2021-04-25
Lucia Borgonzoni: «Salviamo la moda ripartendo da borghi e artigianato»
Matteo Salvini e Lucia Borgonzoni (Ansa)
Il sottosegretario alla Cultura: «Settore strategico che va difeso dai fondi esteri. La filiera è la nostra Silicon Valley»Se la voglia di fare è più forte di quella di stare a guardare, di cose se ne possono realizzare tante rivestendo certi ruoli. Lucia Borgonzoni, senatore e sottosegretario al ministero della Cultura della Lega, si è presa a cuore, e bisogna dire per fortuna, uno dei settori strategici del Paese, la moda. «Non c’è un atto ufficiale», spiega alla Verità, «sono abituata a prendermi gli spazi». Comparto dimenticato, o non preso in considerazione, dalla politica, giudicato con sufficienza nonostante rappresenti 28 miliardi della bilancia dei pagamenti e 650.000 addetti, il fashion, biglietto da visita dell’Italia nel mondo, fa parlare di sé più per lustrini e paillettes. Ma il vento sta cambiando. «Avevo già iniziato a occuparmene ancora prima di tornare al governo e a fare una serie di emendamenti legati alla moda, avevo iniziato a lavoraci insieme a Carlo Capasa, presidente di Camera moda, e con lui ho cominciato a incontrare tutte le associazioni di categoria e i primi provvedimenti che ho portato in Aula nascono da idee condivise che ho scritto insieme con Capasa e che Camera moda ha controllato». Ultimi interventi?«Il 20 c’è stata la sessione straordinaria della cabina di regia per l’internazionalizzazione dedicata all’attrazione degli investimenti esteri, alla Farnesina, dove sono stata delegata per il Mic in sostituzione del ministro e dove ho portato la “questione moda”, visto che non era citata. E ho fatto aggiungere due righe, “per tutelare il lavoro e l’occupazione in Italia”, perché non potendo usare il golden power si corre il rischio di far mangiare le piccole aziende da tutti i fondi che arrivano dall’estero. Era necessaria una tutela disegnata appositamente per salvaguardare la filiera».Il 21, al Mise, c’è stato il tavolo tessile moda presieduto dal ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti. Cosa ne è uscito? «A quello non sono stata presente, non era interministeriale. Ma ho incontrato in precedenza il presidente di Cna federmoda Marco Landi e il responsabile nazionale Antonio Franceschini, il segretario generale della Federazione moda Italia-Confcommercio Massimo Torti e per Confartigianato moda il presidente, Fabio Pietrella, e Maria Luisa Rubino. Si è parlato della questione imprescindibile della filiera e su questo il ministro Giorgetti mi ha seguito organizzando il tavolo proprio sul tema. La qualità della nostra filiera è straordinaria, esiste solo da noi al punto che i francesi arrivano qui se vogliono determinate lavorazioni. Non vanno fatti solo provvedimenti sulla grande o piccola azienda. Devi cercare di tutelare la filiera dall’inizio alla fine con provvedimenti consequenziali perché se si perde un pezzo o si rompe un ingranaggio non funziona più. Al tavolo, il ministro è anche intervenuto sul Pitti perché sapeva quanto fosse importante portare avanti un evento fieristico di tale portata». Su cosa sta lavorando?«Abbiamo portato proposte a Cdp per cercare di capire come dare la liquidità alle imprese per ovviare al problema dei magazzini pieni e della cassa vuota di aziende che comunque lo Stato considera sane. Non c’era ancora il Pnrr per cui avevamo pensato a delle entrate ponte di tre/cinque anni. Ci sono emendamenti e un mio ordine del giorno sul credito d’imposta sui magazzini e la proposta di un fondo a pacchetto che vada incontro alle aziende piccole con fatturati sotto i 50 milioni di euro che Cdp non potrebbe aiutare».Secondo lei perché la moda è sempre stata trascurata dalla politica?«Rompo le scatole a tutti sulla moda perché per me è inconcepibile che un governo non si dedichi a un asset così strategico per il Paese. Non mi capacito. Fondamentale è stato inserire la moda nel Mic dove c’è una direzione, Creatività contemporanea, che al suo interno ha la moda ed è lì che sono riuscita ad allargarmi ovunque. Durante la cabina di regia, quella per attirare i capitali stranieri in Italia, nella parte iniziale del documento, dove si parla di tutte le filiere legate alla cultura e che ci fanno conoscere nel mondo, ho inserito anche moda e design perché non c’erano e nessuno aveva pensato a due temi così importanti per il Paese». Sembrerebbe incredibile.«Sempre nell’occasione ho detto chiaramente che per me era assurdo che nel disegno di legge il Mic non fosse stato inserito come il Mise e gli Esteri. Ho spiegato che noi giriamo per il mondo e durante il Conte uno ho incontrato vari governi per parlare di cultura, tema grazie al quale ci hanno aperto le porte su tutto il resto. La nostra cultura e la nostra moda sono la chiave per instaurare dialoghi con chiunque. Perché lavorare nel campo della cultura o della moda con noi dà una reputazione positiva. Siamo famosi per questo, vantiamocene e sfruttiamo le nostre eccellenze. Non ce le dobbiamo inventare, ce l’abbiamo già». Ora dove orienta i suoi sforzi?«Al Mise, quando è finito l’incontro, ho parlato con i rappresentanti delle varie associazioni. Insieme, appena sarà approvato il Pnrr, vogliamo concentrarci sui borghi, Capasa la chiama la nostra Silicon Valley dei piccoli artigiani sparsi sui territori. Vorremmo recuperare i borghi e dare una centralità a quell’artigianato legato alla moda che abbiamo solo noi. È previsto 1 miliardo solo sui borghi e poi, con gli ultimi spostamenti, dovrebbero esserci altri 650 milioni per gli insediamenti rurali. I borghi, e ne ho già parlato con il ministro Massimo Garavaglia, devono essere intrecciati con il turismo e devono essere digitalizzati per essere altamente attrattivi anche per le tecnologie, non possiamo rischiare di fare solo delle belle cartoline. Con loro ci rivediamo ai primi di maggio per dare insieme centralità alla filiera dalla parte degli artigiani e tutelarli all’interno della narrazione del Paese e dei borghi. Il nostro valore aggiunto parte da lì, dalle signore che ricamano, che fanno i pizzi, che cuciono con maestria». Ma non finisce qui.«No. Dobbiamo salvare la moda da questo acquisto predatorio. A eccezione dei brand storici, gli stranieri si possono portare via i marchi e poi chiuderli. Così perdiamo tutto il nostro know how. E uno dei punti è collegato alla formazione e alla tutela dei nostri mestieri, altrimenti rischiamo che scompaiano tutti. Poi bandi ad hoc sulla salvaguardia delle professioni, sulla digitalizzazione degli archivi storici, sulla creazione di un sistema di blockchain, sulla piattaforma delle Pmi. Due interventi invece, per essere attuati, hanno bisogno anche della collaborazione di altri ministeri: Reshoring imprese e Recycling hub».