2022-09-28
Mosca ridisegna i confini dell’Ucraina. «Pronti a trattare a nuove condizioni»
Coda per il referendum a Mariupol. Nel riquadro, il politologo Pavel Kimovich Baev (Ansa)
Il referendum dà il pretesto: «Donbass e le zone occupate sono Russia». Se Kiev spara ancora, per il Cremlino sarà aggressione.Il politologo Pavel Kimovich Baev: «La mobilitazione parziale è lo sforzo massimo sostenibile. Putin è stato consigliato male, rischia un colpo di Stato».Lo speciale contiene due articoli. Secondo le autorità russe nelle quattro regioni ucraine occupate dalle forze di Mosca oltre il 96% dei cittadini che hanno partecipato ai referendum si è espresso per l’unificazione con la Federazione Russa. Questo è quanto risulterebbe dallo spoglio parziale dei voti, secondo i dati preliminari che sono stati diffusi dalle autorità separatiste. Nell’autoproclamata repubblica di Donetsk sarebbe stato scrutinato il 14,07% delle schede e il 97,79% dei votanti si sarebbe espresso a favore dell’unificazione. La percentuale dei voti favorevoli all’annessione sarebbe poi pari al 97,83% nel Lugansk, dove sarebbe stato scrutinato il 21,11% delle schede e - secondo la commissione elettorale russa - l’affluenza si sarebbe attestata al 92,6%. Nelle regioni di Kerson e di Zaporizhzhia i voti a favore dell’unificazione sarebbero rispettivamente pari al 96,97% (con lo scrutinio al 14%) e al 98% (con lo scrutinio al 20%). Inutile dire che il risultato non è mai stato in dubbio visto il clima a dir poco intimidatorio nel quale si è svolta la consultazione. Per chiudere il cerchio, manca solo che Vladimir Putin annunci formalmente l’adesione alla Russia dei territori occupati in Ucraina. Secondo il ministero della Difesa inglese questo accadrà il 30 settembre, quando il presidente russo prenderà la parola davanti all’assemblea federale, la sessione congiunta di entrambe le camere del Parlamento: «Esiste una possibilità realistica che Putin utilizzi il suo discorso per annunciare formalmente l’adesione delle regioni occupate alla Federazione Russa», ipotizza l’intelligence di Londra. Lo schema che i russi potrebbero utilizzare è questo: il 29 settembre il Consiglio della federazione, quindi la camera alta del Parlamento, potrebbe votare l’annessione dei territori ucraini occupati il 29 settembre, mentre il giorno dopo Putin, che si rivolge al Consiglio ogni anno per parlare di politica interna ed estera, non farebbe altro che avallare il processo di annessione. A proposito di questo occorre ricordare che non si contano più coloro che si sono espressi contro l’operazione di annessione dei territori occupati e tra loro, dopo la Turchia, c’è anche la Serbia, da sempre alleato fedele di Mosca, che non accetterà l’esito del referendum: come ha detto il ministro degli Esteri serbo, Nikola Selakovic, «sarebbe del tutto contrario ai nostri interessi statali e nazionali». Se davvero il prossimo 30 settembre le cose andranno come pensiamo, non sarà certo una novità perché già nel 2014, all’epoca dell’annessione della Crimea, la Russia utilizzò questo percorso. Ma stavolta le conseguenze rischiano di essere devastanti sulla guerra e per capirlo basta leggere le parole dell’incendiario ex presidente russo Dmitrij Medvedev che ieri dall’agenzia Ria Novosti ha dichiarato: «Abbiamo il diritto di usare le armi nucleari se necessario e non è un bluff», cosa già detta da Putin ma è evidente che Medvedev si riferisce ai territori annessi dicendosi anche convinto che «la Nato non interferirà direttamente nel conflitto». Ma cosa intende davvero? Semplice: se gli ucraini proseguiranno nella controffensiva in quei territori - che dal 30 settembre potrebbero essere formalmente russi dal punto di vista del Cremlino - sarà come se attaccasse a Mosca. Con tutto ciò che questo potrebbe implicare anche per la Nato, che a qual punto si troverebbe con le spalle al muro e davanti ad un bivio.Su questo il segretario di Stato americano, Antony Blinken, è stato lapidario: «Le armi che stiamo fornendo sono state finora usate in modo efficace dagli ucraini. Kiev ha il diritto di continuare a difendersi anche nei territori che saranno eventualmente annessi dalla Russia. Dal nostro punto di vista non cambia niente, non li riconosceremo mai».Intanto a Mosca non si fermano le proteste per la mobilitazione parziale e chi può scappa: migliaia di cittadini russi, fino a 10.000 al giorno, stanno cercando di entrare in Georgia e solo ieri circa 5.500 veicoli sono stati bloccati al confine a sud di Vladikavkaz. Per il governo del Kazakistan sarebbero circa 98.000 i russi fuggiti per non andare in guerra. In questo clima occorre registrare che ieri l’agenzia Tass dà notizia che, durante una conversazione con il leader turco Recep Tayyip Erdogan, Putin «ha affermato che la Russia è rimasta pronta per i negoziati con l’Ucraina, ma poiché la situazione cambia anche le loro condizioni cambiano». Lo stesso concetto lo ha ribadito ai media il portavoce presidenziale russo Dmitry Peskov: «Il presidente ha detto che ovviamente la Russia rimane pronta a negoziare, ma quando la situazione cambia cambiano anche le condizioni». Qualcosa si sta muovendo, visto che anche il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu ha affermato che durante una conversazione avuta con Erdogan a Samarcanda Putin avrebbe detto che «la ripresa del dialogo con Kiev resta una possibilità». Nessuno però è in grado di sapere se Putin voglia davvero trovare un modo di uscire da una guerra che ormai non può più vincere militarmente.
Il primo ministro del Pakistan Shehbaz Sharif e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (Getty Images)
Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco