2022-10-07
Riempire gli stoccaggi di gas è costato 4,5 volte di più. E rischiamo che non bastino
Il metano a nostra disposizione vale circa 20 miliardi. Di cui 7,3 anticipati dallo Stato in attesa dell’acquisto degli operatori. Ma le scorte potrebbero finire prima di aprile.Con l’approssimarsi dell’inverno, una frase ricorre negli ultimi giorni: «Gli stoccaggi sono pieni», quasi a significare che la questione del superamento dell’inverno è da considerarsi chiusa. Ma è davvero così? E quanto è costato riempire gli stoccaggi quest’anno?Oggi, considerando anche i 4,7 miliardi di metri cubi di stoccaggio strategico, le riserve di Stogit sono giunte al 91,5% della capacità complessiva, per un totale di 15,5 miliardi di metri cubi di gas. A questi si aggiungono circa 1,2 miliardi di metri cubi negli stoccaggi di Edison e Italgas, per un totale di 16,7 miliardi di metri cubi di giacenza a disposizione dell’Italia per superare l’inverno. È tanto o è poco? Prima di rispondere a questa domanda, occorre intendersi su come funziona lo stoccaggio di gas e distinguere il fabbisogno dal consumo. Lo stoccaggio è un magazzino sotterraneo nel quale il gas viene iniettato in pressione durante l’estate, per essere poi estratto e immesso nei tubi durante l’inverno. Lo stoccaggio da solo non basta a coprire i consumi invernali: durante l’inverno è comunque sempre necessario importare gas. Nei fatti, il nostro Paese, che consuma in un anno circa 73 miliardi di metri cubi di gas (2021), ha sempre bisogno di almeno 6 miliardi di metri cubi di importazione tutti i mesi: questo è il fabbisogno italiano. Nei mesi estivi, quando il consumo di gas per usi civili scende attorno a 1 miliardo di metri cubi al mese, il gas importato e non consumato viene immesso in stoccaggio. Nei mesi invernali, quando il consumo civile e termoelettrico sale fino a 8 miliardi di metri cubi al mese, cui si aggiunge circa 1 miliardo di consumi industriali, alle importazioni costanti attorno ai 6 miliardi di metri cubi si aggiunge il gas da stoccaggio, per coprire la punta dei consumi. La stagione di riempimento, nello scorso aprile, non partì bene. La differenza tra i prezzi inverno-estate, usualmente positiva per via della normale stagionalità, quest’anno era negativa, essendo il mercato in situazione di backwardation (cioè il mercato pagava di più le consegne vicine - estive - e meno quelle più lontane - invernali). Ciò perché la domanda nel breve termine era molto più alta dell’offerta, e la ragione era che, nel quadro di un calo nelle forniture dall’estero e della guerra da poco iniziata, l’Europa intera doveva correre per riempire gli stoccaggi. Proprio quelli italiani e quelli tedeschi erano quasi vuoti, per cui, l’estrema necessità di aggiudicarsi grandi quantità di gas fisico da destinare a stoccaggio ha tenuto alti i prezzi. Il governo italiano dovette quindi intervenire ad aprile con più decreti che hanno posto un obiettivo di riempimento degli stoccaggi «commerciali» (cioè escluso lo stoccaggio strategico) pari a 10,8 miliardi di metri cubi entro il 31 ottobre (cioè il 90% di riempimento della capacità, compresa la riserva strategica). L’obiettivo è stato raggiunto qualche giorno fa, ma è stato necessario far intervenire sin da fine aprile il soggetto che gestisce il sistema di trasporto gas, cioè Snam, e poi il Gse. I decreti del Mite hanno infatti dato mandato prima all’uno poi all’altro soggetto di comprare gas sul mercato spot per iniettarlo in stoccaggio, vista l’inerzia del settore privato. In questo modo, Snam e Gse hanno acquistato sul mercato aperto circa 3,8 miliardi di metri cubi, venendo finanziati con 7,3 miliardi di euro dallo Stato. Circa un terzo del gas in stoccaggio è dunque stato comprato da Snam e Gse, a un prezzo medio indicativo di 181 euro/MWh. Complessivamente si può stimare che il volume in stoccaggio commerciale, poco meno di 11 miliardi di metri cubi, oggi valga attorno ai 20 miliardi di euro. Facendo un confronto con i prezzi dello scorso anno, si tratta di un valore di 4,5 volte superiore. Numeri da capogiro. Si attende ancora il decreto del Mite che deve stabilire come i 3,8 miliardi di metri cubi di gas in stoccaggio comprati da Snam saranno messi a disposizione degli operatori e a che prezzo. L’obiettivo è di rientrare dei 7,3 miliardi anticipati dallo Stato per acquistare il gas iniettato in giacenza, che dunque qualcuno dovrà pagare.Il gas basterà a superare l’inverno? Lo scorso gennaio, l’Italia importò in media 200 milioni di metri cubi al giorno, mentre il consumo era a 300 milioni di metri cubi al giorno. Dagli stoccaggi arrivarono quindi 100 milioni di metri cubi al giorno, sempre in media. Se immaginiamo il prossimo gennaio con un consumo medio di 255 milioni di metri cubi al giorno (-15% rispetto a 2021), con un import costante a 200 milioni/giorno, riportando questi dati in proporzione ai vari mesi, lo stoccaggio sarà sufficiente ad arrivare ad aprile. Ma le variabili sono molteplici: il consumo invernale è direttamente influenzato dalle temperature, per cui nel caso di una stagione molto fredda gli obiettivi di contenimento dei consumi potrebbero saltare, richiedendo un uso maggiore dello stoccaggio o aumentando l’import. Allo stesso tempo, se venisse a mancare il flusso dalla Russia (che oggi porta 20 milioni di metri cubi al giorno) o altri flussi, ci troveremmo in situazione difficile. Se tutto resta com’è e l’inverno avrà temperature simili a quelle dello scorso anno, arriveremmo ad aprile con stoccaggi quasi vuoti ma avremo superato l’inverno, sul filo del rasoio e sia pure con una riduzione dei consumi.Nel caso in cui, invece, ci fosse qualche turbativa sui flussi, un inverno molto freddo, o problemi sul versante elettrico (soprattutto lato Francia), allora ci saranno scompensi che potrebbero significare ulteriori e maggiori riduzioni dei consumi. A maggior ragione, il piano di emergenza gas, di cui è titolare il Mite di Roberto Cingolani, deve essere al più presto elaborato, armonizzato e reso noto agli operatori e ai cittadini.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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