
Piatto ormai marginale custodito nei recinti della memoria, terra di mezzo tra risotto e minestra, nella versione salata o dolce. Si trova un po' in tutte le regioni italiane. Ha il sapore della nostalgia. E uno chef tristellato lo propone in una eclettica variante.Il riso e il latte sono tra gli elementi base di qualunque dispensa di casa. Presi separatamente diventano punto di partenza di millanta creazioni culinarie. Eppure l'incrociarsi tra loro, pur nelle diverse elaborazioni che la cucina ha sviluppato nel tempo, sono diventate un sorta di panda culinario. La loro presenza abbinata assieme, nella cucina familiare, è diventata marginale, spesso custoditi nei recinti della memoria tra i piatti della nonna. Del tutto assente, con qualche rarissima eccezione, tra i fornelli d'autore. Eppure è un imprinting latente, basta una piccola miccia per riaccenderlo e renderlo più vivo che mai. Ne è un esempio quanto testimoniato da una trasmissione condotta da Davide Paolini, il celebre Gastronauta di Radio 24. Anni fa il tema di una puntata era «I piatti della memoria». Nel caravanserraglio che ne seguì, verso fine trasmissione, un «incauto» radioascoltatore ebbe a ricordare, ripescandole dal suo amarcord goloso, le emozioni che gli regalava il riso al latte fatto dalla nonna (quando ancora le nonne vivevano in casa). In particolare un passaggio fu illuminante. «Noi bambini affamati non aspettavamo altro che prendere il cucchiaio per goderci questa bontà. Il semaforo verde di partenza ci veniva regalato dal formarsi della pellicina in superficie. Segno che la temperatura era diventata adatta a prendere la strada delle nostre bocche golose». Una testimonianza come tante. Ma solo in apparenza. Paolini ricorda divertito come, da allora, a trasmissione ormai chiusa, i centralini squillarono da ogni parte d'Italia, perché ognuno voleva ricordare la sua testimonianza di questo abbinamento divenuto Cenerentola. Dopo poco Paolini dedicò un'intera puntata al tema. Il riso e il latte, appunto. Con una serie di scoperte che, tra le varie sorprese, testimoniò come, ritenuto una eredità della pianura padana in realtà, con formule diverse, era diffuso a tutta penisola, sia nella più conosciuta versione salata come anche in quella dolce, con un incrociarsi di tecniche, abbinamenti e relative storie e tradizioni alle spalle, che meritano una attenta rivalutazione. Dolce e salato, appunto, di quando, un tempo, non si buttava via niente. Chiaramente la sua diffusione principale era nella pianura padana dove, da un lato, la presenza delle risaie rendeva abbondante il raccolto e, parimenti, la diffusa presenza degli allevamenti familiari era fonte quotidiana di approvvigionamento del latte. Preparazione in uso sin dal lontano medioevo, consumato come pasto serale in accoglienti scodelle di terracotta. A volte abbinato ad una manciatina di zucchero. Il fascino di questo semplicissimo abbinamento stava anche nel fatto che, cuocendosi, il latte andava a legarsi all'amido del riso, così da assumere un gusto simile alla panna. Chiaramente ideale il latte intero e, come riso, le varianti Arborio, Carnaroli o Roma. Ne risulta una golosa terra di mezzo tra un risotto e una minestra. Nella ricetta classica il riso viene leggermente tostato e poi, a fine cottura, si manteca il tutto con burro e formaggio. Ma la storia è appena cominciata. Basta spostarsi in Piemonte ed ecco le prime varianti. Qui entrano in jam session le castagne, lavorate in maniera tale da renderle cremose. Verso il cuneese, nella Val Varaita, ulteriore variante: minestra di riso con patate e porri al latte. Si sale ancora e, in Val d'Aosta, la liturgia del riso al latte con castagne prevede l'aggiunta 'n coppa di una fetta di fontina gratinata al forno. Scendendo di nuovo in pianura e passando nelle valli bergamasche ennesima versione, ed ecco entrare in pentola anche zucca e cannella. Sfumatura di dolcezza che ritroviamo nella tradizione friulana, dove questo piatto