2025-06-02
Robert Mapplethorpe: la sua arte fotografica in mostra a Venezia
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Robert Mapplethorpe.Jill Chapman, 1983 © Robert Mapplethorpe Foundation. Used by permission
Sono le Stanze della Fotografia di Venezia ad ospitare (sino al 6 gennaio 2026) una grande retrospettiva dedicata a Robert Mapplethorpe, fotografo americano fra i più iconici ed audaci del panorama artistico contemporaneo. Dai suoi celebri nudi agli altrettanto celebri ritratti, esposti oltre 200 scatti, alcuni dei quali presentati in Italia per la prima volta. Una vita breve ma intensa quella di Robert Mapplethorpe (1946 -1989), il fotografo newyorkese che più di ogni altro è riuscito a scandalizzare con le sue immagini di nudi, maschili soprattutto, e che ancora oggi si porta cucita addosso l’etichetta di «provocatore», di artista trasgressivo che è andato oltre ogni tabù, oltrepassando il limite fra «arte » e «pornografia ». Che la fotografia di Mapplethorpe sia, diciamo così, «ad alto tasso erotico » è innegabile, ma, paradossalmente, la sua arte è quanto di più lontano possa esserci dal porno: alle base di tutti i suoi lavori c’è infatti un’estetica precisa, una ricerca del bello che anela alla perfezione classica e che della classicità ne riproduce i canoni. Quella di Mapplethorpe è un’estetica nuova, libera da ogni pregiudizio, che guarda con gli stessi occhi uomini e donne, sesso e bello artistico. Mapplethorpe non giudica, rappresenta la bellezza. E la bellezza non ha genere. E’ universale. Una bellezza che coglie anche nei fiori ( tra i suoi soggetti preferiti), che Mapplethorpe (famoso per i suoi straordinari bianchi e neri) rappresenta anche a colori e con la stessa cura riservata alle persone. I suoi sono fiori stilizzati ed estremamente raffinati, scatti «lenti », che richiedono una posa lunga, con una grande profondità di campo; still life perfetti di calle, orchide e tulipani, studiati nei minimi dettagli, che celebrano l’intensità della vita e la sua caducità. Ma questi stessi fiori, che in fondo sono gli organi riproduttivi delle piante, Mapplethorpe li vede anche come simboli sessuali, e come ha scritto qualche decennio fa Adriano Altamira, esponente di spicco della scena artistica italiana degli ani ’70 «…Mapplethorpe ha usato la natura morta come un genere allusivo, e ha fatto del nudo –indifferentemente maschile o femminile – una forma di studio botanico ». Nudi e fiori. Ma non solo. A rendere celebre Mapplethorpe anche i suoi autoritratti, mix straordinario di visioni, fantasie e provocazioni; i ritratti di amici e celebrity ; i collage del periodo giovanile, tridimensionali o realizzati con ritagli di riviste pornografiche ; la serie di foto-capolavoro dedicate alla statuaria classica; gli scatti della bodybuilder e musa Lisa Lyon, icona della bellezza androgina e quelli che ritraggono la cantante e poetessa Patty Smith, sua amica ( e per qualche tempo anche compagna :«Insieme scoprono che rock, politica e sesso sono gli ingredienti essenziali della rivoluzione a venire », Just Kids- Feltrinelli) di una vita intera. Amico anche di Andy Warhol e della sua cerchia di artisti, amante dell’arte in generale e della scultura in particolare («In fondo, la fotografia è un modo più sbrigativo per fare una scultura», dichiarava spesso), consumatore abituale di marihuana e LSD, un’ omosessualità accettata inizialmente con fatica e poi un compagno, Sam Wagstaff, che lo introduce nell’ high society della Grande Mela e gli regala la prima Hasselbald ( la macchina fotografica con cui realizzerà le centinaia di capolavori che lo renderanno famoso), a Robert Mapplethorpe, il genio ribelle e raffinato che cercava sempre « l’inaspettato…. cose che non ho mai visto prima» Venezia dedica una grande monografica curata da Denis Curti in collaborazione con la Fondazione Robert Mapplethorpe di New York.Robert Mapplethorpe. Le forme del classico: la mostraSuddiviso in varie sezioni, l’affascinante percorso espositivo - che ha il suo focus nel dialogo tra la fotografia di Mapplethorpe e la scultura classica - si apre con i collage degli anni Sessanta e prosegue con i ritratti di celebrità internazionali, da Andy Warhol a Truman Capote, da Glenn Close a Yoko Ono, passando per Richard Gere, Isabella Rossellini e per le già citate Patty Smith e Lisa Lyon. Stupefacenti, nella loro sensuale perfezione, gli scatti che mettono in relazione la plasticità dei corpi, maschili e femminili, con la statuaria antica, mentre le celebri immagini di fiori, plasmate dalla luce e da una composizione perfetta, si trasformano sotto gli occhi del visitatore in sculture fotografiche collocate in una dimensione atemporale. Accanto a questo tripudio di corpi lucidi e muscoli tesi, proporzioni perfette e bianchi e neri da incanto, anche oggetti vintage e documenti d’archivio provenienti dalla Fondazione Mapplethorpe: lettere personali, dischi, manifesti, edizioni rare e due cortometraggi firmati dallo stesso artista. Una mostra che dopo decenni riporta a Venezia il genio e l’arte di Robert Mapplethorp, uno degli artisti più affascinanti e discussi dell’arte fotografica moderna.
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
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Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Giorgetti ha poi escluso la possibilità di una manovra correttiva: «Non c'è bisogno di correggere una rotta che già gli arbitri ci dicono essere quella rotta giusta» e sottolinea l'obiettivo di tutelare e andare incontro alle famiglie e ai lavoratori con uno sguardo alle famiglie numerose». Per quanto riguarda l'ipotesi di un intervento in manovra sulle banche ha detto: «Io penso che chiunque faccia l'amministratore pubblico debba valutare con attenzione ogni euro speso dalla pubblica amministrazione. Però queste sono valutazioni politiche, ribadisco che saranno fatte solo quando il quadro di priorità sarà definito e basta aspettare due settimane».
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