
La leggenda del tennis annuncia lo stop alle gare con commozione: «Ho vissuto un sogno che si è realizzato». La Coppa Davis sarà l’ultima fatica del maiorchino, vincitore di 22 Grandi Slam, tra cui 14 Roland Garros, che gli sono valsi una statua a Parigi.«Nella vita tutto ha un inizio e una fine». La pallina gialla si ferma sulla linea di fondo, Rafael Nadal torna a Maiorca a dedicarsi al suo primo amore: la pesca. Il pirata di Manacor, con la bandana da Johnny Depp, la canotta fluo da «magütt» e i bermuda a pinocchietto, ha deciso di lasciare la racchetta nella sacca a quasi 38 anni, sazio di trionfi e di giorni trascorsi a misurare un campo da tennis. Sui suoi profili social spiega: «Gli ultimi due sono stati anni difficili. È una decisione dura, ma penso che sia il momento giusto per chiudere la carriera. È stata lunga e piena di successi, ho vissuto un sogno che si è realizzato».L’ultimo torneo sarà la finale di Coppa Davis a Malaga in novembre. «Sarà come chiudere il cerchio, perché una delle mie prime gioie è stata la vittoria a Siviglia nel 2004». Ora che la partita lunga 20 anni è compiuta, restano i numeri a ricordare quanto il re spagnolo della terra rossa sia stato fondamentale nella storia di questo sport. Ha vinto 14 Roland Garros, quattro Us Open, due Wimbledon, due Australian Open, cinque Coppe Davis, l’oro olimpico in singolare a Pechino e in doppio a Rio, 36 Master 1000. Il resto mancia. È titolare anche del record di infortuni (11) nei quali si è rotto di tutto: si è lesionato l’addome due volte, una frattura a una costola, i cronici problemi ai piedi. Più un manuale di anatomia patologica utile per qualche tesi universitaria: spalla, scafoide, tendini, gluteo, quadricipiti, artrite traumatica, la rottura parziale di un tendine rotuleo. Eppure si è sempre rialzato per far risuonare sui campi di tutto il mondo il suo terribile rantolo di guerra. Questi «stop and go» hanno insinuato in alcuni commenti la parola doping, ma la Wada (l’agenzia mondiale antidoping) lo ha sempre difeso e lui ha sempre querelato. Gianni Clerici lo chiamava «il meraviglioso cavernicolo». È stato l’elemento di corto circuito arrivato da un’isola a distruggere i gesti bianchi, a imporre al tennis rotazioni, cannonate, ritmi che non si erano mai visti prima. Nadal lo amavi o lo odiavi, anche perché di fronte a lui entrava in campo per le finali il suo contrario, il dio greco plasmato da Fidia e cresciuto con l’istinto di Rod Laver: Roger Federer. Il genio e il pirata hanno caratterizzato un ventennio di rivalità, o meglio di «sovranità condivisa» come l’ha definita Carlo Magnani nei suoi deliziosi saggi sulla filosofia del tennis globale. Perché «Federer e Nadal possono stare insieme, non si elidono. All’uno tocca la regalità spirituale, all’altro l’espressione della forza vitale». Tutto ciò completato dal terzo incomodo che li avrebbe messi d’accordo facendosi sintesi perfetta: il solitario e fenomenale Nole Djokovic.Nadal ha scelto il momento dell’ultimo passante per tre motivi: gli infortuni lo rendevano normale (negli ultimi tempi usciva dagli impianti con le stampelle), il suo gioco fisico era diventato impraticabile, il tennis è già oltre. Jannik Sinner e Carlos Alcaraz - suo erede per passaporto e bicipiti, sua antitesi per tocco e genialità - giocano un altro sport proiettato in un futuro da PlayStation. Eppure anche loro, dopo un rabbioso punto messo a segno, lo imitano con quel «Vamos!» inventato da lui e diventato inno planetario all’autoincitamento in ogni disciplina. Oggi lo senti nel volley, nella scherma, nel calcio, perfino nel curling.Da ragazzino, il meraviglioso cavernicolo rischia di diventare dimenticabile calciatore. Con uno zio campione nel Barcellona (Miguel Angel Nadal) e un altro (Toni) ex tennista professionista a disputarsi le doti del nipote. Vince quest’ultimo e scopre una miniera d’oro. Quando si dice il caso: nel 2001, a soli 15 anni, a Nadal tocca scendere in campo contro quel che resta di Pat Cash in un’esibizione a Maiorca perché Boris Becker ha dato forfait e i biglietti sono già venduti. Lui gioca e vince 12-10. «Vamos!». Tre anni dopo ne ha 18 e diventa il tennista più giovane di sempre a conquistare la Coppa Davis. «Vamos!».Il fenomeno comincia a mietere successi e l’osservatorio di Maiorca gli dedica un asteroide che porta il suo nome. Rafa è pronto a esplorare mondi nuovi e a distruggere convenzioni tecniche (un destro naturale che gioca da mancino) ma anche diagnosi mediche (convive con la sindrome di Müller-Weiss per una malformazione al piede sinistro). Fa carta straccia pure dei protocolli cromatici, con le canotte metrosexual multicolori. Solo a Wimbledon si deve arrendere al total white. Nel