2024-10-24
Incarichi al compagno gay. Si è dimesso l’uomo di Giuli
Francesco Spano (Imaoeconomica)
Salta Francesco Spano, imposto come capo di gabinetto 10 giorni fa, contro ogni buon senso e senza spiegazioni, dal neo ministro: avrebbe mischiato soldi pubblici e affari privati, come nel 2017. Una figuraccia che si poteva evitare.Chissà se le dimissioni del nuovo capo di gabinetto del ministero dei Beni culturali fanno parte del cambiamento di paradigma della quarta rivoluzione epocale. O se si tratta di una ontologia intonata alla rivoluzione permanente dell’infosfera globale dal rischio duplice e speculare. Che sia l’una o l’altra cosa, sta di fatto che «l’apocalittismo difensivo che rimpiange un’immagine del mondo trascorsa impugnando una ideologia della crisi che si percepisce come processo alla tecnica e al futuro» ha fatto piazza pulita per la seconda volta, e per di più in appena dieci giorni, del braccio destro del ministro della Cultura. Lo so, qualcuno penserà che io maramaldeggi, usando i discorsi incomprensibili di Alessandro Giuli per infierire a cadavere ancora caldo sul traumatico addio del suo principale collaboratore. Ma io non provo alcun godimento nell’assistere alla rimozione di Francesco Spano. Semmai l’unico mio sentimento è la rabbia, ovvero l’irritazione di chi oggi, di fronte all’ennesimo passo falso del ministero della Cultura, dicastero che dovrebbe contribuire a smontare i pezzi di un sistema da sempre in mano alla sinistra, può dire: ve lo avevo detto. E non perché, come qualcuno vorrebbe far credere, l’ormai ex capo di gabinetto di Alessandro Giuli sia dichiaratamente gay, ma perché già nel passato aveva dato prova di mischiare le faccende private con gli affari pubblici. Se si è un funzionario dello Stato e si maneggiano quattrini dei contribuenti bisogna essere al di sopra di ogni sospetto ed evitare in ogni modo l’accusa di usare i fondi con discrezionalità. Non c’entrano le preferenze sessuali, le frequentazioni di certi ambienti, c’entra il fatto che la separazione delle carriere non riguarda soltanto i magistrati ma, nell’amministrazione dello Stato, anche i fidanzati e gli sposati.Nel passato, Spano era stato costretto a gettare la spugna perché l’ufficio da lui guidato - l’Unar, ente contro le discriminazioni razziali - aveva finanziato un’associazione Lgbt di cui lo stesso capo di gabinetto era tesserato e nei cui circoli si tenevano anche serate a base di sesso a pagamento. Che cosa avevano a che fare le ammucchiate con le intemerate contro le segregazioni in base alla razza? Niente e infatti quando le Iene scoperchiarono lo scandalo, Spano fu costretto a mollare la poltrona. Da lì il futuro capo di gabinetto del ministro dei Beni culturali tornò al Maxxi, il museo guidato per anni dall’ex ministro veltroniano Giovanna Melandri e poi affidato nel dicembre del 2022 ad Alessandro Giuli. In quei mesi il funzionario sarebbe stato talmente brillante da indurre il numero uno dei Beni culturali a portarlo con sé anche nel palazzo di via del Collegio Romano. Anzi, di più. Giuli lo ha messo accanto al suo ufficio, nominandolo principale collaboratore. Non senza prima aver rimosso il capo di gabinetto che gli aveva lasciato in eredità Gennaro Sangiuliano. Intendiamoci: ognuno è libero di circondarsi dei collaboratori che più desidera. Tuttavia, quando divenuto ministro Giuli decise di rimuovere Francesco Gilioli per sostituirlo con Spano, la prima cosa che mi sono chiesto è stata: perché? Capisco che ognuno voglia avere intorno uomini fidati, ma perché cacciare in malo modo, licenziandolo su due piedi, il capo di gabinetto che c’era prima? Le voci di corridoio attribuiscono al ministro frasi poco simpatiche, tipo «l’abbiamo preso con le mani nella marmellata». Non sappiamo se le parole corrispondano al vero, ma nel caso fosse così, il ministro avrebbe l’obbligo di chiarire, dato che la marmellata è nostra. Così come forse sarebbe necessario spendesse due parole per spiegarci perché ha voluto a tutti i costi avere intorno a sé Spano e perché fino a ieri, dopo che la faccenda rischiava di essere rivelata da Report, non si fosse accorto che al Maxxi era stato ingaggiato anche il «marito» del suo braccio destro. Spano non gliene aveva mai parlato? E lui non si era mai reso conto del rapporto personale che univa il futuro capo di gabinetto al collaboratore messo a libro paga dello stesso museo? Insomma, qui non siamo di fronte a un clima di mostrificazione, come ha detto Giuli, commentando le dimissioni, non so se spontanee o spintanee, del suo capo di gabinetto. Siamo davanti a un sistema, dove l’iscritto finanzia l’associazione che frequenta e poi paga o fa pagare il compagno senza curarsi di rendere conto del rapporto personale. Per anni ci hanno frantumato gli zebedei con il conflitto d’interessi, ma come si vede non c’è solo quello di Berlusconi, ci sono anche quelli di chi, all’interno delle strutture dello Stato, coltiva le proprie relazioni e confonde il proprio ruolo con le proprie passioni.Detto ciò, la cultura è una cosa seria e vorremmo che si evitasse di trascinarla nel ridicolo, con vicende personali che abbiano per protagonisti consulenti o dirigenti. Abbiamo criticato spesso i ministri precedenti per un sistema che premiava gli amici: siamo pronti a continuare a farlo anche ora.
