
Dieci anni fa il soffitto gli crollò addosso. Andrea Macrì ricorda: «Un tubo mi spezzò la schiena, un compagno morì. Tanto clamore dopo le tragedie, poi non si fa nulla».Andrea ricorda tutto di quel giorno. Era il 22 novembre 2008, lui era a scuola, nella sua aula di quarta liceo, sezione G. Un rumore improvviso, sordo, il crollo, un tremendo impatto che gli spezza la schiena, poi la polvere tutto intorno, le urla. Andrea era nel luogo che dovrebbe essere per i ragazzi tra i più sicuri al mondo: era a scuola, il liceo Darwin a Rivoli, in provincia di Torino. Ma quella scuola, un ex convento, non era a posto, come peraltro accade per il 70% di istituti scolastici in Italia. La Verità lo sa bene, visto che ha pubblicato l'elenco delle scuole che non hanno tutte le carte in regola dal punto di vista della sicurezza. Solo che a volte succede come a Rivoli, dieci anni fa. Sotto il soffitto crollato quel giorno perse la vita un ragazzo, Vito Scafidi. Andrea Macrì invece rimase seriamente ferito. «Se oggi cammino, a fatica, con un tutore e due stampelle, è già tanto», esordisce. «Ma i primi due anni li ho passati in carrozzina». Da quel momento tragico la vita di Andrea è stata una risalita, veloce peraltro, grazie a un carattere spigliato, a una forza di volontà non comune e allo sport. Oggi Andrea è un atleta paralimpico, ha già preso parte a un'Olimpiade come schermidore nella specialità fioretto e a due Olimpiadi invernali con la nazionale italiana di para ice-hockey. Lo raggiungo in una pausa del ritiro della nazionale azzurra. Andrea, ricordi quel giorno di dieci anni fa, a scuola?«Era un sabato mattina, c'era la voglia di buttarsi alle spalle anche quella settimana di lezioni e pensare al week-end. Ricordo che c'era tanto vento».Il vento.«È un particolare che secondo alcuni potrebbe avere anche avuto un ruolo nella tragedia, pensa un po'».Poi mi spieghi. Quando è successo il tutto?«Era l'intervallo di metà mattinata. Io ero seduto al mio banco, in fondo all'aula. Vito era in piedi, poco più avanti rispetto a me. Poi, il vento…».Ecco, cosa c'entra?«Penso nulla, la vera causa è che quella scuola era insicura. Avevano fatto dei lavori e sopra il controsoffitto, che non era moderno ma di vecchio stampo, in cemento armato, qualcuno aveva dimenticato dei tubi in ghisa, molto pesanti. A un certo punto si è sentita una porta sbattere, o forse una grande folata di vento appunto, e l'istante dopo è venuto giù tutto».Ma come è stato possibile?«Non lo so. Dicono che un microsbalzo di pressione all'interno dell'aula abbia fatto sollevare il controsoffitto di pochissimo, questione forse di un millimetro. Nel riadagiarsi il peso dei tubi di ghisa probabilmente ha determinato il crollo».A te cosa è successo?«Ero seduto e piegato in avanti, con la testa appoggiata sul banco. Un tubo mi è piombato sulla schiena, spezzandomela all'altezza della terza vertebra lombare. Lì c'è stata la lesione del midollo osseo. Ho anche subito un trauma polmonare per lo schiacciamento del petto sul banco, un'emorragia. Intanto Vito non c'era più…».Pensi spesso a lui?«Sì, e provo rabbia. Io sono qui, la sua vita è stata spezzata, ed è maledettamente ingiusto».Non hai mai perso conoscenza.«Ricordo tutto, la polvere, i compagni. La prima sensazione è stata di vivere un incubo, di essere in un film. Mi sono toccato le gambe, non le sentivo più, anche se a 17 anni non sapevo esattamente cosa avrebbe voluto dire».Quanto sei stato in ospedale?«Nove mesi, ho finito l'anno scolastico in un reparto dell'unità spinale. I successivi due anni li ho passati in carrozzina».Eri convinto di avere perso l'uso delle gambe?«In realtà no, ho sempre lottato. I medici mi hanno sempre manifestato spiragli di ottimismo perché la lesione era parziale. Con il tempo, con il lavoro, con l'aiuto dei miei familiari ho in parte recuperato l'uso degli arti. La sensibilità è tornata al cento per cento, e oggi cammino, a modo mio. Certo, non pensiate che sia facile, ho nella schiena quattro viti e due barre di metallo che mi tengono insieme, potete immaginare i dolori, lo sforzo, la fatica anche solo per fare una breve passeggiata».Avrai ottenuto un risarcimento, spero.