I dati del penultimo trimestre 2024: +35% di espulsioni rispetto al 2023. Persino verso la Siria ancora retta da Assad e la Georgia filorussa: alla faccia dei «Paesi sicuri». Le più severe: Francia, Germania e Spagna.
I dati del penultimo trimestre 2024: +35% di espulsioni rispetto al 2023. Persino verso la Siria ancora retta da Assad e la Georgia filorussa: alla faccia dei «Paesi sicuri». Le più severe: Francia, Germania e Spagna.Che volete farci: all’estero, evidentemente, non hanno i giudici di Magistratura democratica. Non hanno Silvia Albano del tribunale di Roma e nemmeno Marco Gattuso del tribunale di Bologna. Ecco perché hanno potuto emanare a raffica ordini di rimpatrio, persino verso Paesi che, da noi, le sezioni immigrazione si sarebbero affrettate a dichiarare non sicuri. Ad esempio, la Siria, che nel periodo cui si riferiscono i dati diffusi ieri da Eurostat, cioè il terzo trimestre del 2024, era ancora dispoticamente governata dall’autocrate Bashar al-Assad. Al punto tale che nemmeno il governo di centrodestra, ai ferri corti con le toghe sulla questione dei trattenimenti nel Cpr albanese, si è spinto fino al punto di inserirla nella lista dei 19 Paesi che Roma considera sicuri.La fotografia dell’istituto di statistica europeo è chiara: tra luglio e settembre, nell’Ue, sono aumentati del 13% i rimpatri di migranti verso Paesi terzi. Se paragonate alle cifre dello stesso intervallo di tempo nel 2023, le espulsioni degli extracomunitari risultano cresciute addirittura del 35%, a riprova che nel Vecchio continente il vento è cambiato. Adesso, tira aria di confini impermeabili. Di tolleranza zero nei confronti dei clandestini. Ma colpisce anche l’elenco delle mete in direzione delle quali sono stati disposti gli allontanamenti: al primo posto, l’innocua Algeria, che da sola dà conto del 10% delle procedure, subito seguita, a pari merito, dal Marocco e dalla Siria (7%). E dire che, la scorsa estate, mancava la scusante del cambio di regime: mentre i nostri partner dell’Unione cacciavano i mediorientali indesiderati, il tiranno sanguinario non era stato ancora detronizzato dai jihadisti «buoni», quelli con le barbe corte, quelli che promettono amnistia e tolleranza e invitano i rifugiati a rientrare. I siriani, d’altronde, devono esser stati poco graditi in Europa: è sufficiente guardare la fretta di vari Stati membri dell’Ue nell’organizzare il loro ritorno a casa. Ursula von der Leyen insiste su un principio: le partenze devono essere volontarie. Intanto, qualcuno ha pensato di incentivare gli adii spontanei: tipo l’Austria, pronta a consegnare 1.000 euro ai concittadini di Abu Muhammad al-Jolani, qualora decidano di fare fagotto e raggiungere il loro nuovo leader illuminato.Ironia della sorte, a dominare la classifica dei rimpatri effettivamente attuati - e non solo decretati dalle autorità - ci sono i cittadini georgiani. È bizzarro, perché nelle ultime settimane la condizione del Paese sembra essere parecchio peggiorata: le elezioni sono state vinte dai filorussi, il presidente incaricato è un ex calciatore gradito a Vladimir Putin, le piazze sono infiammate dalle proteste e il Consiglio Ue minaccia sanzioni per la repressione delle opposizioni. Quei signori, insomma, sono stati rimandati in una polveriera.Sul podio dei più solerti nell’espellere gli irregolari, ci sono tre Stati governati dalla sinistra che ha abiurato il dogma dell’accoglienza: Francia (3.655 rimpatri effettivi, a fronte di un record di oltre 30.000 provvedimenti), Germania (3.260 rimpatri, con quasi 15.000 ordini) e Spagna (3.160 rimpatri e una quantità di fogli di via emessi simile a quella di Berlino). I guai di Emmanuel Macron, braccato dai lepenisti, sono arcinoti. Quelli di Olaf Scholz, ormai sfiduciato, pure. I socialisti spagnoli tengono duro, ma se con una mano mettono fuori la porta i migranti, con l’altra contestano il modello Albania di Giorgia Meloni. L’Italia, nonostante gli ottimi risultati conseguiti in Tunisia, con un bel -80% di sbarchi nei primi 11 mesi del 2024, nel terzo trimestre di quest’anno si è collocata al quarto posto per numero di rimpatri, appena dietro la Grecia. Non la aiutano le banderuole dei giudici. E non è solo un problema di Gjadër. Come ha documentato La Verità, si fatica pure a far funzionare a pieno ritmo i Cpr italiani: nel 2023, la percentuale di clandestini rilasciati per mancata convalida dei trattenimenti ha raggiunto il 23%; la quota di rimpatri, invece, negli anni è rimasta stabile, quando non è lievemente calata.Va segnalato che, a settembre, mese in cui terminano le rilevazioni Eurostat, non era ancora uscita la sentenza della Corte di giustizia, pubblicata il 4 ottobre, che ha reso più stringenti i criteri per identificare i Paesi sicuri. È a quella che si sono appigliate le toghe italiane, nel fermare i trasferimenti di egiziani e bengalesi in Albania. Comunque, gli altri Stati Ue sono abituati a rispedire gli ospiti indesiderati in luoghi burrascosi. I tedeschi sono stati capaci di organizzare voli charter per l’Afghanistan dei talebani; dal 16 settembre al 20 ottobre, hanno rimpatriato 1.000 stranieri. Si vede che non c’è un più un giudice a Berlino. E neanche a Stoccolma: il 9 ottobre, la Svezia ha fatto decollare un aereo per Baghdad con a bordo 22 iracheni.Ora, la Von der Leyen promette che, entro il Consiglio Ue di marzo 2025, sarà ridefinito il concetto di Paesi sicuri. Lo scopo è anticipare gli effetti del prossimo regolamento, in vigore dal 2026, che ammette le eccezioni territoriali bocciate dal tribunale del Lussemburgo, ai sensi della normativa oggi in vigore. Per l’Italia sarebbe un aiuto prezioso. A quanto pare, noi ne abbiamo più bisogno di tutti.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