C’è anche un pezzo d’Italia — e precisamente di Quarrata, nel cuore della Toscana — dietro la storica firma dell’accordo di pace per Gaza, siglato a Sharm el-Sheikh alla presenza del presidente statunitense Donald Trump, del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, del turco Recep Tayyip Erdogan e dell’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani. I leader mondiali, riuniti per «un’alba storica di un nuovo Medio Oriente», come l’ha definita lo stesso Trump, hanno sottoscritto l’intesa in un luogo simbolo della diplomazia internazionale: il Conference Center di Sharm, allestito interamente da Formitalia, eccellenza del Made in Italy guidata da Gianni e Lorenzo David Overi, oggi affiancati dal figlio Duccio.
L’azienda, riconosciuta da anni come uno dei marchi più prestigiosi dell’arredo italiano di alta gamma, è fornitrice ufficiale della struttura dal 2018, quando ha realizzato anche l’intero allestimento per la COP27. Oggi, gli arredi realizzati nei laboratori toscani e inviati da oltre cento container hanno fatto da cornice alla firma che ha segnato la fine di due anni di guerra e di sofferenza nella Striscia di Gaza.
«Tutto quello che si vede in quelle immagini – scrivanie, poltrone, arredi, pelle – è stato progettato e realizzato da noi», racconta Lorenzo David Overi, con l’orgoglio di chi ha portato la manifattura italiana in una delle sedi più blindate e tecnologiche del Medio Oriente. «È stato un lavoro enorme, durato oltre un anno. Abbiamo curato ogni dettaglio, dai materiali alle proporzioni delle sedute, persino pensando alle diverse stature dei leader presenti. Un lavoro sartoriale in tutto e per tutto».
Gli arredi sono partiti dalla sede di Quarrata e dai magazzini di Milano, dove il gruppo ha recentemente inaugurato un nuovo showroom di fronte a Rho Fiera. «La committenza è governativa, diretta. Aver fornito il centro che ha ospitato la COP27 e oggi anche il vertice di pace è motivo di grande orgoglio», spiega ancora Overi, «È come essere stati, nel nostro piccolo, parte di un momento storico. Quelle scrivanie e quelle poltrone hanno visto seduti i protagonisti di un accordo che il mondo attendeva da anni».
Dietro ogni linea, ogni cucitura e ogni finitura lucidata a mano, si riconosce la firma del design italiano, capace di unire eleganza, funzionalità e rappresentanza. Non solo estetica, ma identità culturale trasformata in linguaggio universale. «Il marchio Formitalia era visibile in molte sale e ripreso dalle telecamere internazionali. È stata una vetrina straordinaria», aggiunge Overi, «e anche un riconoscimento al valore del nostro lavoro, fatto di precisione e passione».
Il Conference Center di Sharm el-Sheikh, un complesso da oltre 10.000 metri quadrati, è oggi un punto di riferimento per la diplomazia mondiale. Qui, tra le luci calde del deserto e l’azzurro del Mar Rosso, l’Italia del saper fare ha dato forma e materia a un simbolo di pace.
E se il mondo ha applaudito alla firma dell’accordo, in Toscana qualcuno ha sorriso con un orgoglio diverso, consapevole che, anche questa volta, il design italiano era seduto al tavolo della storia.
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Silvia Salis (Imagoeconomica)