
Il senatore di Fdi: «Vinciamo le regionali e costringiamo alla resa il governo dell'inciucio. Non litigheremo come in passato. La prima battaglia comune sarà il presidenzialismo».Senatore La Russa, buona domenica.«Buona domenica a lei. Però l'avviso...».Mi avvisa di che?«Per l'intervista abbiamo una decina di minuti... Poi c'è l'Inter».Ubi maior...La partita, Ignazio La Russa, se l'è goduta alla grande: la sua Beneamata, ieri, ha battuto 4-3 il Sassuolo in un match avvincente. Dopo il successo della manifestazione del centrodestra di sabato, si può dire che per il senatore di Fratelli d'Italia, siciliano d'origine ma nerazzurro nel cuore, sia stato un weekend di grandi soddisfazioni.Allora, è contento di com'è andata sabato in piazza San Giovanni?«Contentissimo. Il popolo del centrodestra ha dimostrato di essere più avanti di tanti piccoli egoismi di partito. Che peraltro avevamo pure denunciato».Si riferisce alle bandiere della Lega sul palco? Poi ci arriviamo.«Be', la piazza è stata straordinaria. C'era una fila interminabile, gente di tutti e tre i partiti».L'organizzazione ha parlato di 200.000 persone, la Questura di 50.000.«Quando a San Giovanni ci andava la sinistra dicevano che c'era un milione di persone. Ieri la piazza era stracolma: se eravamo in 50.000, vuol dire che anche quando c'era la sinistra erano in 50.000».Al di là del balletto delle cifre, conta la differenza di stile tra la piazza del centrodestra e quelle dei centri sociali?«Be', noi non abbiamo avuto bisogno dei cantanti per riempirla».Si fida degli alleati?«Sono uno che nel concetto di alleanza ci ha sempre creduto».Starà pensando a una storica «Alleanza»: Alleanza nazionale.«Nel solco di Pinuccio Tatarella, sono stato sempre tra quelli che hanno fatto un passo avanti verso l'unità del centrodestra. Anzi, forse, quando abbiamo battezzato il Pdl, ne avevamo fatto uno di troppo».Quindi mai più partito unico?«Ci vuole un equilibrio tra forze politiche coinvolgente per tutti. E la piazza ci ha dato ragione».La sento radioso.«Sono molto contento anche per l'exploit di Giorgia Meloni, che per capacità dialettica non è stata seconda a nessuno».Le dispiacerebbe perdere compagni di viaggio come Mara Carfagna o Renato Brunetta?«Sì, mi dispiacerebbe molto. Ma non credo che li perderemo. Non riesco a credere che una come la Carfagna, che stimo come amica personale, possa cedere alle sirene di Matteo Renzi».Dice?«Sarebbe in contraddizione con la sua storia politica».A un certo punto sembrava che la Lega stesse fagocitando l'elettorato di Fratelli d'Italia. Poi, dopo la crisi di governo, avete cominciato a crescere in modo sorprendente. «La devo correggere».Perché?«Non è mai sembrato che la Lega ci fagocitasse. La crescita di Fdi c'è sempre stata, sia con il governo Lega-M5s, sia con questo governo Renzi-Pd-Di Maio».Be', adesso è molto più evidente.«Sicuramente si è accentuata. Ma la Lega non ci ha mai fagocitato, nemmeno quando era al governo, con i riflettori addosso e noi eravamo all'opposizione, in una posizione difficile».Difficile?«Di certo non volevamo stare al governo con i 5 stelle, ma nemmeno volevamo contrastare le cose buone che Matteo Salvini riusciva a far votare».È stata decisiva la coerenza?«Proprio quella. E poi, in una fase storica in cui la leadership conta moltissimo, la capacità di Giorgia di far ricredere quelli che l'avevano sottovalutata».Alla fine a San Giovanni non si sono visti i tanto temuti saluti romani. Perché quest'insistenza dei media sulla presenza di Casapound? Vogliono ridurre il disagio di oltre il 40% dell'elettorato al mantra del fascismo che torna?«Tutte le volte che la sinistra è in difficoltà cerca di ricorrere a riti da 25 aprile. Superati nel tempo, nella coscienza popolare e anche nell'intelligenza».Un mezzuccio?«È sempre più difficile, ma ci provano lo stesso. Che poi, questa storia del saluto romano, a oltre 70 anni dalla fine del fascismo...».Cosa sta per dire?«Che prima o poi bisognerà stabilire che per commettere un reato ci vuole più di un braccio alzato».E che pensa della presenza di Gad Lerner alle manifestazioni di destra? Dopo Pontida, Roma.«Sperava tanto in una sberla, in uno spintone... Peccato, non c'è riuscito a farsi picchiare».Voleva provocare?