
Le opere dei due celebri compositori hanno ispirato un'infinità di piatti, dalla pasta alla Norma alla torta alla Guglielmo Tell. A Verdi e Puccini sono stati intitolati due risotti speciali, mentre al grande tenore Caruso venne dedicato un ragù in Uruguay.«Non conosco un'occupazione migliore del mangiare, cioè, del mangiare veramente. L'appetito è per lo stomaco quello che l'amore è per il cuore». Firmato: Gioachino Rossini. Amante in ugual misura delle belle donne, del fois gras e del tartufo - la musica era su un piano inarrivabile- Rossini era ironico fino al paradosso. È comunque vero che il padre di Figaro considerava la gastronomia un pilastro dell'esistenza. «Mangiare, amare, cantare e digerire sono i quattro atti di quest'opera buffa che è la vita». Andava pazzo per i maccheroni che si faceva arrivare direttamente da Napoli. Quando la spedizione tardava ad arrivare, s'intristiva e, lacrimevole, firmava le lettere agli amici «Gioachino Rossini, senza maccheroni».Alla cantante Isabella Angelica Colbran, sua prima moglie, inviava missive nelle quali non si sprecava in saluti e baci, mirando, più che alle labbra, al palato: «Ciò che mi interessa ben altrimenti che la musica, cara Angelica, è la scoperta che ho fatto di una nuova insalata, della quale mi affretto a inviarti la ricetta». Eccola, costosetta, ma semplice: lattuga, olio, aceto francese, senape inglese, pepe, succo di limone e scaglie di tartufo. Rossini avrebbe messo il tartufo dappertutto, anche nel latte. Lo chiamava il «Mozart dei funghi» e gradiva, con uguale corrispondenza d'amorosi sensi, il nero di Norcia e il bianco di Acqualagna.Quello del maestro è il nome celebre più presente nella storia della gastronomia. Si può scrivere un libro di ricette con i piatti che portano il suo nome. Oltre all'insalata di cui andava ghiotto e orgoglioso, nel menu del pesarese troviamo, in un crescendo rossiniano, consommé alla Rossini; maccheroni alla Rossini; cannelloni alla Rossini; uova affogate alla Rossini (con il tartufo); filetto di sogliola alla Rossini; lombata di capriolo alla Rossini, per cucinare la quale, un giorno che aveva in visita Richard Wagner che gli stava antipatico, interruppe più volte la conversazione con grande disappunto del tedesco. Ancora: crostini alla Rossini (con fois gras); frittata alla Rossini (con tartufi); chaud-froid de poulet à la Rossini (con fois gras e tartufo); torta alla Guglielmo Tell, dedicata al compositore dal grande pasticciere Antonin Carême per celebrare l'opera rappresentata a Parigi nel 1829. A Carême - con la direzione orchestrale del compositore- è attribuito il piatto più celebre col nome del pesarese: i tournedos alla Rossini, medaglioni di cuore di filetto di bue alla griglia, al sangue, arricchiti con tartufo, fois gras, salsa di Madera, burro aromatizzato. Tournedos deriva da tourner le dos, girare il dorso. Un aneddoto, più divertente che verosimile, racconta che il nome è dovuto al fatto che il maggiordomo era costretto a prepararli girando le spalle agli ospiti, per non rivelare gli ingredienti segreti. Non era questo lo stile di Rossini. Più probabilmente si chiamano così perché la carne viene cotta (o, almeno, dovrebbe esserlo) alla presenza dei commensali, ma su griglie poste alle loro spalle.Che la musica titilli, oltre l'anima, l'ispirazione e gli orecchi, anche le papille gustative dei grandi compositori, lo conferma Giuseppe Verdi, pure lui grandissimo gourmet. Il momento del pranzo era talmente sacro al Cigno di Busseto che, prima di sedersi a tavola, si cambiava d'abito. Tra i suoi piatti preferiti c'era il risotto alla milanese, che cucinava personalmente con una ricetta da lui stesso elaborata. Una sinfonia di sapore passata alla storia della cucina come Risotto alla Verdi. Ci è stata tramandata perché, nel settembre del 1869, Giuseppina Strepponi, moglie del maestro, la inviò a Camille Du Locle, librettista e impresario dell'Opéra, che, dopo averlo assaggiato una prima volta