Santuari, valli, città: sta a noi scegliere dove preferiamo «nasconderci», non solo per stare con noi stessi, ma anche per ritrovare la voglia di stare con gli altri. Luoghi in cui rifugiarsi lontano dalle folle e dalle metropoli: borghi poco conosciuti, paesi al di fuori delle rotte turistiche, posti immersi nella natura.
Santuari, valli, città: sta a noi scegliere dove preferiamo «nasconderci», non solo per stare con noi stessi, ma anche per ritrovare la voglia di stare con gli altri. Luoghi in cui rifugiarsi lontano dalle folle e dalle metropoli: borghi poco conosciuti, paesi al di fuori delle rotte turistiche, posti immersi nella natura.Lo speciale contiene un articolo e un itinerario di cinque tappe.Nonostante gli italiani amino la compagnia più di altri popoli, infatti, a dominare lo scenario di questi ultimi due anni è il bisogno di appartarsi dalle grandi folle delle varie Vie del Corso nazionali. Se il gruppo è sempre stata la conformazione ideale per la maggior parte degli italiani, oggi pranzare con una decina di persone appare sempre più come un atto sovversivo. Pare che la solitudine, già avversata dalla gran parte degli individui, sia ora uno spettro con il quale fare i conti quotidianamente.Durante i primi mesi del 2020, molte persone - non senza stupore - hanno tratto benefici psicologici dall’isolamento forzato. Perché se l’amicizia è un bene prezioso e si basa su scelte reciproche, lo stare insieme forzato ha sempre presentato il conto: colleghi, conoscenze dalla fatua consistenza e parenti non amati sono usciti dai cerchi predeterminati con cui singoli e famiglie hanno costruito la loro vita sociale.Ecco dunque l’altra faccia della medaglia dell’essere compagnoni: la prossimità all’italiana è un’arma a doppio taglio, tanto una qualità quanto un difetto. L’obbligo sociale, particolarmente sentito all’interno dei nostri confini, ha così ceduto il passo a lezioni online, pranzi in solitaria e allenamenti lontani dagli occhi dei compagni di sport.Premesso che nessun rapporto umano autentico può essere sostituito da avatar o follower, questo rifugio negli schermi del pc ha rappresentato una salvezza per coloro che si sentivano pressati da contatti non voluti.Rispetto a due anni fa cosa è cambiato? Poco. La libertà è aumentata solo in apparenza, considerato che ogni giorno dobbiamo fare i conti con la paura di contagiare ed essere contagiati nonostante vaccini e tamponi. Genitori e nonni appaiono in tutta la loro fragilità, mentre figli e nipoti hanno preso le sembianze di untori dai volti innocenti. Il confine tra cautela e diffidenza è labile come non mai e la solitudine viene scelta, ancora una volta, come il male minore.Siamo passati da relazioni sociali imposte dall’esterno a una solitudine altrettanto imposta. La domanda, a questo punto, è: come recuperare la libertà di scelta, anche nell’organizzare un viaggio? L’ideale sarebbe quello di fare riferimento al proprio carattere e non alle paure: se ci riteniamo animi solitari o comunque dediti solo a rapporti veri, allora questo viaggio tutto italiano fa per noi. Se invece, sempre per indole, aneliamo feste, folle allegre e rumore, è bene che cerchiamo altrove.Il viaggio di cui parliamo qui ha a che fare con il silenzio, il raccoglimento, la diversità. Ma anche con l’ascolto profondo, la natura e l’arte. Esistono luoghi, in Italia, ancora poco battuti. Trovarli è questione di desiderio: bisogna amare i portoni chiusi, le opere nascoste, le zone buie. Tutti elementi che, a ben guardare, possono essere scoperti anche in metropoli come Napoli o Palermo: basta spostarsi dalle vie principali per un po’ di refrigerio. L’azione che questi luoghi compiono su di noi è magica: si offrono in tutta la loro bellezza solo ai nostri occhi e a quelli di chi è in cerca di dettagli. Le persone rumoreggiano in lontananza