2025-04-30
Ruini avverte l’area progressista: «Chiesa a rischio, serve una guida»
L’ex capo della Cei manda un messaggio a chi sogna la continuità con il pastore gesuita: «Abbiamo bisogno di un papa credente, caritatevole e dottrinalmente sicuro». Poi indica la priorità: «Alimentare la fede».«Servirà un papa che sia profondamente credente». Quella del cardinale Camillo Ruini è al tempo stesso una dolce banalità e una bomba atomica. La frase pronunciata in un’intervista al Corriere della Sera percorre i sacri corridoi e bussa alle porte dei porporati con l’intenzione di svegliarli definitivamente. Prima che apra il conclave, prima che sia troppo tardi. Colui che fu il più giovane porporato italiano (nominato da San Giovanni Paolo II) e che per anni si è seduto alla destra di papa Benedetto XVI, oggi a 94 anni ha il distacco per osservare l’orizzonte e la lucidità per indicare la via. Così aggiunge: «Servirà un Papa caritatevole, anche nella gestione della Chiesa, dotato di attitudine nelle questioni di governo. Bisogna restituire la Chiesa ai cattolici».A molti sembrerà il manifesto dei conservatori, ma allora lo era anche l’edificatore Pietro. Ad altri una netta presa di distanza dal pontefice che riposa in Santa Maria Maggiore, dalle sue ambiguità dottrinali, dalle sue fughe in avanti con repentina retromarcia, dal suo populismo sudamericano. In realtà il cardinal Ruini ricapitola le pietre angolari della Cupola di Dio, capace di attraversare i millenni senza incrinarsi. Lo aveva fatto qualche giorno fa con i quattro auspici per la Chiesa del futuro: «Confido in una Chiesa buona e caritatevole, dottrinalmente sicura, governata a norma del diritto, al suo interno profondamente unita». Lo ha rifatto ieri dotandosi di un linguaggio più diretto, for dummies, per parlare sul più diffuso quotidiano italiano anche agli agnostici, agli atei, ai furbi che anelano ai vantaggi della secolarizzazione. E per sottolineare che «con un’intenzione missionaria Francesco si era rivolto soprattutto a quanti erano distanti, con modalità che hanno irritato chi per anni si era speso a difendere le posizioni cattoliche. È sembrato privilegiare i lontani a scapito dei vicini. Con il paradosso per cui favorevoli a papa Francesco sono per lo più i laici mentre contrari sono spesso i credenti». Quanto alla rupture, alla destrutturazione delle istituzioni, approfondisce Ruini: «Il Papa non voleva destrutturare, voleva purificare. Pensiamo all’enorme problema della pedofilia». Missione incompiuta, come altre. In conclusione, quasi guardando negli occhi i cardinali avviati verso la Cappella Sistina, l’ex presidente della Cei ammonisce: «La priorità del nuovo pontefice dovrebbe essere quella di alimentare la fiamma della fede che in molte zone del mondo minaccia di estinguersi. La dialettica fra conservatori e progressisti è salutare, ma se si radicalizza e diventa patologica può avere effetti devastanti, paralizzando la vita della Chiesa». Da qui la necessità di dialogo, di superamento della contestazione dei capisaldi che negli ultimi anni hanno assaggiato il piccone dei teologi ultra progressisti. Elenca Ruini: «L’adesione alla dottrina, le strutture ecclesiali, a partire dal papato e dall’episcopato. Se vengono messi in dubbio si mina la certezza della verità e si toglie la gioia della fede. Non possiamo accontentarci di una fede problematica». Non esistono solo il fideismo green, i diritti delle minoranze purchessia, i desideri universali scambiati per principi, l’integrazione come dogma e non come faticoso obiettivo.Il messaggio in bottiglia è chiarissimo e i destinatari non sono i tradizionalisti o i moderati, che da tempo (chi uscendo allo scoperto, chi rimanendo nel gregge) hanno ben presenti i pericoli. Ma sono i rivoluzionari da salotto, i nostalgici della teologia della liberazione, i teorici della Chiesa trasformata in una Ong, bravi nello scambiare la carità per il potere. «Non possiamo accontentarci di una fede problematica». È la chiave di tutto. Perché una fede liquida avvelena il campo già arato, è gramigna. E indebolire la dottrina per compiacere chi non crede, per essere in sintonia con i laici e con il vasto mondo dei media progressisti, è la malattia, non la cura. San Pietro ebbe un sussulto quando papa Francesco avrebbe negato in un dialogo con Eugenio Scalfari «la resurrezione della carne», non quando il Papa indossò le scarpe da contadino invece delle pantofole rosse (che peraltro indicano il sangue dei martiri sui quali si fonda la casa di Dio). Se si annacqua la dottrina, se cadono i principi e si indebolisce la struttura, a cosa serve la Chiesa? Se il trascendente non ha più senso, soffocato dal relativismo, allora va bene che sia Emmanuel Macron a indottrinare i vescovi francesi. E Xi Jinping a scegliere quelli cinesi. O diventa accettabile che un politico come Andrea Riccardi (Sant’Egidio) pretenda di guidare le danze in Vaticano. Nel magma dell’irrilevanza o della subalternità, anche i gesuiti finirebbero per essere un’associazione culturale. Camillo Ruini parla ai tifosi dello sfascio, a coloro che si struggono per gli applausi di Mario Capanna («Quello di Bergoglio è stato un nuovo ’68») o per gli anatemi di Giovanna Musilli («Indietro non si torna»), insegnante mediatica nota per l’imperdibile saggio dal titolo Io non voto Giorgia. Le parole di Ruini si sovrappongo a quelle del cardinal Gerhard Müller, che qualche giorno fa aveva detto, rivolgendosi alla stessa platea: «Dottrina non è una sorta di teoria sul mondo ma è la confessione della fede, la liturgia, la pastorale, un sentiero di verità di Dio valido per offrire l’orientamento morale ai fedeli». Una fotografia fattuale: la Chiesa non deve inseguire i fedeli per blandirli, ma deve guidarli. Con un monito che Emma Bonino, Fabio Fazio, Vladimir Luxuria forse non colgono: «In conclave non si elegge un successore di Francesco, ma il successore di Pietro».