già andando nella direzione di un obbligo vaccinale più o meno «mascherato». Renato Brunetta, ministro per la Pubblica amministrazione, ieri, a margine del forum Ambrosetti di Cernobbio, ha fatto sapere che «l'obbligo vaccinale andrebbe esteso a tutto il mondo del lavoro pubblico». Bisogna estenderlo, ha detto, «in maniera tale che ci sia una sorta di passaporto vaccinale che deve mettere in sicurezza tutto il mondo del lavoro e delle relazioni sociali», ha sottolineato. Sempre in tema di lavoratori della Pubblica amministrazione, c'è poi il nodo delle mense scolastiche (mentre quello delle mense aziendali è ancora sul tavolo), luoghi in cui spesso si trovano a operare professionisti di aziende esterne. Su questo le organizzazioni sindacali e le cooperative hanno chiesto un confronto «urgente» al governo perché, si legge in una nota sindacale diffusa ieri, «in queste ore alcune amministrazioni locali» hanno chiesto l'obbligo del green pass creando ancora più confusione. «Chiediamo pertanto che il governo e il ministero operino un chiarimento della suddetta normativa», fanno sapere le unioni di lavoratori. Il problema è che, infatti, dall'obbligo previsto per scuole e università dovrebbero essere esclusi i dipendenti delle imprese in appalto a partire da quelle che gestiscono il servizio di ristorazione e mensa nelle scuole. Ora non resta che attendere cosa succederà domani tra sindacati e Confindustria. La realtà è che la soluzione può arrivare solo dal governo con una norma ad hoc che regoli l'uso della certificazione verde e chi si deve far carico dei controlli. La speranza è che l'esecutivo capisca che per i datori di lavoro questa non può essere l'ennesima spina nel fianco in arrivo dopo un periodo certo non facile per molti.
Getty Images
Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Riduci
Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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