2022-07-16
Rischiamo le condizionalità della Bce pure per gli errori dei Paesi del Nord
Il 21 luglio Christine Lagarde annuncerà l’aumento dei tassi e lo scudo anti spread. Con o senza Draghi la Germania, che fino all’ultimo ha sottovalutato l’inflazione, pretende vincoli per gli Stati indebitati: meccanismo stile Mes.La perdita del potere d’acquisto delle famiglie con l’inflazione alle stelle, il calo della fiducia di imprese e consumatori, le strozzature nell’offerta e i costi di finanziamento oscurano le prospettive per l’anno venturo e stanno rispedendo il nostro Paese all’ultimo posto per crescita nell’area euro con lo 0,9%. E ieri anche Bankitalia ha rivisto al ribasso la stima di crescita 2023 al +1,3% e ha limato quella sul 2024 al +1,7%. Uno scenario avverso davanti al quale Bruxelles assiste «con preoccupato stupore» alla crisi di governo, auspicando una «stabilità» che, ha ammonito giovedì scorso il commissario europeo per l’Economia, Paolo Gentiloni, «in queste acque agitate è un valore in sé». Un commento assai poco super partes che è comunque totalmente condiviso dai lirici del «senza Draghi andremo a fondo». In realtà, anche con Super Mario. Certo, la crisi di governo non poteva capitare in un momento peggiore ma nel caos di questi giorni è opportuno rimanere lucidi e ricordarsi che i problemi veri, per la gestione della politica monetaria, nascono fuori dall’Italia. Il prossimo 21 luglio la Bce dovrebbe annunciare le sue mosse per tamponare l’inflazione e ci sarà il preannunciato primo rialzo dei tassi di interesse dello 0,25%. Al quale ne seguiranno altri probabilmente già dall’autunno, a un ritmo che dipenderà dai dati. E poi, soprattutto, c’è il disegno dello scudo anti spread - o meglio, come lo ha definito Christine LagardeChristine Lagarde, «anti frammentazione» - per proteggere i Paesi ad alto debito da un’eventuale nuova tempesta sui mercati. Insomma, tra pochi giorni Francoforte dovrà decidere se, e come, avviare un nuovo bazooka. E con quali condizioni. La Lagarde ha chiesto la fiducia di tutti ma i falchi del Nord, Berlino in testa, hanno già giurato battaglia. E prima ancora che deflagrasse la nostra crisi di governo. È «indispensabile» che il nuovo scudo anti spread abbia una «efficace condizionalità fiscale», perché gli Stati membri «devono continuare ad avere incentivi sufficienti per portare avanti le loro politiche di bilancio ed economiche in modo sostenibile e ridurre i debiti», ha detto lo scorso 4 luglio il presidente della Bundesbank, Joachim Nagel, chiedendo di fatto obblighi extra per i beneficiari. Lo scudo secondo Nagel sarebbe dunque giustificato «solo in circostanze eccezionali e a condizioni definite in modo stringente». Nel mirino, la proposta di ridurre gli spread di rendimento utilizzando i proventi delle obbligazioni in scadenza in Germania e in altre nazioni del Nord Europa per acquistare più debito italiano, greco, spagnolo e portoghese. La Buba, del resto, è stata per anni il più grande critico della politica dei «soldi facili» della Bce sotto i rispettivi predecessori di Nagel e Lagarde, Jens Weidmann e Mario Draghi, ma si tratta del primo disaccordo esplicito tra il «maggior azionista» e il presidente da quando il primo è entrato in carica a gennaio. Finora i due hanno sempre cercato di smorzare le divisioni: la Lagarde ha dato ai capi delle Banche centrali nazionali più voce in capitolo nelle riunioni politiche e Nagel si è astenuto dal criticarne pubblicamente le scelte. Poi però anche la Bundesbank è stata messa sotto pressione in patria a causa del tasso di inflazione più alto dagli anni Settanta e quindi riecco spuntare le critiche per il sostegno agli Stati più indebitati come l’Italia.Certo, la tempistica della crisi potrebbe influenzare lo scudo - e rafforzare così le posizioni tedesche - attraverso limiti più severi, condizionalità più rigide e soglie di dolore più elevate. Ma la sottovalutazione del rialzo dell’inflazione, la pessima gestione della transizione ecologica e una strategia tutt’altro che univoca su come affrontare la crisi energetica (ricordate il price cap invocato a più riprese da Palazzo Chigi e fin qui snobbato?) sono problemi nati in Europa mentre Draghi era ancora al timone. Così come era già forte prima della crisi di governo la sensazione che lo scudo anti spread somigli sempre di più al Mes ovvero al Meccanismo europeo di stabilità, detto anche Fondo Salvastati. Tra l’altro ieri, nonostante le previsioni apocalittiche della vigilia, Piazza Affari ha chiuso in rialzo dell’1,84% (anche le altre Borse europee tengono il rimbalzo dopo il crollo di giovedì che aveva portato l’euro sotto la parità con il biglietto verde) e anche lo spread tra Btp e Bund è rimasto stabile a 212,85 punti base. Potrebbe esserci un premio di rischio più ampio per il debito italiano, ma gli investitori erano già preparati per un cambio di governo nel 2023 e l’esposizione ai Btp nostrani non è più quella di qualche anno fa. Il tempo comunque stringe: la prossima settimana la Bce dovrà decidere quando intervenire, con acquisti di titoli illimitati oppure no, e a quali condizioni per gli Stati (per esempio quelle del Next generation Eu o della Commissione Ue).