2023-06-01
«Rinunciare al petrolio è impossibile a meno di non chiudere le industrie»
Massimo Nicolazzi (Imago economica)
L’economista Massimo Nicolazzi che insegna Risorse energetiche a Torino: «Ci sono interi settori, come cemento e acciaio, che non riescono a funzionare con l’elettricità. La transizione rapida aumenterà le disuguaglianze sociali».«Possiamo fare a meno del fossile? La risposta oggi è: tecnicamente ancora no». Massimo Nicolazzi non è uno che, su questo tema, possa esprimere giudizi affrettati. Docente di Economia delle risorse energetiche a Torino, ha scritto uno splendido Elogio del petrolio per Feltrinelli e ha accumulato una esperienza trentennale nel settore energetico, lavorando per compagnie come Eni e Lukoil. Non può essere definito in alcun modo - nemmeno dai più fanatici - un «negazionista». Semplicemente si limita a mettere in fila alcuni dati di fatto. E a fare presenti i costi sociali di una transizione ecologica brutale come quella che ci viene imposta oggi. «Il fossile per essere sostituito dalle rinnovabili ha bisogno di essere distribuito da generazione elettrica», ci spiega. «Le rinnovabili e il nucleare riusciamo a usarli solo in forma elettrica. Ci sono alcuni settori dove questo non è ancora completamente possibile, i settori cosiddetti hard to abate: acciaio, trasporti pesanti, cementifici. Lì ancora senza fossile non si va in temperatura, o non ci si va a sufficienza. Su tutto il resto, in buona parte, tecnicamente ci potremmo essere, però dobbiamo ricordarci che non basta cambiare la fonte, bisogna cambiare anche i convertitori». Ovvero?«Tutti i convertitori oggi sono alimentati a fossile: dalle turbine parlando di cose grosse, al gas di cucina, al boiler. Siamo in un mondo che si avvia verso i 9 miliardi di persone: la sostituzione dei convertitori non mi sembra possibile per domani mattina. In ogni caso, per cambiarli si renderebbero necessari degli aiuti, nel senso che la signora Gina non passa dalla cucina a gas alla cucina a convenzione giusto perché è animata da sano spirito verde». Alla signora Gina però viene detto che deve farlo proprio per difendere la natura e fermare il riscaldamento globale. «Io rimpiango i tempi in cui eravamo un popolo di commissari tecnici, perché adesso che siamo diventati prima un popolo di virologi e poi di climatologi mi sembra che la situazione stia un po’ peggiorando dal punto di vista dell’informazione. Riguardo al riscaldamento globale abbiamo alcuni dati verificati: sappiamo che è vero che c’è più anidride carbonica nell’atmosfera, che è vero che le acque degli oceani si alzano di qualche millimetro all’anno, e che è vero che dall’inizio dell’altro secolo a oggi la temperatura è cresciuta grosso modo di un grado e mezzo o giù di lì. Nessuno discute questo e nessuno discute del fatto che l’anidride carbonica e i gas serra nell’atmosfera creino un problema di rifrazione, cioè riscaldano. Va tenuto anche presente che senza anidride carbonica nell’atmosfera non saremmo qui, perché la Terra avrebbe una temperatura costante inferiore ai -17°, quindi l’esistenza dell’homo sapiens non sarebbe neanche cominciata».Come sa sul tema del riscaldamento non è esattamente vero che ci sia accordo totale. «C’è disaccordo su quanto del caldo sia colpa nostra e quanto sia colpa di fenomeni climatici, solari eccetera che non siamo in grado di analizzare e di valutare compiutamente. Ma questo lo lascerei al dibattito fra gli scienziati: l’Ipcc dice è tutta colpa nostra, qualche autorevole voce dice che non è vero. Io da non scienziato mi permetto di dire: speriamo che sia colpa nostra, perché in questo caso potremmo provare ad agire in qualche modo». Nel suo libro lei sostiene che esistano due risposte possibili: mitigazione e adattamento. «Mitigazione significa meno anidride carbonica in atmosfera. Ma se non ho gli strumenti per produrre in maniera decarbonizzata, come faccio? L’unica forma di attenuazione che ho rispetto ad esempio a un cementificio è chiuderlo. Prendiamo un altro caso. Se le acque si alzano posso - come già hanno fatto gli olandesi - costruire dighe. Ma di nuovo: io che non sono un finanziere i soldi per fare la diga che salva Manhattan li trovo in una notte, mentre i soldi per la diga che salva Mogadiscio un po’ meno. Capisce? C’è una sperequazione tra quelli che possono e quelli che non possono adattarsi». Se capisco bene lei sta dicendo: non tutti sarebbero in grado di attuare le politiche di adattamento richieste in nome della lotta al mutamento climatico.