della civiltà rurale viene irrobustito da tuorli d'uovo e un po' di zucchero. Un piatto, come detto, che al solo citarlo rievoca ricordi d'infanzia, ma che era anche supporto dietetico alle mamme «in quarantena» dopo il parto. Lungo la pianura padana, nelle cascine, il riso al latte giustificava, a volte, anche la versione rinforzata, con l'utilizzo di dadetti di salame come di prosciutto, ingentiliti da qualche goccia di liquirizia. Dalle Alpi agli Appennini gli scenari non cambiano, arricchendosi di nuove esperienze. Ad esempio, in Lunigiana, il riso arrivava tramite la via Francigena, ed ecco la torta di riso salata, con formaggio e uova. C'era chi rivestiva il tutto con una sottile sfoglia. A Genova, dove il riso era merce più rara, si aggiungeva l'autoctona prescinseua, una cagliata di latte fresco dalla consistenza a metà tra yogurth e ricotta anche se la prescinseua, invece, era l'ingrediente elettivo della torta pasqualina, un simbolo della cucina all'ombra della lanterna. Scendendo gli appennini la presenza delle castagne è costante, sia in Garfagnana (cioè lucchesia) che nel Casentino (Arezzo) e Amiata (tra senese e grossetano). Il che era dovuto al fatto che, spesso, le castagne andavano a sostituire il pane. Tostato il riso nel suo soffritto di aglio, sedano, cipolla e olio, si mantecava poi il tutto con una spolverata di pecorino e un tocco di «brusco», il locale trebbiano toscano. Cambia completamente la tecnica nel nuorese dove si faceva bollire il latte e poi si buttava il riso sino a completa cottura. Come detto l'abbinamento tra riso e latte consente varianti molto eclettiche. Sia nella variante salata, ma anche in quella di dolce fine menù. Ritorniamo quindi a nord, tra gli appennini bolognesi. La torta degli addobbi affonda le sue radici nel Cinquecento quando, per volere del cardinale Gabriele Paleotti, le processioni del Corpus Domini e di Santa Rita vedevano le strade addobbate con drappi e corone d'alloro. Alla base della preparazione venivano aggiunte mandorle, zucchero e uova e le donne offrivano poi il tutto alla gente del quartiere. Una variante la si ritrova nelle alpi Apuane, con la torta di riso alla massese. Era uno dei dolci di Pasqua, posto che era il periodo in cui le galline erano più generose di uova. Infatti il ricettario prevede che ci siano dieci uova per ogni litro di latte. Qui il riso faceva da base alla teglia da mettere in forno per poi essere ricoperto da un amalgama di latte e uova. Il tutto poi aromatizzato con un mix di liquori le cui variabili erano segreto di ogni famiglia. È il dolce identitario del 28 aprile, nella festa dedicata nel quartiere mirteto di Massa, davanti alla pieve di san Vitale. Riso e latte anche in Campania, in occasione del giorno dell'ascensione, posto il fatto che tradizione prevedeva che si regalasse, tra le famiglie, il latte appena munto. Il tutto abbellito con zucchero, limone e cannella. E, a testimonianza che il riso e latte sono uno dei legami capaci di unire tutta la penisola, ecco il riso nero alla messinese, un antico dolce omaggio alla Madonna nera di Tindari, nei pressi di Patti. È una tradizione legata alle principali festività: Natale, Pasqua, festa di Santa Lucia. La base è formata da riso, latte e cioccolato, con le relative varianti familiari, il tutto impreziosito con cannella, mandorle, bucce d'arancia, canditi. A tutte queste eclettiche varianti, sia dolci che salate, legate alla tradizione, non è mancato tuttavia il contributo anche dei tempi moderni, grazie al tristellato Massimiliano Alajmo che nel suo Le Calandre, a Sarmeola di Rubano, Padova, ha tenuto in carta un suo personalissimo riso e latte allo zafferano con fiori di lavanda.
Il primo ministro del Pakistan Shehbaz Sharif e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (Getty Images)
Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco
Al via un tour nelle principali città italiane. Obiettivo: fornire gli strumenti per far crescere le imprese.