«Certo, l'assicurazione ha pagato, non mi piace parlare però molto di questa faccenda. Dovrò curarmi per una vita intera, invece a Vito, ai suoi familiari chi li risarcirà per una vita portata via?»Chi ti ha aiutato?«Ho due genitori magnifici, mamma Lauretta e papà Vincenzo. Ho un fratello più grande, Francesco, che ha sopportato il peso più gravoso, doveva consolare me e i genitori allo stesso tempo. Poi, mi ha aiutato vedere».Cosa?«Sei mai entrato in un'unità spinale?»Ammetto di no.«Quando tocchi con mano il livello di disabilità che ti circonda, non puoi abbatterti. È un dovere reagire. Ci sono persone in condizioni strazianti, come fai a non pensare “a me in fondo è andata meglio"? Certo, alcuni si fanno scivolare addosso questo ragionamento, sono egoisti, ma se sei intelligente non puoi rimanere indifferente. Quando mi chiedono: “Chi sono i tuoi eroi"? Io rispondo: “I miei compagni". Su tutti voglio citare l'ex capitano della nazionale di hockey Andrea Chiarotti, che è morto pochi mesi fa».Quanto ti ha aiutato lo sport nella risalita?«Tantissimo. Nell'unità spinale di Torino c'era proprio la sport-terapia. Ho iniziato con la scherma, poi un amico ha insistito tantissimo perché provassi l'hockey che oggi mi è entrato dentro come una droga».Secondo una stima, il 70% delle scuole italiane non è a norma dal punto di vista della sicurezza.«Questa cosa mi fa incazzare tantissimo. È assurdo. Io mi aspetto la chiusura degli istituti non a norma. Invece siamo un Paese rassegnato, ci accontentiamo, pensiamo “tanto non accadrà proprio ai miei figli". Io invece l'ho vissuto in prima persona, Vito è morto. Ma siamo fatti così: serve la tragedia per accendere un riflettore, anzi che dico una lampadina per dieci giorni, poi passa il cordoglio, passa l'emergenza e non si fa nulla. Qui sono passati dieci anni e non è successo granché!»Anzi, la situazione non sembra migliorare.«Sai cosa ci vorrebbe? Una presa di posizione eccezionale, speciale. Una rivolta di studenti e genitori, ecco. La scuola è fuori norma? Tutti fuori! Nessuno entra più lì finché non sarà messo in sicurezza ogni singolo muro, ogni crepa, ogni angolo. Ci vorrebbe una protesta civile di massa. Invece sento solo chiacchiere, promesse, parole, poi viene tutto vanificato dalla mancanza di soldi, dalla burocrazia. Guarda Genova».Il Ponte Morandi?«Che tristezza. Cosa devo pensare, che ogni volta che passo sopra o sotto un ponte rischio la vita? Che assurdità. Ti cito una statistica: sai quali sono in teoria i luoghi più sicuri in cui trovarsi?».Quali?«Gli ospedali al primo posto. Le scuole al secondo. Già, le scuole. Se vado su una scala posso accettare una certa quantità di pericolo, così su un ascensore, in strada. Ma non a scuola… C'è un'altra cosa che mi fa incazzare».Dimmela.«Ci sono persone che quando parlano pubblicamente vogliono apparire dei salvatori. Fanno promesse, dicono che risolveranno tutti i problemi, ma chiacchierano e basta. Magari poi si vergognano anche di essere italiani. Invece i problemi si risolvono insieme, con uno sforzo comune. Io avrei tutto il diritto di vergognarmi per come lo Stato mi ha trattato, invece sono orgoglioso di essere italiano ogni volta che difendo i colori della Nazionale».Andrea come vedi il tuo futuro?«Fino a giugno lavoravo in banca, ma ho deciso di licenziarmi perché mi trascuravo troppo, dovevo dedicare più tempo a me stesso e alla fisioterapia. Ora ho il sogno di imbarcarmi in qualche progetto legato all'enogastronomia, una vera passione».Andrea, sei più rientrato in quella scuola?«Certo. Ho finito la quarta in ospedale, ma all'inizio dell'ultimo anno di liceo sono rientrato al liceo Darwin».Cosa hai fatto, appena in aula?«Un gesto che nessuno fa. Ho alzato lo sguardo e ho visto che cosa c'era sopra la mia testa».
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