giorno dell’annuncio c’è un’immagine che resterà per sempre: le lacrime di Federer due anni fa a Londra nel giorno del ritiro, mano nella mano a Nadal al termine della Laver Cup. Hanno lottato insieme, piangevano insieme. Ora tocca allo spagnolo dire basta e il sublime elvetico gli restituisce la tenerezza: «Ho sempre sperato che questo giorno non arrivasse mai, Rafa. Grazie per tutti i ricordi indimenticabili, è stato un onore assoluto». Sarà stato un onore piazzarsi dall’altra parte della rete, ma soprattutto è stata una fatica perché il pirata spagnolo picchiava come un fabbro. E non moriva mai. Sinner, che ha preso da lui la capacità di esalare l’ultimo respiro un istante dopo l’avversario, lo celebra così: «Sappiamo tutti quanto sia stato grande. Ha insegnato a noi giovani come gestire le situazioni in campo, quelle facili e quelle difficili. E ci ha insegnato anche a rimanere umili, a non cambiare quando raggiungi il successo, a scegliere le persone giuste e ad avere una grande famiglia a fianco», mentre da Nole è arrivata la gratitudine «per averlo sempre spinto al limite». Il re della terra arrivato dal mare è titolare di un ultimo curioso primato: una statua in vita. È in acciaio, alta tre metri e dal 2021 giganteggia davanti al campo centrale del Roland Garros a Parigi per ricordare i 14 titoli, un dominio assoluto. Qualcosa che definisce non un campione, non un idolo, ma semplicemente una leggenda. La statua da vivo, come quelle al calciatore Kevin Keegan e al rugbista Gareth Edwards, che la osserva con un certo imbarazzo a Cardiff quando esce dal supermercato con le buste della spesa.
Federica Picchi (Ansa)
Il sottosegretario di Fratelli d’Italia è stato sfiduciato per aver condiviso un post della Casa Bianca sull’eccesso di vaccinazioni nei bimbi. Più che la reazione dei compagni, stupiscono i 20 voti a favore tra azzurri e leghisti.
Al Pirellone martedì pomeriggio è andata in scena una vergognosa farsa. Per aver condiviso a settembre, nelle storie di Instagram (che dopo 24 ore spariscono), un video della Casa Bianca di pochi minuti, è stata sfiduciata la sottosegretaria allo Sport Federica Picchi, in quota Fratelli d’Italia. A far sobbalzare lorsignori consiglieri non è stato il proclama terroristico di un lupo solitario o una sequela di insulti al governo della Lombardia, bensì una riflessione del presidente americano Donald Trump sull’eccessiva somministrazione di vaccini ai bambini piccoli. Nessuno, peraltro, ha visto quel video ripostato da Picchi, come hanno confermato gli stessi eletti al Pirellone, eppure è stata montata ad arte la storia grottesca di un Consiglio regionale vilipeso e infangato.
Jannik Sinner (Ansa)
Alle Atp Finals di Torino, in programma dal 9 al 16 novembre, il campione in carica Jannik Sinner trova Zverev, Shelton e uno tra Musetti e Auger-Aliassime. Nel gruppo opposto Alcaraz e Djokovic: il duello per il numero 1 mondiale passa dall'Inalpi Arena.
Il 24enne di Sesto Pusteria, campione in carica e in corsa per chiudere l’anno da numero 1 al mondo, è stato inserito nel gruppo Bjorn Borg insieme ad Alexander Zverev, Ben Shelton e uno tra Felix Auger-Aliassime e Lorenzo Musetti. Il toscano, infatti, saprà soltanto dopo l’Atp 250 di Atene - in corso in questi giorni in Grecia - se riuscirà a strappare l’ultimo pass utile per entrare nel tabellone principale o se resterà la prima riserva.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Negli anni Dieci del secolo XX il fisiologo triestino Amedeo Herlitzka sperimentò a Torino le prime apparecchiature per l'addestramento dei piloti, simulando da terra le condizioni del volo.
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Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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Stadio di San Siro (Imagoeconomica)
Ieri il Meazza è diventato, per 197 milioni, ufficialmente di proprietà di Milan e Inter. Una compravendita sulla quale i pm ipotizzano una turbativa d’asta: nel mirino c’è il bando, contestato da un potenziale acquirente per le tempistiche troppo strette.
Azione-reazione, come il martelletto sul ginocchio. Il riflesso rotuleo della Procura di Milano indica un’ottima salute del sistema nervoso, sembra quello di Jannik Sinner. Erano trascorsi pochi minuti dalla firma del rogito con il quale lo stadio di San Siro è passato dal Comune ai club Inter e Milan che dal quarto piano del tribunale è ufficialmente partita un’inchiesta per turbativa d’asta. Se le Montblanc di Paolo Scaroni e Beppe Marotta fossero state scariche, il siluro giudiziario sarebbe arrivato anche prima delle firme, quindi prima dell’ipotetica fattispecie di reato. Il rito ambrosiano funziona così.