«Dobbiamo anche considerare che c’è adattamento e adattamento: nel libro mi sono permesso di scrivere che, oltre alla riduzione delle emissioni, ci sarebbe un problema di inquinamento, di salvaguardia del nostro territorio. Posto che i fondi non sono infiniti, bisogna dare priorità alla salvaguardia del suolo e fare interventi che si rendono necessari. Se al posto delle dighe oggi dobbiamo fare invasi, serve un piano nazionale per gli invasi. Ecco, queste sono forme di adattamento che mi trovano assolutamente d’accordo e che anzi mi sembrano prioritarie rispetto ad altre».Il problema con il riscaldamento globale è il seguente: non solo ci viene detto che esiste ed è colpa nostra, ma che dobbiamo agire subito costi quel che costi. «Sì ma se si chiama transizione è perché deve appunto essere una transizione. L’appello all’immediatezza è - per tacer d’altro - socialmente disastroso. Se lei interviene con tassazioni, obblighi d’acquisto o altre misure pesanti (divieti e quant’altro) sulla spesa delle famiglie, ottiene effetti devastanti. Si ricordi che i gilet gialli sono nati in Francia a seguito di un aumento della benzina venduto come carbon tax. In democrazia per fare la transizione energetica, oltre ai capitali e alla tecnologia, ci vuole anche un po’ di consenso. Il consenso c’è se noi riusciamo ad andare verso un programma di decarbonizzazione che non acceleri e non aumenti le diseguaglianze sociali che già stiamo scontando. Si tratta di un processo necessariamente progressivo». Di questo processo potrebbe fare parte il nucleare. Potrebbe risolvere molti problemi per il passaggio all’elettrico, ma ogni volta che viene evocato... Apriti cielo. «Tanto per cominciare dovremmo cercare di evitare di fare come i tedeschi che han chiuso il nucleare per aumentare temporaneamente il carbone...». Appunto. «Il nucleare è oggetto di una delle tante guerre di religione a mio avviso piuttosto noiose che animano, si fa per dire, il parlar di clima e di decarbonizzazione in questo periodo. A me piacerebbe affrontare il tema in maniera molto laica».Faccia pure. «Dobbiamo in effetti considerare che oggi qualche difficoltà legata a tempo e soldi l’abbiamo. Le ultime centrali nucleari realizzate in Europa - ce n’è una in Inghilterra in costruzione, ce n’è una in Francia, finalmente ne hanno fatta una in Finlandia - non si riescono a costruire in meno di 15 anni. Si dice che ce la faremo in cinque, ma poi si chiude in 15 o 18, e con costi raddoppiati o triplicati rispetto a quelli iniziali. Qualcuno mi dice: sì, ma in Cina le fanno in cinque o sei anni. Sì, appunto: lo fanno in Cina. Noi non abbiamo le stesse modalità di permitting e di organizzazione. Quindi il nucleare non è una sine cura, allo Stato può essere costoso». Ma?«Ma se vogliamo porci laicamente il tema del nucleare dobbiamo passare attraverso una domanda semplicissima: riusciremo a fare a meno dei fossili? E ci riusciremo senza il nucleare? Se qualcuno pensa davvero che nel 2050 si possa andare solo a fonti intermittenti o rinnovabili e comunque non producenti anidride carbonica, allora fa bene a dire no al nucleare».Però non è uno scenario realistico.«Appunto. Tuttavia anche gli scettici devono rendersi conto che il tema non è nucleare contro rinnovabili. Semmai è nucleare contro petrolio e carbone. Se non si riesce a utilizzare solo rinnovabili come si fa? Si preferisce continuare a bruciare carbone o, pur sapendo che ci si impiegherà quindici anni, si vuole iniziare a pensare a una nuova capacità nucleare?».
Kim Jong-un (Getty Images)
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È stato pubblicato sul portale governativo InPA il quarto Maxi Avviso ASMEL, aperto da oggi fino al 30 settembre. L’iniziativa, promossa dall’Associazione per la Sussidiarietà e la Modernizzazione degli Enti Locali (ASMEL), punta a creare e aggiornare le liste di 37 profili professionali, rivolti a laureati, diplomati e operai specializzati. Potranno candidarsi tutti gli interessati accedendo al sito www.asmelab.it.
I 4.678 Comuni soci ASMEL potranno attingere a queste graduatorie per le proprie assunzioni. La procedura, introdotta nel 2021 con il Decreto Reclutamento e subito adottata dagli enti ASMEL, ha già permesso l’assunzione di 1.000 figure professionali, con altre 500 selezioni attualmente in corso. I candidati affrontano una selezione nazionale online: chi supera le prove viene inserito negli Elenchi Idonei, da cui i Comuni possono attingere in qualsiasi momento attraverso procedure snelle, i cosiddetti interpelli.
Un aspetto centrale è la territorialità. Gli iscritti possono scegliere di lavorare nei Comuni del proprio territorio, coniugando esigenze professionali e familiari. Per gli enti locali questo significa personale radicato, motivato e capace di rafforzare il rapporto tra amministrazione e comunità.
Il segretario generale di ASMEL, Francesco Pinto, sottolinea i vantaggi della procedura: «L’esperienza maturata dimostra che questa modalità assicura ai Comuni soci un processo selettivo della durata di sole quattro settimane, grazie a una digitalizzazione sempre più spinta. Inoltre, consente ai funzionari comunali di lavorare vicino alle proprie comunità, garantendo continuità, fidelizzazione e servizi migliori. I dati confermano che chi viene assunto tramite ASMEL ha un tasso di dimissioni significativamente più basso rispetto ai concorsi tradizionali, a dimostrazione di una maggiore stabilità e soddisfazione».
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Roberto Occhiuto (Imagoeconomica)