2025-11-05
Quando il M5s voleva il sorteggio e attaccava il potere delle correnti
I pentastellati ora gridano al golpe. Fino al 2019, però, la pensavano diversamente.In uno «Sberleffo» pubblicato ieri a pagina 2, il Fatto quotidiano ironizzava sul cambio di linea del Foglio, contrario al sorteggio dei membri del Csm nel 2018 e favorevole a quello previsto dall’attuale riforma. E si dava anche una spiegazione: «Sette anni fa, a ipotizzare il sorteggio - temperato, cioè dei candidati da eleggere - era Alfonso Bonafede, ministro della Giustizia del Movimento 5 stelle. E tanto bastava per affilare le penne». Può essere che le cose stiano in effetti così. Ma c’è ovviamente il rovescio della medaglia: com’è che il mondo grillino, di cui il Fatto è autorevole espressione, è passato nel giro di pochi anni dal proporre il sorteggio per i membri del Csm al gridare al golpe di fronte alla stessa misura? E lo stesso correntismo all’interno della magistratura ha forse cessato di essere il problema dei problemi in Italia, come esplicitamente veniva detto nei discorsi grillini dell’epoca, prima che Giuseppe Conte venisse folgorato sulla via del campo largo? Basti ricordare che nello stesso Contratto di governo siglato da M5s e Lega all’inizio dell’avventura gialloverde, si leggeva: «Il Consiglio superiore della magistratura deve operare in maniera quanto più indipendente da influenze politiche di potere interne o esterne. Sarà pertanto opportuno operare una revisione del sistema di elezione, sia per quanto attiene i componenti laici che quelli togati, tale da rimuovere le attuali logiche spartitorie e correntizie in seno all’organo di autogoverno della magistratura». E quali erano queste revisioni del sistema di elezione auspicato? Nel Programma nazionale del Movimento 5 stelle, risalente al 2018, si prevedeva che sia i consiglieri laici che quelli togati proponessero un’autocandidatura singola, fuori, quindi, da logiche di corrente, e che all’interno di questa rosa venisse estratto a sorte un elenco di papabili da sottoporre al voto (del Parlamento, per i primi, e dei colleghi, per i secondi). «Per combattere il fenomeno del correntismo, c’è l’ipotesi di una fase di sorteggio, non integrale», spiegava Bonafede in quegli stessi mesi. Può bastare il cavillo del sorteggio «non integrale», a differenza di quanto previsto dalla riforma attuale, per attestare una impossibile coerenza? Difficile sostenerlo, anche perché Pd e Anm fecero il diavolo a quattro anche contro la versione temperata. La posta in gioco, allora come oggi, era la stessa. Quanto al Fatto, giova ricordare che il 24 luglio 2019, sia pur nella sezione dei blog, ospitava un contributo di Francesco Carraro che per difendere l’idea del sorteggio si rifaceva niente di meno che alle origini della democrazia greca: «Si può ben dire», argomentava il collaboratore del Fatto, «che un metodo siffatto di scrematura (tra soggetti qualificati, s’intende) non rappresenta un vulnus al legittimo “senso di rappresentanza” tipico di ogni sensibilità “democratica”, ma semmai un ritorno alle origini stesse di quella sensibilità. E offre una garanzia straordinaria contro ogni degenerazione della politica applicata alla giustizia in cui il membro del Csm rischia di essere scelto non in ragione dei meriti, ma in base alla logica dell’appartenenza a un clan o dell’aderenza a una ideologia». Impossibile non notare la differenza con i toni da emergenza democratica usati oggi contro Nordio. Il sorteggio, scoprono ora i pentastellati, «non è certo il metodo migliore per scegliere i più bravi e motivati, e con buona pace anche per la parità di genere» (il deputato Alfonso Colucci alla Camera, il 16 settembre scorso) e inoltre «non può essere né imparziale, né risolutivo, in quanto non garantisce né efficienza, né trasparenza» (la senatrice Felicia Gaudiano, l’8 luglio). Come si cambia.
Operazioni di soccorso dopo il crollo ai Fori Imperiali (Getty Images)
Una donna in preghiera in una chiesa nei pressi di Lagos, Nigeria (Getty Images)