Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 5 novembre con Carlo Cambi
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2025-12-20
Da veloce pelapatate al risotto alla beduina. Parte dal Cadore la scalata del sior Dino
Dino Boscarato
Dino Boscarato è uno dei grandi ambasciatori della cucina italiana. Ha avuto una vocazione nata e fortificata con mamma e papà.
Il recente riconoscimento fatto dall’Unesco alla cucina Italiana quale patrimonio immateriale per l’umanità apre diversi scenari su quello straordinario aspetto di un Bel Paese dalle molte bellezze, tra storia, arte, cultura, paesaggi che poi trovano immancabile, nel visitatore curioso, il goloso centro di gravità permanente attorno a tavola dedicata, con piatti e relative tradizioni che variano da regione a regione, da campanile a campanile.
Ne consegue che un patrimonio di tale genere necessiti di ambasciatori dedicati che lo sappiano trasmettere e valorizzare. Ambasciatori di cui molti sono stati pionieri che non vanno dimenticati per il valore che hanno saputo dare alla nostra cucina, spesso con iniziative a darle contorno che fanno parte della nostra storia applicata alla cultura materiale, che è una delle felici definizioni abbinata alla cucina, intesa non solo come caricabatterie calorica del nostro vivere quotidiano, ma cinghia di trasmissione verso molto altro.
Dino Boscarato è uno di questi, meglio conosciuto ai palati di lungo corso come mister all’Amelia, in quel di Mestre, l’avamposto veneziano in terraferma. Una bella storia del Nordest fatto di passione, tenacia e quel tocco di visionaria creatività che fa la differenza. Un mondo fatto rivivere in queste settimane presso una delle sale di M9, il Museo del Novecento di Mestre dove, con una riuscita narrazione documentaria, si riscopre la bella avventura umana e professionale di sior Dino, come veniva al tempo chiamato da tutti Dino Boscarato. Nasce in quel di Conegliano nel 1928, ultimo di quattro figli. Neanche il tempo di imparare a camminare con le sue gambe che papà Ottavio e mamma Luigia rilevano la conduzione di un albergo nella piccola San Vito di Cadore, porta d’entrata verso Cortina.
Testa bassa e pedalare, tanto che il nostro Dino già a sette anni è un abilissimo pelapatate al servizio della cucina. Motivazione sostenuta dall’incoraggiamento del prete del suo collegio: «Ragazzi, mangiate tante patate così diventerete intelligenti». Anche perché c’era poco altro a disposizione per crescere robusti, se non di intelletto, senz’altro di braccia che poi, qualche anno dopo, con i fratelli, lo portarono a fare il taglialegna nei boschi attorno al paese. Perché la cucina di mamma Luigia aveva bisogno di «carburante» per i fornelli che andavano a scaldare pentole e tegami per i piatti da servire ai turisti che arrivavano dalle città. Papà Ottavio viene a mancare nel 1943 e il quindicenne Dino diventa adulto anzitempo. Aiuta la mamma nella gestione amministrativa, nell’accoglienza, nelle missioni più rischiose, quando con l’occupazione tedesca procurarsi il sale per la cucina diventa una battaglia quotidiana, anche per il dilagare del contrabbando clandestino.
Ma il nostro ha tempra da vendere tanto che, mentre in famiglia lo vorrebbero ingegnere, negli anni Cinquanta, con il fratello Tarcisio, rileva un albergo a San Vigilio di Marebbe, unici italiani in una comunità a maggioranza tirolese. Dino rivela subito la sua marcia in più, fatta di amore per la vita e capacità di dare sostanza ai sogni. Nelle serate vacanziere intrattiene i suoi ospiti divertiti come animatore di tornei di carte, sfide barzellettanti, ma anche con una cucina che scalda gli animi e la panza conseguente quando mezzanotte fa l’occhiolino tentatore. Ed ecco che, con degni compagni di ventura, si sbizzarriscono a viaggiare di spaghettate o spadellate di salsiccia e polenta. Esperienza che tornerà utile quando meno te l’aspetti.
