2020-09-09
Rimpasto Ue: ora Gentiloni ha un capo in più
Paolo Gentiloni e Valdis Dombrovskis (Ansa)
Valdis Dombrovskis va al Commercio al posto del dimissionario Phil Hogan, ma rimane rappresentante della Commissione all'Eurogruppo. All'irlandese Mairead McGuinness l'incarico economico che era del lettone. E torna in agenda la riforma del Mes bloccata dal Covid.Quando si dice che cambiando l'ordine dei fattori il risultato non cambia. Poteva essere la volta buona per il commissario europeo all'Economia, Paolo Gentiloni, di liberarsi del proprio «capo», il lettone Valdis Dombrovskis. Un anno fa, esattamente in questi giorni, il presidente della Commissione Ursula von der Leyen rendeva pubblici i nomi della sua squadra. Tra i quali figurava e figura tutt'ora, per l'appunto, quello dell'ex premier italiano. Nemmeno il tempo di stappare lo champagne, che la gioia per aver ricevuto in dote un dicastero tanto importante veniva rovinata da un'infausta notizia. Per tutta la durata del mandato, infatti, Gentiloni avrebbe dovuto muoversi sotto la supervisione di Dombrovskis. «Dovranno collaborare moltissimo», aveva sottolineato la von der Leyen a margine dell'evento di presentazione dei commissari. Nella gerarchia di Bruxelles, in virtù della carica di vicepresidente esecutivo della Commissione, al lettone veniva garantito un potere superiore rispetto al «sottoposto» Gentiloni. Senza contare che, oltre a coordinare il gruppo di commissari intitolato «Un'economia al servizio delle persone», Dombrovskis avrebbe tenuto per sé l'importante ruolo di commissario per la Stabilità finanziaria, i servizi finanziari e il mercato unico dei capitali. Una carica che aveva ereditato, già sotto Jean-Claude Juncker, dal britannico Jonathan Hill dimessosi all'indomani del referendum sulla Brexit. E così, Gentiloni a tutti gli effetti risultava un commissario commissariato. Bruxelles però ci sta abituando ai colpi di scena manco fosse una puntata di Beautiful. E così, dopo le già citate dimissioni di Hill, la bocciatura dei commissari proposti da Romania e Ungheria, e la tardiva nascita della Commissione a seguito della difficoltà di trovare una maggioranza all'Europarlamento, a mettere un po' di pepe nella noiosissima routine di Palazzo Berlaymont è arrivato lo scandalo Golfgate. Totalmente in barba alle restrizioni imposte per evitare la diffusione della pandemia dal governo irlandese, lo scorso 19 agosto il commissario al Commercio, Phil Hogan, e altre 80 persone - inclusi diversi politici di spicco a livello nazionale - si sono ritrovati con tanto di mazze e caddy per disputare una bella partitella all'Oirechtas golf society di Clifden, ridente località turistica affacciata sulla costa occidentale dell'isola. Risultato: a seguito delle vibranti polemiche, Hogan si è dovuto dimettere dalla carica di commissario. Come annunciato ieri da Ursula von der Leyen, dopo un breve periodo di interim, la poltrona al Commercio lasciata vacante è stata affidata in via definitiva a Valdis Dombrovskis. Contestualmente, l'irlandese Mairead McGuinnes, già vicepresidente del Parlamento europeo, è stata nominata commissario per la Stabilità finanziaria, i servizi finanziari e il mercato unico dei capitali. Ruolo che, come detto, fino all'altro ieri era ricoperto dal politico lettone.Tutto è bene quel che finisce bene, direte voi. Grazie alle dimissioni di Hogan e allo spostamento di Dombrovskis al Commercio, per Paolo Gentiloni sembrava fatta. E invece no, perché a sorpresa ieri la von der Leyen ha annunciato che pur assumendo il nuovo incarico, Dombrovskis «rimarrà il rappresentante all'Eurogruppo (la riunione dei ministri europei dell'Economia, ndr) per la Commissione europea, insieme al commissario Gentiloni». Una mossa rilevante per due motivi. Primo, perché ribadisce casomai ce ne fosse bisogno la fortissima influenza che l'ex premier lettone può ormai vantare nelle stanze dei bottoni di Bruxelles. Secondo, perché la decisione di non lasciare correre da solo Gentiloni riafferma la scarsa fiducia di Ursula von der Leyen nei confronti dell'Italia quando si tratta di prendere decisioni che contano in materia di tematiche finanziarie. Con l'approssimarsi della stagione autunnale, caratterizzata non solo dall'elaborazione del Recovery plan ma anche dalla discussione sui possibili tempi della riapertura del Patto di stabilità e crescita, lasciare troppa libertà a un Paese considerato poco «virtuoso» sul piano dei conti pubblici come il nostro poteva dare adito a polemiche, specie da parte degli Stati cosiddetti «frugali». Molto più semplice, come già fatto l'anno precedente, fissare con chirurgica precisione tutta una serie di paletti intorno a Gentiloni. Che da domani si troverà a dover svolgere i propri compiti accompagnato da due badanti, anziché uno solo.Come dimostrato dalla gestione dell'emergenza Covid, l'Unione europea è a un bivio, e le scadenze che contano sono dietro l'angolo. Tanto per cominciare, venerdì si riunisce l'Eurogruppo. Sul tavolo dovrebbe tornare la riforma del Meccanismo europeo di stabilità. Rimasta al palo per molti mesi prima a causa delle controversie legali francesi, descritte a suo tempo da La Verità, e poi per la pandemia. E che ora torna a rappresentare un banco di prova per la tenuta del governo giallorosso, nell'impossibile missione di tenere unite sul tema le opposte visioni di dem e pentastellati.
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
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Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Giorgetti ha poi escluso la possibilità di una manovra correttiva: «Non c'è bisogno di correggere una rotta che già gli arbitri ci dicono essere quella rotta giusta» e sottolinea l'obiettivo di tutelare e andare incontro alle famiglie e ai lavoratori con uno sguardo alle famiglie numerose». Per quanto riguarda l'ipotesi di un intervento in manovra sulle banche ha detto: «Io penso che chiunque faccia l'amministratore pubblico debba valutare con attenzione ogni euro speso dalla pubblica amministrazione. Però queste sono valutazioni politiche, ribadisco che saranno fatte solo quando il quadro di priorità sarà definito e basta aspettare due settimane».
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