Da veloce pelapatate al risotto alla beduina. Parte dal Cadore la scalata del sior Dino

Il recente riconoscimento fatto dall’Unesco alla cucina Italiana quale patrimonio immateriale per l’umanità apre diversi scenari su quello straordinario aspetto di un Bel Paese dalle molte bellezze, tra storia, arte, cultura, paesaggi che poi trovano immancabile, nel visitatore curioso, il goloso centro di gravità permanente attorno a tavola dedicata, con piatti e relative tradizioni che variano da regione a regione, da campanile a campanile.
Ne consegue che un patrimonio di tale genere necessiti di ambasciatori dedicati che lo sappiano trasmettere e valorizzare. Ambasciatori di cui molti sono stati pionieri che non vanno dimenticati per il valore che hanno saputo dare alla nostra cucina, spesso con iniziative a darle contorno che fanno parte della nostra storia applicata alla cultura materiale, che è una delle felici definizioni abbinata alla cucina, intesa non solo come caricabatterie calorica del nostro vivere quotidiano, ma cinghia di trasmissione verso molto altro.
Dino Boscarato è uno di questi, meglio conosciuto ai palati di lungo corso come mister all’Amelia, in quel di Mestre, l’avamposto veneziano in terraferma. Una bella storia del Nordest fatto di passione, tenacia e quel tocco di visionaria creatività che fa la differenza. Un mondo fatto rivivere in queste settimane presso una delle sale di M9, il Museo del Novecento di Mestre dove, con una riuscita narrazione documentaria, si riscopre la bella avventura umana e professionale di sior Dino, come veniva al tempo chiamato da tutti Dino Boscarato. Nasce in quel di Conegliano nel 1928, ultimo di quattro figli. Neanche il tempo di imparare a camminare con le sue gambe che papà Ottavio e mamma Luigia rilevano la conduzione di un albergo nella piccola San Vito di Cadore, porta d’entrata verso Cortina.
Testa bassa e pedalare, tanto che il nostro Dino già a sette anni è un abilissimo pelapatate al servizio della cucina. Motivazione sostenuta dall’incoraggiamento del prete del suo collegio: «Ragazzi, mangiate tante patate così diventerete intelligenti». Anche perché c’era poco altro a disposizione per crescere robusti, se non di intelletto, senz’altro di braccia che poi, qualche anno dopo, con i fratelli, lo portarono a fare il taglialegna nei boschi attorno al paese. Perché la cucina di mamma Luigia aveva bisogno di «carburante» per i fornelli che andavano a scaldare pentole e tegami per i piatti da servire ai turisti che arrivavano dalle città. Papà Ottavio viene a mancare nel 1943 e il quindicenne Dino diventa adulto anzitempo. Aiuta la mamma nella gestione amministrativa, nell’accoglienza, nelle missioni più rischiose, quando con l’occupazione tedesca procurarsi il sale per la cucina diventa una battaglia quotidiana, anche per il dilagare del contrabbando clandestino.
Ma il nostro ha tempra da vendere tanto che, mentre in famiglia lo vorrebbero ingegnere, negli anni Cinquanta, con il fratello Tarcisio, rileva un albergo a San Vigilio di Marebbe, unici italiani in una comunità a maggioranza tirolese. Dino rivela subito la sua marcia in più, fatta di amore per la vita e capacità di dare sostanza ai sogni. Nelle serate vacanziere intrattiene i suoi ospiti divertiti come animatore di tornei di carte, sfide barzellettanti, ma anche con una cucina che scalda gli animi e la panza conseguente quando mezzanotte fa l’occhiolino tentatore. Ed ecco che, con degni compagni di ventura, si sbizzarriscono a viaggiare di spaghettate o spadellate di salsiccia e polenta. Esperienza che tornerà utile quando meno te l’aspetti.