e noi ci sentiamo orgogliosi di aver vissuto un’esperienza apparentemente lontana, ma nei fatti situata dietro un angolo.Poco conta il motivo per rifugiarsi, da soli o in compagnia di pochi: che sia per ritrovare se stessi, per avere pace o per pensare, è un viaggio che vale sempre la pena compiere, anche se per pochi giorni. Un viaggio che non ha stagioni, ma che inizia nel momento in cui si inizia a pensarlo.Santuari, valli, città e borghi: sta a noi scegliere dove preferiamo “nasconderci”, non solo per stare con noi stessi, ma anche - auspicabilmente - per ritrovare la voglia di stare con gli altri.<div class="rebellt-item col2" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/rifugi-2656170791.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="grazzano-visconti" data-post-id="2656170791" data-published-at="1640706692" data-use-pagination="False"> Grazzano Visconti Grazzano Visconti (iStock) Grazzano Visconti è la deliziosa frazione di Vigolzone, in provincia di Piacenza. È famosa per il suo castello, costruito nel 1395 su concessione di Gian Galeazzo Visconti, Signore di Milano, che lo donò alla sorella Beatrice, sposa del nobile Giovanni Anguissola.Nel 1870 il castello tornò nelle mani dei Visconti di Modrone, in particolare in quelle dell’eccentrico Duca Giuseppe, che lavorò sia al rifacimento del castello che al borgo, inseguendo il sogno di un luogo in perfetto stile medievale, sia nelle architetture che nel modo di vivere. In questo paese i mestieri dell’artigianato si sarebbero dovuti opporre all’industrializzazione delle città, cosa che si realizzò.In effetti, a Grazzano Visconti sono disseminate decine di negozi di antiquariato e botteghe dove si lavora soprattutto il ferro battuto. È davvero come tornare indietro nel tempo, ai tempi delle Corporazioni, e le manifestazioni in costume che si svolgono durante l’anno rafforzano questa caratteristica di posto isolato dal resto del mondo.Oggi camminare per Grazzano Visconti è un’esperienza che immerge sì nella storia, ma anche e soprattutto nella mente del suo inventore. Un luogo per ritrovare la pace, ma anche un passato ormai lontano ma che sia di ispirazione per un futuro non troppo meccanizzato. La natura lo circonda, rendendolo il luogo dove poter evadere dal chiasso dei grandi centri. All’interno del parco si trovano labirinti, viali e statue dalle suggestioni antiche.Sul sito di Grazzano Visconti è possibile prenotare una visita guidata al castello e al parco (per quest’ultimo, però, le visite sono sospese fino a marzo).Dormire a Grazzano Visconti e dintorniLa Locanda di Grazzano, 4 Via Carla Erba: eleganza e accoglienza;Hotel Fiore & Fiocchi, Via Roma 84, Podenzano (PC): è anche un buon ristorante.Mangiare a Grazzano Visconti e dintorniOsteria Caminetto, Via Carla Erba, Grazzano Visconti: da provare Pisarei e fasó e lo gnocco fritto;Ristorante Trattoria La 45, SP35, 5, Niviano (PC): tortelli con sugo di funghi porcini e torta fritta;Ristorante Pizzeria Le Specialità, Via Europa, 27, Vigolzone (PC): ottimi piatti di pesce. <div class="rebellt-item col2" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/rifugi-2656170791.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="camaldoli" data-post-id="2656170791" data-published-at="1640706692" data-use-pagination="False"> Camaldoli Camaldoli (iStock) A Poppi, in provincia di Arezzo, sorge un eremo fondato nel 1000 circa: Camaldoli. Sede della Congregazione benedettina dei camaldolesi, deve l’aura di pace che emana anche al luogo in cui è situato: il parco nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna.L’Eremo di Camaldoli rappresenta perfettamente quanto detto all’inizio: a pochi passi, infatti, sorge il monastero, dove invece si fa vita di comunità. Due luoghi separati, ma vicini, a simboleggiare le due dimensioni dell’uomo.All’interno