
Il film di Darren Aronofsky, vincitore di due Oscar, accusato di discriminazione per il ritratto del protagonista. Persino l’uso del trucco non va bene: solo un attore davvero in sovrappeso, dicono, dovrebbe avere certi ruoli.Una delle contraddizioni più stridenti della sensibilità contemporanea è quella che vede convivere da una parte un salutismo paranoico, un’ossessione ipocondriaca per il controllo e la prevenzione, la ridefinizione di ogni essere umano normale come «soggetto a rischio», e dall’altra il mito della «body positivity», cioè dell’accettazione di qualsiasi corpo, quale che sia la taglia, la forma, il colore, l’abilità o il genere. E i corpi che recano visibilmente il segno di stili di vita malsani o di squilibri fisiologici? Li accettiamo o li curiamo? Ecco, per l’appunto, la contraddizione. Che esplode in modo grottesco sulla questione The Whale. Come noto, il film di Darren Aronofsky è tratto da una pièce teatrale di Samuel D. Hunter e racconta la storia di Charlie, un uomo iper obeso che si è recluso in casa dopo una serie di traumi personali. Il ruolo del protagonista è stato affidato a Brendan Fraser, ex bellone di Hollywood poi lasciatosi effettivamente un po’ andare, sia pur nei limiti della normalità, cosa che è servita per creare un ovvio quanto claudicante parallelismo tra l’attore e il personaggio, interpretato grazie a un pesante trucco. Ad ogni modo, la performance è piaciuta all’Academy, tant’è che sia Fraser che il makeup hanno portato a casa l’Oscar, anche se fra i critici c’è chi ha bocciato l’ennesima sortita di Aronofsky nel campo della pornografia del dolore. Ma non è del film che vogliamo parlare, quanto delle reazioni che ha suscitato. Sotto accusa è finita la fat suit (cioè il costume di gommapiuma che ha dato i 270 kg di Charlie a ben più leggero Fraser). Il verdetto è parso inappellabile: è chiaramente grassofobia, signori. Fare un giro sulla Rete è, in tal senso, istruttivo. Lara Lago, influencer e giornalista, «body activist» e conduttrice della rubrica CaroCorpo su Sky Tg24, ha postato su Instagram una videorecensione che è una sorta di manifesto di un certo gergo importato malamente dai campus americani. «Mi sembra pazzesco che abbia potuto uscire un film del genere senza trigger warning per le persone con disturbi del comportamento alimentare. Sicuramente non andate a vederlo se non state bene emotivamente e anche io vi sconsiglierei di andarlo a vedere da soli soprattutto se avete avuto problemi con il cibo in passato». Per chi se lo stesse chiedendo, il trigger warning è l’avviso preventivo sui contenuti che potrebbero offendere qualcuno. La stessa Lago ha confessato di non essere riuscita a cenare dopo la visione del film. Sempre su Instagram, un collettivo sulla «fat liberation», Belle di faccia, ha liquidato la pellicola parlando di «ciliegina in cima alla merda», in relazione all’adattamento di una pièce teatrale «già in partenza problematica». Il post, per la cronaca, è a sua volta preceduto da un Trigger warning, perché non sono solo i film a poter causare traumi, ma persino i post sui social che criticano i suddetti film (ma come fa questa gente a campare con questa suscettibilità ipertrofica?). Da non perdere, poi, la recensione uscita sul Post a firma di Jonathan Zenti. Un articolo lunghissimo che, per buona parte, parla in realtà dell’autore e dei suoi problemi di peso. Zenti descrive la pellicola come «un film che parla di un uomo molto grasso scritto da un uomo magro, diretto da un regista magro e interpretato da un attore forse un po’ fuori forma ma decisamente normopeso. Come se nel 1989 Fa’ la cosa giusta di Spike Lee fosse stato scritto e interpretato da Tom Hanks». Siamo sempre lì: solo un nero può parlare di neri, solo un obeso può interpretare un obeso. È la negazione stessa dell’idea di scrittura e di recitazione: è ammissibile solo l’autobiografia e il documentario realistico, il resto è appropriazione violenta. Dopo aver biasimato il «fatface», ovvero «il corrispettivo grassofobico della blackface», l’autore ci spiega quanto il film sia disonesto, perché il protagonista è sporco, trasandato e abbrutito, mentre, scrive Zenti, «a me non è mai capitato di ridurmi allo stato di squallore in cui lui vive». In pratica è come se un impiegato di una ditta di assicurazioni stroncasse Fight club precisando che lui, a differenza del protagonista che fa lo stesso lavoro, non si è creato un alter ego terrorista per organizzare incontri di lotta clandestini. Un film è un film: racconta una storia. Non è la mia storia, la tua, quella di Zenti o quella di chiunque altro possa avere qualche punto in comune con la trama. È quella storia è basta. Ma la confusione dei piani è tale, che a un certo punto il recensore si lascia andare a considerazioni mediche quanto meno controverse: «Le persone obese non sono condannate a morte, almeno non più delle altre. […] Ci possono essere malattie legate a uno stato di obesità, così come ci sono quelle legate all’ereditarietà, al lavoro o allo sport». Davvero vogliamo prendere sul serio il paragone tra malattie legate al grasso e quelle legate allo sport, come se fosse la stessa cosa? Ora, il rapporto Oms 2022 (il mantra «fidatevi degli esperti» non vale più?) ci dice in realtà che «sovrappeso e obesità sono tra le principali cause di morte e disabilità nella Regione europea dell’Oms e stime recenti suggeriscono che causano più di 1,2 milioni di decessi all’anno, corrispondenti a oltre il 13% della mortalità totale nella Regione. L’obesità aumenta il rischio di molte malattie non trasmissibili, inclusi tumori, malattie cardiovascolari, diabete mellito di tipo 2 e malattie respiratorie croniche». Certo, esistono obesi longevi, felici e in salute. E, in ogni caso, ognuno è libero di bilanciare stili di vita personali e fattori di rischio come crede. Nessun paternalismo sanitario, dio ce ne scampi. Ma sacrificare evidenze mediche conclamate sull’altare della body positivity, anche no, grazie.
Leonardo Apache La Russa (Ansa)
Nessuna violenza sessuale, ma un rapporto consenziente». È stata archiviata l’indagine a carico di Leonardo Apache La Russa e l’amico Tommaso Gilardoni, entrambi 24enni, accusati di violenza sessuale da una di ventiduenne (ex compagna di scuola di La Russa jr e che si era risvegliata a casa sua).
Nel riquadro, Howard Thomas Brady (IStock)
Lo scienziato cattolico Howard Thomas Brady, ex sacerdote: «Con papa Francesco, ai ricercatori critici è stato vietato perfino di partecipare alle conferenze. La Chiesa non entri nel merito delle tesi: è lo stesso errore fatto con Galileo».
(Istock)
Dopo aver sconvolto l’Unione, Pechino taglia dal piano strategico i veicoli green. E punta su quantistica, bio-produzione e idrogeno.
Roberto Burioni (Ansa)
La virostar annuncia il suo trasloco su Substack, piattaforma a pagamento, per tenersi lontano dai «somari maleducati». Noi continueremo a «usarlo come sputacchiera».