Una sera d’estate, in piena stagione, la cuoca responsabile si ammala. La cucina è vuota, nessun supplente nel raggio di chilometri. Dino e i suoi amici turisti si danno da fare. Imbracciano i mestoli e, con i grembiuli d’ordinanza, agli ospiti seduti a tavola arrivano i piatti insospettabili, quelli di sempre in condizioni normali. È uno dei primi esempi che seguiranno nella vita di Dino Boscarato, ovvero quella sua straordinaria abilità di trasmettere passione ed entusiasmo abbinati alla capacità di fare squadra per una missione comune. Inevitabile il passo conseguente. Vicino a San Vito di Cadore vi è la possibilità di rilevare un piccolo chalet posto sulle rive del laghetto di Mosigo. Un ritrovo del bien vivre vacanziero con Cortina a quattro passi. La ricetta è una calamita per il ritorno seriale. Feste danzanti, cacce al tesoro abbinate ai profumi di una cucina che dà ulteriore motivazione a scoprirne le molte bellezze, soprattutto femminili, che ne fanno cornice. Se è vero che al sole estivo venivano a trovare discreto riposo volti quali Mariano Rumor o Aldo Moro, la sera scattava la marcia in più. Feste danzanti con un promettente Fred Bongusto a scaldare gli animi. I pittori della scuola di Burano guidata da Virgilio Guidi in missione a ritrarre le bellezze del momento con la soprano Toti Dal Monte spesso modella per una sera. Arte e spettacolo a braccetto con Lino Toffolo che intrattiene gli ospiti come a teatro.
Boscarato si inventa una veneziana Festa del Redentore in trasferta dolomitica e pure di calendario, ovvero da fine luglio spostata a Ferragosto. Un manipolo di orchestrali della Fenice rende il dovuto onore a una sfilata di aspiranti miss su piccole barchette allegoriche ridisegnate per l’occasione. Una per tutte, un’«enorme» capasanta con una bellezza locale in costume da bagno tutta spruzzata di porporina i cui riflessi argentei si spandevano, grazie alla luna, sulle acque del lago ma, soprattutto, sulle pupille eccitate degli astanti. E qui Boscarato dava il colpo di grazia finale con il «risotto alla beduina». Andiamo oltre gli scontati spaghetti di mezzanotte. Tutti gli ospiti dovevano sedersi a terra, al centro della sala da ballo, mentre in cucina Dino e i suoi preparavano degno risotto per l’occasione che poi veniva servito in apposita scodella ai «beduini» che se ne stavano seduti come sotto le loro tende nel deserto.
I tempi cambiano, il nascente boom economico apre le porte di molti sogni, l’importante è darsi da fare per raggiungerli. Con un amico, Dino va a Monaco di Baviera dove sembra si possa rilevare una importante gelateria in pieno centro. In fondo, la tradizione dei gelatai del Cadore in trasferta nordica è storia di lungo corso, come le ricchezze giustamente guadagnate in terra foresta. Qualcosa, però, non funziona e Dino torna mesto all’albergo di mamma Luigia a San Vito. Qui scatta il core de mamma che, avendo intuito il talento del suo ragazzo, attiva una storica conoscenza che aveva con un amico veneziano, Umberto Spolaor. Poco fuori Mestre, al tempo periferia dal tratto incerto della nobile Venezia lagunare, si trova una vecchia trattoria gestita dalla signora Amelia, da cui aveva preso il nome. Niente di che, era nata nel primo dopoguerra come stazione di sosta per i cavalli che trainavano i carretti lungo la riviera del Brenta. Cucina molto familiare. Trippe o poco più. Pasta e fagioli, arrosti, qualche anatra ripiena.