dell’eremo vi è una foresteria, dove gli ospiti - religiosi o laici poco importa - possono fermarsi a dormire. Durante le Festività, l’accoglienza si fa ancora più calda per i momenti di condivisione tra monaci e ospiti, anche se è possibile soggiornare qui tutto l’anno, tranne nel periodo di chiusura (solitamente tra gennaio e febbraio).Si sceglie Camaldoli per provare l’esperienza del ritiro, ma anche per partecipare a esercizi spirituali, corsi e convegni. Il prossimo evento, per esempio, si terrà tra il 2 e l’8 gennaio: “L’inedito” è una serie di esercizi spirituali ecumenici riferiti sia alla Chiesa primitiva che a quella di oggi.Per informazioni, è possibile chiamare i numeri + 39 0575 556021/556044 o scrivere a foresteria@camaldoli.itInfine, per proseguire con questa esperienza di pace, si può organizzare un’escursione su uno dei tanti sentieri del parco nazionale. Sul sito tutte le informazioni.Se invece si preferisce fare una visita in giornata, ecco alcuni indirizzi per dormire e mangiare da queste parti.Dormire a Camaldoli e dintorniBorgo I Tre Baroni - Spa Suites & Resort, Via di Camaldoli, 52, Poppi (AR);Hotel Ristorante La Torricella, Loc. Torricella, Poppi (AR)Entrambi immersi nella natura.Mangiare a Camaldoli e dintorniPucini, Via Pucini, 4, Camaldoli: ideale dopo un’escursione nelle Foreste Casentinesi;Ristorante Il Cedro, Località Moggiona, 20, Poppi: da provare il coniglio in porchetta, l’acquacotta di Moggiona e le pappardelle al ragù di lepre;Ristorante Mater, Via di Camaldoli, 52, Moggiona: piatti ricercati, come il risotto ai funghi con clorofilla di prezzemolo e latte di mandorla fermentata. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/rifugi-2656170791.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="urbino" data-post-id="2656170791" data-published-at="1640706692" data-use-pagination="False"> Urbino Urbino (iStock) Una città sicuramente conosciuta, eppure non così battuta dal turismo di massa, è Urbino (PU). Il capoluogo di provincia marchigiano è un vero e proprio colpo d’occhio e fa parte di quel magnifico gruppo di città e cittadine che appaiono a tutti come ferme nel tempo.È il luogo perfetto in cui trascorrere qualche giornata all’insegna dell’arte, della cultura e anche della natura.Non si può dire mai di conoscere Urbino se prima non si visita Palazzo Ducale, le cui mura e le cui torricelle spiccano sul resto della città. Nobile dimora del duca Federico da Montefeltro, merita di essere scoperto con l’aiuto di una guida, che in un paio d’ore può spiegare la maggior parte delle opere qui presenti.Da un duca a un pittore: la casa di Raffaello è un altro sine qua non. Al suo interno, quadri e sculture dell’artista urbinate.Ma la visita a Urbino non può proseguire senza passare dall’Oratorio di San Giuseppe (la cappella più piccola ospita un presepe a grandezza naturale) e da quello di San Giovanni Battista (affrescato da Lorenzo e Jacopo Salimbeni), dal Duomo, da Piazza del Mercatale con la sua rampa elicoidale, dalla Chiesa di San Bernardino, dalla Fortezza Albornoz e dal Parco della Resistenza.È camminando nel dedalo di vie di questa città universitaria, però, che si ha particolare modo di apprezzarne l’anima dotta e pacata.Dormire a UrbinoColleverde Country House SPA & Benessere Urbino, Via Bocca Trabaria Ovest 96: immersa nel verde, in ottima posizione;Lo Studio di Battista, 6 Via Volta della Morte: un posto accogliente e dall’arredamento particolare.Mangiare a UrbinoOsteria Gula, Corso Giuseppe Garibaldi, 29: consigliate la carne e la crescia;Taverna degli Artisti, Via Donato Bramante, 52: da assaggiare la pasta ai fagioli e i passatelli alle verdure;Tartufi Antiche Bontà, Via Raffaello, 35: ottimi l’antipasto di vellutata al tartufo e i salumi. <div class="rebellt-item