Da Christine Lagarde al commissario italiano forti spinte su Giorgetti affinché si consegni alla trappola dell’Unione. Il presidente dell’Eurogruppo Donohoe ci chiede di aderire per aiutare Parigi e Berlino a salvare le loro banche.
Da Christine Lagarde al commissario italiano forti spinte su Giorgetti affinché si consegni alla trappola dell’Unione. Il presidente dell’Eurogruppo Donohoe ci chiede di aderire per aiutare Parigi e Berlino a salvare le loro banche.Più che a una riunione dei ministri delle Finanze dell’Ue, ieri a Stoccolma si è assistito a una macabra parodia della scena finale del Settimo sigillo di Ingmar Bergman: la celeberrima danza della Morte (dotata di falce e clessidra) che porta via con sé una serie di figure, in marcia verso l’oscurità, in un panorama desolato e sotto un cielo oppresso da cupe nubi. Le figure «danzanti», nel dilettantesco remake di ieri, erano la presidente della Bce Christine Lagarde, il commissario europeo Paolo Gentiloni, il presidente dell’Eurogruppo Pascal Donohoe, il direttore esecutivo del Mes Pierre Gramegna. Tutti luttuosi come da copione, ma letteralmente scatenati contro l’Italia e contro il nostro ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti (bloccato a Roma per la vicenda del Def e arrivato a Stoccolma nel pomeriggio per discutere di Unione bancaria). E tutti coordinati e intercambiabili in un’untuosa alternanza di lusinghe e minacce, in una melliflua combinazione di richieste e ricatti. Ha cominciato la Lagarde, facendo esplicito riferimento al mancato semaforo verde italiano: «Ci sono già stati diversi appelli dell’Eurogruppo affinché tutti ratifichino la riforma del Mes. La ratifica sarebbe un bene perché permetterebbe di avere un backstop (ndr: nella lingua di legno degli euroburocrati, si intenderebbe una sorta di rete di protezione) in caso di difficoltà, e sarebbe utile per tutti i Paesi che hanno già ratificato». E già questa sequenza sarebbe sufficiente a capire il trappolone: l’Italia dovrebbe correre e ratificare (e a pagare) per salvare le banche altrui, e ottenendo in premio una prospettiva di semicommissariamento. Stessa musica, ma se possibile con ancora maggiore sfrontatezza, da parte di Paolo Gentiloni, che – non dimentichiamolo – sarebbe italiano, e dovrebbe per lo meno avere un minimo di rispetto formale delle prerogative del nostro Parlamento, che viene invece trattato – in questa dichiarazione – come un luogo di mera registrazione di volontà espresse da altri e altrove: «La ratifica del Mes è un impegno che è stato preso da tutti i Paesi, compresa l’Italia. Quindi nei tempi e nei modi che il governo e il Parlamento decideranno, la ratifica italiana non dovrebbe essere in discussione. È stata decisa più di due anni fa». Ma se una cosa non deve essere in discussione, allora il Parlamento che «discute» a fare? Sarà interessante ricordare queste parole di Gentiloni la prossima volta che sentiremo parlare con tono solenne della «centralità del Parlamento». E a seguire ecco tutti gli altri, sempre con il medesimo copione. Il direttore esecutivo del Mes Pierre Gramegna si è fatto portavoce delle «diverse delegazioni» che, secondo lui, avrebbero insistito sulla necessità di completare la ratifica, per avere un «paracadute finanziario» che «è cruciale alla luce delle turbolenze finanziarie che abbiamo visto». E dove ha concluso Gramegna, ha ripreso pari pari il presidente dell’Eurogruppo Pascal Donohoe: «È molto importante sottolineare che, pur rispettando pienamente la decisione che l’Italia potrebbe prendere di non accedere mai al Mes, abbiamo bisogno che venga ratificato in modo che altri Paesi possano accedervi in caso di necessità». Morale: bisogna aderire, pagare, salvare gli altri, e prendersi lo stigma legato alla distinzione tra paesi di serie A e di serie B che scatterebbe per il solo fatto del varo dello strumento (indipendentemente dal fatto che l’Italia possa o meno farne uso in futuro, e c’è da augurarsi che non accada mai). Donohoe è stato il più esplicito nell’evocare le questioni bancarie (lo aggiungiamo noi: tedesche e francesi): «I recenti eventi nel settore bancario ci hanno ricordato il lavoro che dobbiamo ancora fare».Come si vede, da un semplice pressing siamo passati a un vero e proprio assedio, ben decifrato dal deputato leghista Claudio Borghi: «Quindi l’argomentone Ue per convincerci a ratificare il Mes è che servono i nostri soldi per garantire le banche tedesche e francesi messe in pericolo da una legge (il bail in) voluta da loro». E, se fosse servita una conferma, sia pure da un opposto punto di vista politico, è venuta dall’eurodeputato di Italia Viva Nicola Danti, che si è sbracciato per chiedere un nostro rapido signorsì: «Anche oggi l’Eurogruppo ha ricordato a Meloni l'importanza della ratifica del Mes. La nostra non adesione infatti blocca l’Ue impedendo ad altri Paesi di accedere al sostegno. Questo continuo tergiversare sta diventando veramente imbarazzante, compromettendo la credibilità dell’Italia».Ricapitolando, la simpatica offerta Ue complessiva (se avessimo voglia di scherzare, citeremmo l’indimenticabile “logica di pacchetto”) può essere così sintetizzata: voi accettate una riforma del Patto di stabilità che vi danneggia e vi commissaria, e in più dovete anche sbrigarvi a dire sì al Mes, affinché altri possano utilizzarlo (anche a vostre spese e con un evidente stigma contro l’Italia sui mercati). Diciamo che l’affare non sembra clamoroso, a essere gentili: con la controparte che ogni settimana posa sul tavolo pistole sempre più cariche e minacciose. In questo contesto, è positivo che per ora il governo resista. Ieri Giancarlo Giorgetti, da Roma, ha ribadito che, sull’impatto della ratifica del Mes, «bisogna approfondire e approfondiremo». Nella giornata precedente, intanto, a Montecitorio, dove sono incardinate due proposte di legge (Iv e Pd) per la ratifica, alcuni deputati di Fdi avevano chiesto di «acquisire elementi informativi dal governo». E così al momento la calendarizzazione delle proposte non è avvenuta.
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Parla Gaetano Trivelli, uno dei leader del team Recap, il gruppo che dà la caccia ai trafficanti che cercano di fuggire dalla legge.
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Su un testo riservato appare il nome del partito creato da Grillo. Dietro a questi finanziamenti una vera internazionale di sinistra.
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Nel 1937 l’archeologo francese Fernand Benoit fece una scoperta clamorosa. Durante gli scavi archeologici nei pressi dell’acquedotto romano di Arles, la sua città, riportò alla luce un sito straordinario. Lungo un crinale ripido e roccioso, scoprì quello che probabilmente è stato il primo impianto industriale della storia, un complesso che anticipò di oltre un millennio la prima rivoluzione industriale, quella della forza idraulica.
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Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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