La signora Amelia, oramai, voleva deporre il mestolo di comando e affidare la sua creatura, mandata avanti con sudore e sacrificio, a degno erede. Le premesse erano sostenute dalle migliori condizioni. Da trattoria di campagna stava progressivamente entrando nel perimetro di espansione urbana di una Mestre in pieno boom edilizio, tanto che all’Amelia era una delle sedi preferite per le ganzéghe, sorta di celebrazioni edilizie in cui, alla fine dei lavori, titolari e maestranze si ritrovavano per festeggiare la posa dell’ultima tegola sul tetto di case e palazzi sempre più a crescita verticale. E così era per i matrimoni dove, per una volta, le famiglie non badavano a spese, con pranzi che spesso e volentieri si prolungavano fin verso l’ora di cena. Che dire, sicuramente una sfida per il giovane montanaro Dino Boscarato che, a 33 anni, deve decidere cosa fare da grande.
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Leonardo Maria Del Vecchio (Imagoeconomica)
Shopping del figlio di mister Luxottica che voleva Gedi. Preso pure il 30% del «Giornale».
Leonardo Maria Del Vecchio entra clamorosamente nel mondo dell’editoria italiana. Il figlio del fondatore di Luxottica entra nel capitale de Il Giornale e, in parallelo, si prepara a chiudere la trattativa esclusiva per con la famiglia Monti-Riffeser per la maggioranza di QN, il gruppo che riunisce Il Giorno, La Nazione e Il Resto del Carlino. L’obiettivo è quello di costruire un polo dell’informazione, con capitale italiano e ambizioni di sviluppo. Il primo passo è sato ufficializzato ieri. Lmdv Capital, la cassaforte personale di Del Vecchio, ha rilevato il 30% de Il Giornale da Finanziaria Tosinvest, la holding della famiglia Angelucci.
Un’operazione che ridisegna l’azionariato del quotidiano fondato da Indro Montanelli: Tosinvest scende dal 70 al 40%, mentre resta per ora Paolo Berlusconi con il 30%, quota destinata però a ridursi drasticamente. L’editore, infatti, ha già fatto sapere di non voler esercitare le opzioni previste dagli accordi siglati due anni fa, con l’obiettivo di scendere intorno al 5%. Alla fine Tosinvest avrà il 65%, Lmdev il 30% e Berlusoni i 5%. Del Vecchio spiega le motivazioni dell’investimento, che vanno ben oltre la singola operazione finanziaria. «Questo investimento, al fianco della famiglia Angelucci, rappresenta un passo concreto nel percorso che ho delineato nei mesi scorsi: rafforzare l’editoria italiana con capitale italiano, paziente e industriale». Il messaggio si inserisce nel dibattito sempre più acceso sul futuro: «Non possiamo accettare che l’informazione venga condizionata esclusivamente dagli algoritmi o da piattaforme che non investono nel lavoro giornalistico».
Il giovane Del Vecchio si propone come investitore di lungo periodo, deciso a mettere risorse e competenze al servizio delle redazioni. «Capaci» dice «di parlare alle nuove generazioni senza rinunciare alla qualità». Un’impostazione coerente con le altre iniziative di Lmdv Capital, già impegnata nel rilancio di marchi storici come l’acqua Fiuggi e il Twiga. Nelle note ufficiali si parla di un contesto segnato da trasformazioni profonde e da una competizione internazionale sempre più intensa, in cui l’accordo su Il Giornale viene presentato come un tassello per rafforzare un ecosistema editoriale «solido, competitivo e autorevole», in grado di reggere l’urto delle nuove sfide del mercato e del dibattito pubblico.
Ma il vero snodo strategico è il passo successivo. Lmdv Capital è infatti a un passo dall’’acquisizione della maggioranza di QN, il gruppo editoriale controllato da Monrif e presieduto da Andrea Monti Riffeser, che è anche presidente della Fieg. Un’operazione che, se andasse in porto, segnerebbe un ulteriore salto di scala nel progetto di Del Vecchio.
L’esclusiva arriva dopo un tentativo andato a vuoto: quello di rilevare la Repubblica da Exor. La finanziaria guidata da John Elkann, impegnata nel riassetto di Gedi, ha infatti scelto di concedere l’esclusiva per il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari al gruppo Antenna dell’editore greco Kyriakou. Un no che non ha fermato Del Vecchio, ma lo ha spinto a concentrare le proprie energie su un altro pilastro dell’editoria nazionale.
