2020-11-26
Rispunta la riforma del Salvastati e Gualtieri scappa di nuovo dall’Aula
Giovanni Tria (Getty images)
Lunedì l'Eurogruppo torna a discutere del «nuovo». Meccanismo di stabilità, accantonato per la crisi del Covid. Ma il ministro spiegherà le sue intenzioni solo nella sede «blindata» della commissione, non in Parlamento.Il Mes è come l'idra, serpente mitologico con tante teste. Ne tagli una e ne restano sempre tante, troppe. Pertanto comprendiamo lo smarrimento dei lettori di fronte al riaccendersi del dibattito politico sul cosiddetto Salvastati. Quando sembrava ormai spento il dibattito sulla linea di credito speciale per le spesa sanitarie, stroncata addirittura dalle parole del presidente dell'Europarlamento, David Sassoli, ora siamo di nuovo alle prese con il Mes «full optional». Ovvero con la riforma del Mes, già oggetto di un accordo politico «in linea di principio» tra giugno e dicembre 2019, la cui formalizzazione, prevista per i primi mesi del 2020, è stata però lasciata in sospeso per il Covid.Ora siamo alla resa dei conti finale ed al centro dell'agenda dell'Eurogruppo di lunedì 30 ritorna prepotentemente la riforma del Mes, il cui carico di tossicità è financo superiore a quello della linea di credito sanitaria. Allora bisogna riavvolgere il nastro e ricordare che la riforma fu definita, nelle sue linee guida, durante le riunioni dell'Eurogruppo avvenute tra dicembre 2018 e giugno 2019, periodo in cui il governo Conte 1, particolare non irrilevante, fu tenuto sotto la costante minaccia della procedura d'infrazione per debito eccessivo. In particolare, fu l'Eurogruppo del 13 giugno 2019 a proporre i termini dell'accordo politico, poi formalizzati nell'Eurosummit del successivo 21 giugno. Peccato che, nel mezzo (il 19 giugno), fu approvata dal Parlamento la risoluzione Molinari-D'Uva che impegnava il governo a «a render note alle Camere le proposte di modifica al trattato Mes, elaborate in sede europea, al fine di consentire al Parlamento di esprimersi con un atto di indirizzo e, conseguentemente, a sospendere ogni determinazione definitiva finché il Parlamento non si sia pronunciato». Il 21 giugno, al termine dell'Eurosummit, il comunicato recitava: «Invitiamo l'Eurogruppo in formato inclusivo a proseguire i lavori su tutti gli elementi di questo pacchetto globale». Il famoso pacchetto a cui non ha mai creduto nessuno fino al punto da essere una delle principali cause di rottura dell'alleanza di governo gialloblù. Tuttavia, quell'illusione è servita al presidente Giuseppe Conte per evitare un atto di indirizzo delle Camere e prendere tempo in attesa dell'avverarsi del mitologico «pacchetto». Nel frattempo, a novembre, il professor Giampaolo Galli in audizione dichiarava che la ristrutturazione del debito (evento non automatico ma molto probabile, con la riforma del Mes) «sarebbe un colpo di pistola a sangue freddo alla tempia dei risparmiatori, una sorta di bail in applicato a milioni di risparmiatori». Subito dopo il governatore di Bankitalia Ignazio Visco, identificava perfettamente il rischio di ristrutturazione del debito specificando che «tale riforma si inserisce fra le iniziative mirate a ridurre l'incertezza circa le modalità e i tempi di una possibile ristrutturazione di un debito pubblico […] I benefici contenuti e incerti di un meccanismo per la ristrutturazione del debito vanno valutati a fronte del rischio enorme che si correrebbe introducendolo: il semplice annuncio di una tale misura potrebbe innescare una spirale perversa di aspettative di insolvenza, suscettibili di autoavverarsi». Da allora, Conte ha solo temporeggiato per sei mesi, per poi essere salvato dal Covid, come ricostruito dallo stesso Tria, sul Sole 24 Ore del 1° dicembre: «Lo “statement" del summit precisava, peraltro, che, come richiesto dall'Italia, nei mesi successivi si sarebbe dovuto proseguire nei negoziati seguendo un approccio complessivo in una logica di “pacchetto" con riferimento ai tre ambiti delineati nel dicembre precedente – revisione del Trattato Mes, introduzione dello strumento di bilancio per la competitività e convergenza (cd. Budget dell'area Euro) e l'Unione bancaria, inclusa l'assicurazione europea sui depositi (Edis). In altri termini si richiedeva che l'accordo finale dovesse riguardare il “pacchetto" nel suo insieme. Ho l'impressione che i negoziati non siano avanzati di molto in questi altri ambiti». E siamo a oggi. Del pacchetto non c'è nemmeno l'ombra, e la riforma del Mes rende ancora più concreti i rischi sottolineati a proposito della linea di credito pandemica: qualora il nostro Paese avesse bisogno di un prestito del Mes, sarebbe indirizzato, ex ante in modo automatico, verso la linea di credito a condizioni rafforzate e, a quel punto, la mannaia della valutazione di sostenibilità del debito potrebbe facilmente decretare la necessità di una ristrutturazione, facilitata pure da un unico voto dei creditori per tutta la massa dei titoli. Questa bomba a orologeria viene oggi messa in secondo piano, perché il Mes riformato conterrebbe il famoso «paracadute» (backstop) cioè un prestito di circa 55 miliardi al Fondo di risoluzione unico per le crisi bancarie. Lunedì si valuterà la sua introduzione anticipata (con connessa valutazione del rischio dei Btp nei bilanci delle banche). Tale fondo è alimentato dai contributi di tutte le banche e, se fosse chiamato a salvare qualche banca di sistema, potrebbe rivelarsi insufficiente. E oltralpe abbondano le banche ricolme di attività illiquide e di difficile valutazione. Alla luce di tutto ciò, lascia davvero sgomenti la decisione della conferenza dei capigruppo di Montecitorio di far riferire il ministro Roberto Gualtieri, in preparazione dell'Eurogruppo di lunedì, solo in Commissione, anziché in Aula. Cosa c'è di meglio di un dibattito alla chetichella, senza resoconto stenografico, con tempi contingentati, per consentire al governo di evitare il confronto con la volontà dell'aula e negoziare senza alcun mandato chiaro?
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