col2" id="rebelltitem4" data-id="4" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/rifugi-2656170791.html?rebelltitem=4#rebelltitem4" data-basename="sulmona" data-post-id="2656170791" data-published-at="1640706692" data-use-pagination="False"> Sulmona Sulmona (iStock) Se si vuole staccare la spina, l’Abruzzo rimane sempre un’ottima idea. Ci si può isolare tra le sue montagne o, se si opta per scelte intermedie, in uno dei suoi borghi. Come Sulmona (AQ), famosa per i suoi confetti colorati e dai mille gusti.Circondata dalla Majella, Sulmona vanta palazzi e chiese da tenere d’occhio, come la Cattedrale di San Panfilo, la Chiesa di Santa Maria della Tomba e il complesso della Santissima Annunziata (che ospita, tra le altre cose, i musei comunali). Ma l’attrazione principale rimane la statua di Ovidio (cui Sulmona diede i natali), in Piazza XX Settembre. Notevoli anche Porta Napoli, la Fontana del Vecchio e l’Acquedotto Medievale, che si sviluppa intorno a Piazza Garibaldi, da cui si può godere di una vista privilegiata sulle montagne.Il centro storico è raccolto e consta di due vie principali, Viale Roosevelt e Corso Ovidio, entrambe piene di botteghe che mettono in esposizione i classici mazzi di fiori composti con i confetti.Nonostante i suoi oltre 20.000 abitanti e la ricchezza delle architetture religiose e civili, Sulmona rimane un paese non troppo turistico, dov’è facile sentirsi a casa. Inoltre è un’ottima base di partenza per le escursioni nella natura. Infine, da Sulmona parte la Transiberiana d’Italia, storico treno che, ogni domenica mattina, raggiunge Isernia, in Molise. In una manciata di ore si attraversa così il Parco della Majella, con i suoi suggestivi paesaggi. È possibile prenotare direttamente sul sito.Dormire a SulmonaHotel Ovidius, Via Circ.Ne Occidentale, 177: 4 stelle in pieno centro;Hotel Armando’s, Via Montenero, 15: bellissima vista sui monti della Majella e del Morrone.Mangiare a SulmonaRistorante Buonvento, Piazza Plebiscito, 21/22: ottimi gli spaghettoni al Montepulciano, le pallotte cacio e ova e gli arrosticini tagliati a mano;L’Antica Corte Trattoria Contemporanea, Via Ercole Ciofano, 51: carne di qualità e dolci particolari;Ristorante Il Canestro, Via Leopoldo Dorrucci, 13: buoni piatti della tradizione. <div class="rebellt-item col2" id="rebelltitem5" data-id="5" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/rifugi-2656170791.html?rebelltitem=5#rebelltitem5" data-basename="castel-san-vincenzo" data-post-id="2656170791" data-published-at="1640706692" data-use-pagination="False"> Castel San Vincenzo Castel San Vincenzo (iStock) Il Molise è già, di per sé, un luogo in cui rifugiarsi lontano da tutto e da tutti. Castel San Vincenzo (IS) lo è in particolar modo.Sembra strano che una regione e un borgo così belli siano sconosciuti ai più, ma è così. Caste San Vincenzo si trova nel bel mezzo del Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, ai piedi delle Mainarde, abitato da poche anime e affacciato sull’omonimo lago.Si parte da una passeggiata nel borgo, tra scorci incredibili sul lago e antichi edifici, come le chiese di San Francesco, di Santa Maria Assunta e di Santa Chiara. Bellissima anche la Fontana Fraterna, che si trova in Piazza Papa Celestino V, che nacque proprio qui.Dopodiché si prosegue con il fiore all’occhiello di Castel San Vincenzo, ossia l’Abbazia di San Vincenzo al Volturno (a circa 4 km dal borgo), sorta sui resti di un’abbazia longobarda. Oggi è possibile visitare ciò che rimane della chiesa nord (o Cripta di Epifanio), famosa per gli affreschi altomedievali che la decorano.A pochi metri, la Basilica di San Vincenzo Maggiore, chiamata anche abbazia nuova, che venne ricostruita dopo la II Guerra Mondiale.Quanto ai dintorni, il consiglio è di passeggiare nella zone delle sorgenti del Volturno e di fare un salto nel borgo fantasma di Rocchetta Alta, stando