Il disegno prende forma: un ingresso progressivo, partecipazioni mirate, un approccio industriale e una narrazione che rivendica il ruolo dell’editore come garante di pluralismo e qualità. La partita dell’editoria si arricchisce di un nuovo protagonista. E questa volta il capitale parla italiano.
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Giovanni Legnini e Giuseppe Zafarana (Imagoeconomica)
Equalize, l’ex dem indagato nega la rivelazione di segreto: «Nessuna intermediazione presso la Finanza per Lorenzo Sbraccia».
Nel procedimento sul presunto team di spioni capitolini della Squadra Fiore c’è un filone che procede velocemente e su cui i pm, evidentemente, vogliono chiudere in fretta. Nasce da uno stralcio dell’inchiesta di Milano sui cugini meneghini della Squadra Fiore, ovvero gli specialisti dell’agenzia investigativa Equalize, capitanati dal geometra-hacker Samuele Calamucci e dall’ex poliziotto (deceduto il 9 marzo scorso) Carmine Gallo. Le captazioni hanno permesso di registrare le chiacchiere in libertà dell’ingegner Lorenzo Sbraccia (attualmente ai domiciliari con l’accusa di estorsione aggravata dal metodo mafioso), imprenditore nel settore dell’edilizia, appassionato di sicurezza e amico dell’ex vicepresidente del Csm Giovanni Legnini, già parlamentare dem e oggi avvocato.
Con le sue parole Sbraccia, preoccupato di avere segnalazioni di operazioni sospette sul groppone alla vigilia di alcuni importanti affari, ha inguaiato Legnini e anche il generale Giuseppe Zafarana, all’epoca comandante generale della Guardia di finanza e oggi presidente dell’Eni.
Calamucci e Gallo, con i magistrati milanesi e romani, avevano già tirato in ballo l’ex numero due del Csm per questioni legate a una nomina a procuratore di Larino, per cui sarebbe stata pagata una robusta mazzetta, e per presunti appalti pilotati nella ricostruzione di Ischia, quando Legnini era commissario straordinario post terremoto. Accuse a cui, nei mesi scorsi, abbiamo provato a cercare riscontri senza riuscirci.
Nel frattempo Legnini e Luca Palamara, che erano stati chiamati in causa, hanno presentato querela a Milano.
Ma adesso dalle conversazioni di Sbraccia con Calamucci e Gallo è stato individuato un altro filone in via di approfondimento che riguarda il presunto coinvolgimento di Zafarana nella verifica dell’esistenza di segnalazioni di operazioni sospette a carico di Sbraccia.
Legnini ha ricevuto una convocazione per la prossima settimana in Procura e il capo d’accusa non cita il generale, ma un ex appartenente alla Fiamme gialle, poi transitato nei servizi segreti come autista. Si tratta di Rosario Bonomo, il quale, ieri, con La Verità ha negato il proprio coinvolgimento nei controlli.
Nella comunicazione della Procura si legge che i reati contestati a Legnini (rivelazione di segreto e accesso abusivo a banca dati riservata) sono «ravvisabili nell’intermediazione compiuta, per conto di Sbraccia, presso ufficiali della Guardia di Finanza (in questo caso il riferimento dovrebbe essere proprio a Zafarana, ndr) ed ex appartenenti al Corpo, tra cui Rosario Bonomo, al fine di consentire all’imprenditore Sbraccia di acquisire informazioni riservate sulle banche dati in uso al Corpo; servizio che Rosario Bonomo svolgeva in modo continuativo - in cambio di remunerazione - sotto forma di assistenza e sicurezza aziendale in favore di Sbraccia».
I primi a indagare su questa pista sono stati i carabinieri di Varese. E in un’informativa inviata alla Procura di Milano avevano ammesso di non avere trovato riscontri: «Sbraccia racconta di quando ha dovuto iniziare a verificare le informazioni che gli veicolavano Gallo e Calamucci, facendo ripetutamente riferimento a un presunto incontro con il comandante generale della Guardia di finanza Giuseppe Zafarana, finalizzato all’espletamento di tali verifiche, episodio in relazione al quale si ritiene, però, di dover precisare che non sono stati raccolti elementi utili ad accertarne l’effettivo svolgimento».