Una sera d’estate, in piena stagione, la cuoca responsabile si ammala. La cucina è vuota, nessun supplente nel raggio di chilometri. Dino e i suoi amici turisti si danno da fare. Imbracciano i mestoli e, con i grembiuli d’ordinanza, agli ospiti seduti a tavola arrivano i piatti insospettabili, quelli di sempre in condizioni normali. È uno dei primi esempi che seguiranno nella vita di Dino Boscarato, ovvero quella sua straordinaria abilità di trasmettere passione ed entusiasmo abbinati alla capacità di fare squadra per una missione comune. Inevitabile il passo conseguente. Vicino a San Vito di Cadore vi è la possibilità di rilevare un piccolo chalet posto sulle rive del laghetto di Mosigo. Un ritrovo del bien vivre vacanziero con Cortina a quattro passi. La ricetta è una calamita per il ritorno seriale. Feste danzanti, cacce al tesoro abbinate ai profumi di una cucina che dà ulteriore motivazione a scoprirne le molte bellezze, soprattutto femminili, che ne fanno cornice. Se è vero che al sole estivo venivano a trovare discreto riposo volti quali Mariano Rumor o Aldo Moro, la sera scattava la marcia in più. Feste danzanti con un promettente Fred Bongusto a scaldare gli animi. I pittori della scuola di Burano guidata da Virgilio Guidi in missione a ritrarre le bellezze del momento con la soprano Toti Dal Monte spesso modella per una sera. Arte e spettacolo a braccetto con Lino Toffolo che intrattiene gli ospiti come a teatro.
Boscarato si inventa una veneziana Festa del Redentore in trasferta dolomitica e pure di calendario, ovvero da fine luglio spostata a Ferragosto. Un manipolo di orchestrali della Fenice rende il dovuto onore a una sfilata di aspiranti miss su piccole barchette allegoriche ridisegnate per l’occasione. Una per tutte, un’«enorme» capasanta con una bellezza locale in costume da bagno tutta spruzzata di porporina i cui riflessi argentei si spandevano, grazie alla luna, sulle acque del lago ma, soprattutto, sulle pupille eccitate degli astanti. E qui Boscarato dava il colpo di grazia finale con il «risotto alla beduina». Andiamo oltre gli scontati spaghetti di mezzanotte. Tutti gli ospiti dovevano sedersi a terra, al centro della sala da ballo, mentre in cucina Dino e i suoi preparavano degno risotto per l’occasione che poi veniva servito in apposita scodella ai «beduini» che se ne stavano seduti come sotto le loro tende nel deserto.
I tempi cambiano, il nascente boom economico apre le porte di molti sogni, l’importante è darsi da fare per raggiungerli. Con un amico, Dino va a Monaco di Baviera dove sembra si possa rilevare una importante gelateria in pieno centro. In fondo, la tradizione dei gelatai del Cadore in trasferta nordica è storia di lungo corso, come le ricchezze giustamente guadagnate in terra foresta. Qualcosa, però, non funziona e Dino torna mesto all’albergo di mamma Luigia a San Vito. Qui scatta il core de mamma che, avendo intuito il talento del suo ragazzo, attiva una storica conoscenza che aveva con un amico veneziano, Umberto Spolaor. Poco fuori Mestre, al tempo periferia dal tratto incerto della nobile Venezia lagunare, si trova una vecchia trattoria gestita dalla signora Amelia, da cui aveva preso il nome. Niente di che, era nata nel primo dopoguerra come stazione di sosta per i cavalli che trainavano i carretti lungo la riviera del Brenta. Cucina molto familiare. Trippe o poco più. Pasta e fagioli, arrosti, qualche anatra ripiena.
La signora Amelia, oramai, voleva deporre il mestolo di comando e affidare la sua creatura, mandata avanti con sudore e sacrificio, a degno erede. Le premesse erano sostenute dalle migliori condizioni. Da trattoria di campagna stava progressivamente entrando nel perimetro di espansione urbana di una Mestre in pieno boom edilizio, tanto che all’Amelia era una delle sedi preferite per le ganzéghe, sorta di celebrazioni edilizie in cui, alla fine dei lavori, titolari e maestranze si ritrovavano per festeggiare la posa dell’ultima tegola sul tetto di case e palazzi sempre più a crescita verticale. E così era per i matrimoni dove, per una volta, le famiglie non badavano a spese, con pranzi che spesso e volentieri si prolungavano fin verso l’ora di cena. Che dire, sicuramente una sfida per il giovane montanaro Dino Boscarato che, a 33 anni, deve decidere cosa fare da grande.