cucinato da Verdi, desiderava ardentemente il bis. Al Du Locle la Strepponi passò la raccomandazione del compositore: per la buona riuscita del risotto ci volevano «tre buone manate» di parmigiano-reggiano.Giacomo Puccini, appassionato cacciatore della selvaggina che popolava il lago di Massaciuccoli, sulla cui riva a Torre del Lago si affaccia ancora la sua villa-museo, è dedicato il risotto con la folaga alla Puccini. A Villafranca di Verona si producono ancora i Dolci baci creati dal pasticciere Marcello Fantoni, incantato dalle languide carezze di Tosca, per onorare il compositore lucchese. Catania ha dedicato al capolavoro di Vincenzo Bellini la pasta alla Norma: maccheroni, pomodoro, ricotta, basilico e melanzane. Alla cantante lirica australiana Nellie Melba, il grande cuoco francese Georges Auguste Escoffier, suo ammiratore, offrì, dopo il trionfo del Lohengrin, un dolce in una coppa racchiusa in una scultura di ghiaccio a forma di cigno fatto con pesche sciroppate, adagiate su un letto di gelato alla vaniglia immerso in una purea di lamponi, rivestito di zucchero filato: la Pesca Melba. Al grande tenore Enrico Caruso il cuoco uraguayano figlio di immigrati Raymundo Monti, intitolò un ragù divenuto celebre in Sudamerica: la Caruso sauce. Ingredienti: farina, panna da cucina, latte, pecorino romano, prosciutto affumicato, cipolla, champignon.Cuochi e pasticcieri, gastronomi e ristoratori, gourmet e nutrizionisti hanno lasciato la loro firma indelebile su pietanze che hanno scritto la storia in tavola: capolavori di pasta, carne, pesci; salse e preparazioni; dolci. Chi non ha mai ordinato una paillard? La fettina di vitello, leggermente battuta, cotta alla griglia deve il nome al ristoratore parigino Paillard che si era fatto un nome nella Ville Lumiere della Belle Époque. Al farmacista francese Antoine Parmentier, vissuto a cavallo tra Sette e Ottocento, si deve il celeberrimo potage Parmentier, squisita crema di patate. Il Savarin, ciambella inzuppata nel rum, fu creato dal celebre pasticciere Auguste Julien (secolo 19°) e dedicato all'illustre gastronomo Anthelme Brillat-Savarin. Lo stesso pasticciere dedicò a San Onorato, patrono dei fornai, la torta Saint Honoré, meringa incoronata di bignè ripieni di crema Chantilly e imbottita di crema alla vaniglia.Alzi la mano chi non ha mai assaporato una fetta di Sachertorte, la torta al cioccolato, farcita con marmellata di albicocche, più famosa al mondo. La creò il viennese Franz Sacher nel 1832 per il principe Klemens von Metternich. La deliziosa besciamella ha tramandato alla storia il marchese Louis Béchameil de Nointel (secolo 17°) i cui meriti sono stati di essere un ghiottone e di essersi ruffianato François Pierre de La Varenne, cuoco del marchese d'Uxelles e autore di Le cuisinier francois (1680), che gli dedicò la celebre salsa. Noti più agli inglesi che agli italiani sono i Garibaldi biscuits, biscotti infornati per la prima volta nel 1861 e dedicati dai figli d'Albione all'eroe dei due mondi, che durante un soggiorno in Gran Bretagna ebbe molti ammiratori e ammiratrici. E il buffet? A quanto pare il self service fu inventato da Pierre Buffet cuoco di Francesco I re di Francia nella prima metà del Cinquecento, per favorire i pasti del sovrano durante i lunghi trasferimenti. Racconta lo storico Renzo Pellati che Buffet aveva ideato una grande cassa all'interno della quale sistemava vasellame e vivande. Una volta preparato il pranzo, la cassa diventava una tavola sulla quale erano esposti i vassoi, con i cibi.Sono dedicati ad Anna Magnani i ferrazzuoli alla Nannarella, pastasciutta con i pomodorini piennoli e il pesce spada che fu complice della passione tra la grande attrice e Roberto Rossellini. Una pasta vide nascere il loro amore, un'altra ne sigillò la fine. Quando Nannarella scoprì che il regista se la intendeva con Ingrid Bergman, gli scodellò in testa una terrina di spaghetti al pomodoro.
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