Ma il quotidiano La Repubblica ha dato quasi per assodato il passaggio di documenti: «L’avvocato (Legnini, ndr) ha avuto dall’ex comandante della Gdf Zafarana informazioni per un suo amico imprenditore», ha scritto ieri il quotidiano romano.
L’ex vicepresidente del Csm, da parte sua, ha smentito con forza questa ipotesi: «Tali notizie scaturiscono da false affermazioni rese da appartenenti alla società Equalize […]. Ho già provveduto, lo scorso mese di giugno, a inoltrare atto di denuncia-querela per diffamazione e calunnia nei confronti dei predetti hacker. A seguito delle attività di indagine conseguenti a tali false dichiarazioni da parte degli appartenenti alla società Equalize, ho richiesto io stesso, per il tramite del mio difensore, avvocato Antonio Villani, al pm titolare delle indagini di essere ascoltato, essendo assolutamente convinto della mia totale estraneità ai fatti che mi vengono falsamente attribuiti. Mai, infatti, ho compiuto attività di intermediazione presso gli ufficiali della Guardia di finanza ed ex appartenenti al Corpo, per Lorenzo Sbraccia o per chiunque altro, al fine di acquisire informazioni da banche dati riservate».
A questo punto Legnini puntualizza: «Si riportano, peraltro, errate informazioni come le circostanze pubblicate sul quotidiano La Repubblica, del tutto inesistenti, in base alle quali disporrei da un lato di una casa “corazzata a prova di intercettazioni” e, dall’altro, avrei favorito asseriti incontri e/o presentazioni di Lorenzo Sbraccia con l’ex comandante generale della Guardia di finanza, Giuseppe Zafarana, che mai ho contattato per tali finalità. Fornirò, quindi, con assoluta serenità tutti i chiarimenti che mi saranno richiesti e confido che questa vicenda, frutto di calunniose affermazioni da parte di persone con le quali non ho mai avuto nulla a che fare, possa definirsi al più presto». In effetti Calamucci, a verbale, aveva descritto come una casa bunker («Completamente blindata, con delle porte iperblindate, jammer, delle finestre con delle tende protettive»), non quella di Legnini, ma quella di Sbraccia.
A Milano, Gallo ha riferito ai pm di avere litigato con Sbraccia (un cliente «gold» di Equalize) proprio a causa dei rapporti dell’imprenditore con l’alto ufficiale: «Lui era stato con Legnini dal generale Zafarana […] siccome lui non si fida di nessuno prendeva informazioni anche su di noi […] quindi è andato a chiedere a Zafarana, tramite Legnini, di verificare se a carico suo c’erano attività da parte della Guardia di finanza». L’ex poliziotto scende nei particolari: «Legnini l’ha portato da Zafarana e il generale l’ha ricevuto […] ha chiamato il suo collaboratore, ha detto “fai questo nominativo” e gli ha fatto fare una serie di accertamenti... dopodiché è tornato e ha detto, stai tranquillo che non...». Il generale avrebbe messo Sbraccia sul chi vive, sostenendo che il principale azionista di Equalize, Enrico Pazzali, fosse uno che «spaventa le persone» e avrebbe anche chiesto di riferire ai vertici della società milanese «che queste cose che fanno sono illegali e rischiano...». Gallo avrebbe chiesto a Sbraccia di riferire questo suo messaggio al comandante: «Digli a Zafarana che se l’ha fatto (il controllo, ndr), ha fatto una cosa illegale anche lui». Adesso gli inquirenti capitolini, per accertare la veridicità della vicenda, hanno convocato in Procura uno dei protagonisti: Legnini. Prima di loro, i colleghi milanesi avevano trasmesso il fascicolo nella Capitale, competente territorialmente, per gli opportuni accertamenti senza avere prima iscritto Zafarana sul registro degli indagati, a causa dei mancati riscontri. Dal tono vago della convocazione inviata a Legnini sembra che la ricerca non abbia ancora prodotto risultati certi nemmeno nella Capitale. Anche perché se alla Guardia di finanza avessero inserito il nominativo di Sbraccia nella banca dati che contiene le sos, una traccia sarebbe dovuta rimanere. Ma a leggere l’informativa dei carabinieri sembra che i primi controlli non abbiano consentito di individuare la presunta interrogazione illecita.
