2018-05-15
Riotta dà lezioni sulla Costituzione, peccato non conosca l’articolo 1
La figuraccia in tv dell'editorialista della Stampa ed ex direttore del Tg1 e del Sole 24 Ore. Dimentica le righe sulla sovranità dinnanzi a un politico di destra come Maurizio Gasparri e a un economico euroscettico come il professor Antonio Maria Rinaldi.Pensava che gli articoli della Costituzione fossero al massimo di 140 caratteri, come un vecchio tweet. Ma non è colpa sua perché lui, in barba alla peluria pepe e sale, si percepisce nativo digitale. L'ex direttore del Tg1 e del Sole 24 Ore, Gianni Riotta, è uscito un po' ingobbito dall'ultima puntata del talk show Agorà (Raitre): davanti a un politico di destra come Maurizio Gasparri e a un economista euroscettico come il professor Antonio Maria Rinaldi - quindi al cospetto di due inferiori - ha mostrato di non conoscere il testo di riferimento di ogni radical chic che si rispetti, anche più dei Quaderni Piacentini, di Siddharta e di un paio di libri di Alessandro Baricco a caso: la Carta costituzionale. Nelle more di un ragionamento da salotto, Rinaldi si poneva una domanda retorica: «L'articolo 1 cosa dice? Di chi è la sovranità in Italia? Del popolo». Riotta sobbalzava sulla sedia e chiedeva: «L'articolo di cosa?». L'altro con gentilezza: «Della Costituzione». Il nostro, sornione e sicuro di poter far scattare la tagliola dell'ovvia superiorità culturale: «Ma è proprio così?». Rinaldi ingenuamente: «Se non l'hanno cambiata stanotte...». Allora uno degli esempi più preclari di giornalismo globale, mondialista e inutilmente interista, ha sparato a bruciapelo avvertendo l'ovazione dei parenti a casa: «Mi ricordo che ai tempi era una Repubblica fondata sul lavoro». Poi ha aggiunto con sprezzo del ridicolo: «No perché se uno studente va davanti al professore e gli dice che ha sentito ad Agorà che l'articolo 1 non è sull'Italia repubblica fondata sul lavoro, lo bocciano». Come diceva Giorgio Manganelli, il problema degli intellettuali di sinistra è che «più che dai libri sono attratti dalle prefazioni». Se Riotta non si fosse arreso alla fine del primo capoverso si sarebbe accorto che il secondo (sempre dell'articolo 1 stiamo parlando) comincia con: «La sovranità appartiene al popolo». Saperlo può essere utile, soprattutto nella stagione politica in cui il nemico numero uno del progressista illuminato è il populismo. Nessuno pretende che si debba imparare a memoria la Costituzione (la legge anche Roberto Benigni) ma non è bello pontificare di prerogative costituzionali e fare la figura d'essersi fermati alla terza riga del sacro testo. Ancora di meno se si ha l'incarico solenne di rappresentare l'Italia nel pool di «giornalisti saggi» (un ossimoro) designati dall'Europa per stroncare le fake news.Lo scivolone non scalfirà neppure di un millimetro il prestigio di Riotta, che fu straordinario reporter dagli Stati Uniti magistralmente impegnato in uno storytelling da urlo (a lui piace così): la narrazione della grande siccità del Mississippi, con immagini e ritmi da John Steinbeck. Lo ricordiamo anche sontuoso indossatore di camicie bianche button down quando conduceva (2006-2008) il telegiornale. Che Riotta non abbia un gran rapporto con la suprema Carta è peraltro cosa nota. Da direttore del Tg1 commemorò il 60º anniversario della Costituzione facendone leggere alcuni articoli a un attore. La cosa provocò un vespaio perché erano mutilati nelle parti fondamentali. È dura convincere il popolo quando sul comodino c'è un bigino.
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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