2020-06-04
Sala vede le auto come porno e armi. La fatwa verde danneggia il Comune
L'autogol del sindaco: cerca sponsor ma esclude il settore in nome dell'ambientalismo.Le case automobilistiche come il porno, quasi peggio del traffico d'armi, più pericolose dell'alcolismo da whisky. Accade a Milano dove le sponsorizzazioni dei privati alle aree pubbliche da oggi devono sottostare a regole ispirate da Greta Thunberg. C'è un signore in città che ha deciso di ripercorrere la florida carriera di Al Gore, il vicepresidente di Bill Clinton che fece fortuna con l'ecologismo da convegno (50 milioni in dieci anni) ma non condivise nulla. È il sindaco Giuseppe Sala, sempre meno amministratore della cosa pubblica nella metropoli più europea d'Italia (effetti economici del Covid permettendo) e sempre più avviato verso il destino da guru del global warming. Dopo le calze arcobaleno, il monopattino selvaggio e la trasformazione di corso Buenos Aires in una pista ciclabile dove tutti arrotano tutti, l'ex manager socialista nell'anima che circumnavigava la Sardegna sullo yacht ha deciso di dare un'accelerata alla decrescita felice del già disastrato bilancio cittadino. A lui non interessa salvare Milano ma salvare il pianeta. Così ha approvato le linee guida per l'intervento dei privati nella rigenerazione urbana vietando «la pubblicità del tabacco, dei superalcolici, del materiale pornografico, delle armi». E nello stesso panel dei reprobi ha inserito «i brand automobilistici non coerenti con le policy di sostenibilità ambientale promosse dal Comune, nonché i messaggi offensivi, incluse le espressioni di fanatismo, razzismo, odio, minaccia, comunque lesive della dignità umana». Insomma, come quelle che ha riservato ai concittadini che passeggiavano un mese fa sui Navigli. Dalla sera alla mattina i costruttori d'auto si sono ritrovati all'inferno. Dopo avere contribuito nell'ultimo mezzo secolo a sostenere le casse municipali con la cartellonistica, le sponsorizzazioni, la riqualificazione delle piazze e la manutenzione del verde pubblico comprese le aiuole spartitraffico, eccoli sul banco degli imputati. O si adeguano a regole fumose e talebane di compatibilità ambientale (è noto che i marchi d'auto lavorano già sulle emissioni secondo rigidi protocolli europei) oppure saranno tagliate fuori dai bandi. È il trionfo della città etica, dove il realismo della ragione è in perenne lockdown e imperversano bagliori di dirigismo iraniano. O meglio pechinese, per la felicità del sindaco che abbracciava un cinese mentre la pandemia galoppava. Nel nuovo codice caro a Sala c'è un altro passaggio inquietante: la pretesa degli uffici di valutare i messaggi «non green» contenuti nelle pubblicità, che di conseguenza dovranno passare al vaglio di una commissione d'esame. Praticamente una censura preventiva. Lo schiaffo in pieno volto ai marchi più famosi rischia di diventare un autogol non solo economico (si parla di un business di decine di milioni) ma anche strategico. È possibile che di fronte a una provocazione così palese le case automobilistiche abbiano la tentazione di andare a investire altrove per pubblicizzare i loro modelli Euro 5, 6 o addirittura elettrici. Quelli che i milanesi sono invitati a utilizzare nelle Aree B e C a pagamento. Il corto circuito è totale, soprattutto dopo questi tre mesi di blocco, fondamentali per comprendere che la percentuale più alta di inquinamento non proviene dai mezzi privati. La decisione di escludere i brand automobilistici ha attirato subito le critiche di Carlo Calenda, eurodeputato e leader di Azione, che su Twitter si è rivolto direttamente al sindaco: «Caro Beppe, sono queste le idee interessanti di Grillo? Equiparare le macchine alla pornografia, tabacco e armi? Un settore che dà lavoro a milioni di persone». Fra un anno a Milano si vota e l'ennesima uscita green del borgomastro ha anche un sapore elettorale; rassicurati ecologisti e centri sociali, lui pensa di essere in una botte di ferro. Poi arriveranno i conti da pagare.
Jose Mourinho (Getty Images)