Una ricerca analoga ha, invece, dato risultati clamorosi nell’inchiesta sui presunti accessi abusivi realizzati dal tenente delle Fiamme gialle Pasquale Striano.
Le intercettazioni rivelano che Sbraccia ha usato il nome di Zafarana per esternare di fronte a Gallo e Calamucci i dubbi sul loro operato, come se lo volessero tenere sulle spine per scucirgli quattrini: «Te lo dico sincero, io sono franco eh... a me non mi devi prendere in giro, se c’è il problema lo devo sapere, se non c’è, non è che cambia il mio atteggiamento nei confronti di Equalize» dice. E aggiunge, riferendosi al generale che lo avrebbe tranquillizzato: «Se tu mi dici che le sos ci sono ho bisogno di andare a prendere di petto Zafarana e dire “senti testa di c...”». E quando l’alto ufficiale aveva saputo che le informazioni arrivavano da Equalize si sarebbe scaldato e avrebbe definito quelli di Equalize «ricattatori di m…»: «Mo’ ci penso io», avrebbe esclamato. E anche: «Mo’ lo distruggo (Pazzali, ndr)». Sbraccia riferisce ai suoi due interlocutori anche il motivo di tanto risentimento: «Perché già a un’altra brava persona gli han fatto lo stesso sistema, però ovviamente ricattandolo, creando un problema per poi provare a risolverlo e fottergli i soldi...».
Nella conversazione viene citato l’ex 007 dell’Aisi Bonomo, assunto dall’imprenditore ai domiciliari su indicazione di Legnini.
Sbraccia, dopo avere ricevuto da Gallo e Calamucci un estratto della banca dati protetta Serpico, si sarebbe confrontato con l’ex agente, il quale avrebbe avvertito il suo datore di lavoro che con quel materiale si «rischiano fino a
cinque anni di carcere»: «Questo me l’ha detto Bonomo... quello che voi avete portato a Roma è Serpico...». E anche Legnini avrebbe consigliato a Sbraccia di «chiudere» con Equalize.
Nell’intercettazione l’imprenditore propone una soluzione a Gallo e Calamucci. Suggerisce di mettere a confronto le presunte fonti di Equalize e i potenti mezzi del Comando generale della Gdf per acquisire conferme sull’esistenza delle sos: «Tu mi dici: “Guarda non riesco a essere certo”... vuol dire che io chiedo a Legnini, una volta ogni quindici giorni, vado da Zafarana e gli faccio fare il controllo…». Calamucci assicura di essere anche lui in grado di monitorare e «vedere» le sos: «Su questo ci dev’essere una collaborazione… io ti dico: “Io vedo questo, c’è questo”, poi tu gli chiedi anche la tua verifica... se il mio dato è genuino, io son più contento!». Ma poi lancia l’alert e «chiarisce a Sbraccia che anche quello che avrebbe fatto Zafarana (la verifica dell’esistenza o meno di sos a suo carico) costituisce un reato: “L’illecito lo commette anche lui eh, perché lo controlla per conto di un privato”». A Milano non hanno trovato riscontri a queste affermazioni. Adesso a cimentarsi sono i magistrati di Roma, che hanno deciso di interrogare, su sua richiesta, Legnini a poche ore dal Natale.
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Panorama condannato per aver definito “pirati” gli attivisti delle ONG, anche se sono proprio loro a rivendicare violazioni e forzature delle leggi. È un attacco alla libertà di stampa, ma le anime belle non si scandalizzano. E mentre si difende la presunta libertà di violare i confini, si infierisce su chi fa scelte davvero controcorrente come la famiglia del bosco.