«Anche lui c'ha provato ancora. È stato solo ignorato e invitato ad andarsene. Gli è andata male».Però sembra che qualcuno lo abbia insultato.«Ha avuto qualche trafiletto dai soliti amici della stampa. Il massimo che ha ricevuto da noi è stato un fischio. Di sicuro non poteva aspettarsi degli applausi».Sul Corsera, Pierluigi Battista ha scritto che il centrodestra ora rischia una deriva piazzaiola che gli precluderà la capacità di diventare forza di governo. Forse le sberle ricevute da Salvini in Europa ne sono la prova. C'è il rischio di un'involuzione da sovranismo integralista?«Intanto mettiamo i puntini sulle “i" a proposito della piazza».Mettiamoli.«In un Paese in cui non ci fanno votare, è normale che la gente vada in piazza. Abbiamo incanalato in modo democratico e civile il malcontento di un popolo al quale si nega il diritto di scegliere».Dice «in modo civile», perché invece qualcuno, quando scende in piazza, non lo è altrettanto.«Dagli anni Sessanta la sinistra ha usato la piazza in modo violento, con morti e scontri con la polizia. A San Giovanni c'era una festa di popolo. La polizia ha detto che mai una manifestazione era stata così tranquilla e serena».Era quello che dicevamo prima: la differenza di stile.«Non è solo una differenza di stile. C'è una differenza antropologica tra l'uomo di destra e l'uomo di sinistra».Addirittura?«Pensi solo al rispetto delle forze dell'ordine. Quelli di sinistra rispettano le istituzioni solo quando ne sono a capo».La prima battaglia comune del centrodestra sarà sul presidenzialismo?«È dal 1946, da quando fu fondato il Msi, che la destra chiede l'elezione diretta del capo dello Stato. Mi auguro che stavolta diventi davvero la battaglia principale del centrodestra».Elezione diretta del presidente della Repubblica e poi? Che modello preferite?«Il modello più semplice è mantenere gli attuali poteri, ma farli derivare, appunto, dall'elezione diretta. In modo tale che siano esercitati nell'interesse non dei partiti, ma del popolo».Se invece doveste pensare di modificare anche i poteri del capo dello Stato?«In Parlamento abbiamo presentato pure una riforma nel senso del semipresidenzialismo alla francese, in cui il presidente della Repubblica è colui che presiede il Consiglio dei ministri».Prima della manifestazione di sabato c'era stata la polemica sulla presenza delle bandiere della Lega sul palco. Cosa ci assicura che il centrodestra non ricomincerà a litigare, come ai tempi di Gianfranco Fini e Marco Follini?«Ci possono essere discussioni tattiche. Ma c'è un unico letto per questo grande fiume, che qualcuno chiama sovranista, ma che a me piace chiamare patriottico».Vuole passare dai sovranisti ai patrioti?«È una proposta che voglio fare alla Meloni: parlare sempre più nei termini che lei stessa ha coniato. Noi siamo, più che sovranisti, patrioti».Il fiume dei patrioti, dunque.«Un fiume che ha convinto anche Salvini a parlare di orgoglio italiano. Chi se lo sarebbe mai immaginato dalla Lega?».Da quella di Umberto Bossi, nessuno.«Già questa la considero una grande vittoria culturale della destra, di Fdi, se vuole di Giorgio Almirante: le nostre parole che fioriscono nella bocca non degli avversari, ma degli alleati».Quindi promette che non litigherete?«Dicevo che ci possono essere discussioni tattiche, ma l'anelito a costruire un governo patriottico non ha niente a che vedere con il passato. E lo sa anche Silvio Berlusconi, che pur cercando di ritagliarsi, giustamente, un ruolo un po' diverso, alla fine converge su questa posizione».La prima battaglia sarà in Umbria. Siete obbligati a vincere. Partirà da lì la spallata ai giallorossi?«A noi sarebbe piaciuto confrontarci alle elezioni politiche. Con le regionali faremo dalla finestra quello che non siamo riusciti a fare dalla porta».Spera anche nell'Emilia Romagna?«Io dico che le regionali le vinceremo tutte. E questo strano governo dell'inciucio e della poltrona si dovrà arrendere».Un governo che pare già sull'olro della crisi. Durano davvero fino al 2022, quando si eleggerà il nuovo capo dello Stato?«Ah, guardi, fosse per loro durerebbero in eterno. Se potessero abolire la democrazia...».Vogliono pure togliere il voto agli anziani...«Già. Però lo daranno agli immigrati che hanno fatto la quinta elementare».
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