attenti a dove si mettono i piedi: gli edifici sono infatti pericolanti. L’impressione è quella di tornare indietro, in un tempo cristallizzato dalla storia. Si vedono ancora le panche di legno all’interno della chiesa quasi inagibile, un orologio e le tante case abitate da animali e piante. Neanche l’ombra di esseri umani.Dormire a Castel San Vincenzo e dintorniBorgo Donna Teresa, Via San Nicola Snc., Castel San Vincenzo: offre due eleganti appartamenti;Locanda Belvedere Da Stefano, Loc. Pratola, Rocchetta a Volturno: immersa nella natura, è anche un buon ristorante.Mangiare a Castel San Vincenzo e dintorniTerra Nostra, Via Fontelavilla, 1, Scapoli (IS): da provare la pasta fatta in casa, come i ravioli alla scapolese;Ristorante Da Oreste e Maria, Via Nazionale, 13, km 28,400 Colli a Volturno (IS): caciocavallo molisano e ravioli con tartufo di ricotta di capra i must;La Zampogna, Località Case Sparse Vicenne, Scapoli: tartufo, pasta fresca e cinghiale i piatti forti.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Fu il primo azzurro a conquistare uno Slam, al Roland Garros del 1959. Poi nel 1976, da capitano non giocatore, guidò il team con Bertolucci e Panatta che ci regalò la Davis. Il babbo era in prigionia a Tunisi, ma aveva un campo: da bimbo scoprì così il gioco.
La leggenda dei gesti bianchi. Il patriarca del tennis. Il primo italiano a vincere uno slam, il Roland Garros di Parigi nel 1959, bissato l’anno dopo. Se n’è andato con il suo carisma, la sua ironia e la sua autostima Nicola Pietrangeli: aveva 92 anni. Da capitano non giocatore guidò la spedizione in Cile di Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Tonino Zugarelli che nel 1976 ci regalò la prima storica Coppa Davis. Oltre a Parigi, vinse due volte gli Internazionali di Roma e tre volte il torneo di Montecarlo. In totale, conquistò 67 titoli, issandosi al terzo posto della classifica mondiale (all’epoca i calcoli erano piuttosto artigianali). Nessuno potrà togliergli il record di partecipazioni (164, tra singolo e doppio) e vittorie (120) in Coppa Davis perché oggi si disputano molti meno match.
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Il presidente Gianni Tessari: «Abbiamo creato una nuova Doc per valorizzare meglio il territorio. Avremo due etichette, una per i vini rifermentati in autoclave e l’altra per quelli prodotti con metodo classico».
Si è tenuto la settimana scorsa all’Hotel Crowne Plaza di Verona Durello & Friends, la manifestazione, giunta alla sua 23esima edizione, organizzata dal Consorzio di Tutela Vini Lessini Durello, nato giusto 25 anni fa, nel novembre del 2000, per valorizzare le denominazioni da esso gestite insieme con altri vini amici. L’area di pertinenza del Consorzio è di circa 600 ettari, vitati a uva Durella, distribuiti sulla fascia pedemontana dei suggestivi monti della Lessinia, tra Verona e Vicenza, in Veneto; attualmente, le aziende associate al Consorzio di tutela sono 34.
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)
Un mio profilo è stato cancellato quando ho pubblicato dati sanitari sulle pratiche omoerotiche. Un altro è stato bloccato in pandemia e poi eliminato su richiesta dei pro Pal. Ne ho aperto un terzo: parlerò dei miei libri. E, tramite loro, dell’attualità.
Se qualcosa è gratis, il prodotto siamo noi. Facebook è gratis, come Greta è pro Lgbt, pro vax, anzi anti no vax, e pro Pal. Se sgarri, ti abbatte. Il mio primo profilo Facebook con centinaia di migliaia di follower è stato cancellato qualche anno fa, da un giorno all’altro: avevo riportato le statistiche sanitarie delle persone a comportamento omoerotico, erroneamente chiamate omosessuali (la sessualità è una funzione biologica possibile solo tra un maschio e una femmina). In particolare avevo riportato le statistiche sanitarie dei maschi cosiddetti «passivi».







