2025-03-06
Berlino e Parigi sono già avanti. È gara a convertire l’auto in missili
Friedrich Merz e Ursula von der Leyen (Ansa)
I colossi tedeschi stanno trasformando siti e assumendo personale dall’industria delle quattro ruote in grave crisi. Parigi copre tutti i settori bellici, mentre l’Italia, a parte Leonardo e Fincantieri, parte in deciso ritardo.Lì dove si producevano portiere, specchietti, motori e interni per auto verranno realizzati carri armati, caccia, proiettili e «scudi spaziali» per la difesa? È questa la riconversione industriale che l’Europa ha in mente per i prossimi anni? In epoca di incertezza e del ciclone Trump che a ogni esternazione costringe il mondo a una nuova capriola su se stesso, è difficile sapere quale sarà la strada che l’Europa prenderà in futuro, ma se guardiamo ai numeri degli ultimi mesi tutto diventa più chiaro. Per seguire la folle strategia del full electric e dei termini stringenti sui limiti alle emissioni, l’automotive sta vivendo una delle crisi più profonde degli ultimi decenni. Dopo un 2024 terribile le immatricolazione in Europa continuano a scendere (-2,3% a gennaio), con l’Italia che se la passa peggio (-6%) dei competitor più diretti e continua a far massiccio uso di cig e solidarietà soprattutto per i siti di Stellantis. Dall’altro lato, non c’è Paese Ue che non discuta della possibilità di aumentare la spesa militare rispetto al Pil e oggi il presidente della Commissione Ursula von der Leyen annuncerà un piano di riarmo da 800 miliardi con tanto di ampia possibilità di sforare il patto di Stabilità e prestiti ad hoc per circa 150 miliardi (all’Italia ne sarebbero destinati 20-30).Cui prodest? Capitoli del bilancio dell’Unione saranno spostati da un settore strategico all’altro? Come al solito saranno i dettagli del piano a fare la differenza, ma nell’attesa ci sono evidenze che è difficile nascondere. Bilanci alla mano, infatti, le maggiori aziende della difesa sono tedesche e francesi. Parigi può vantare uno dei complessi industriali più diversificati, grazie a Dassault Aviation (aerospaziale), Thales (tecnologia e difesa) e Naval Group (difesa navale) che sono dei riferimenti per i singoli settori. E la Germania si sta già portando avanti con i lavori. Rheinmetall, il principale produttore europeo di munizioni, sta riconvertendo due dei suoi stabilimenti automobilistici (le fabbriche di Berlino e Neuss) alla realizzazione di armi e munizioni. Mentre Knds Deutschland ha annunciato l’acquisizione di uno stabilimento industriale ferroviario a Görlitz (gruppo Alstom) con l’obiettivo di usarlo per produrre veicoli blindati. Per non parlare di Hensoldt che produce i sistemi radar usati anche da Kiev nella guerra contro Mosca. L’azienda è in trattative per assumere circa 200 lavoratori dai principali fornitori di componenti per auto Bosch e Continental. «Stiamo beneficiando delle difficoltà dell’industria automobilistica», ammette parlando con la Reuters l’ad Oliver Doerre, aggiungendo che «ulteriori investimenti potrebbero più che raddoppiare la produzione annuale dei suoi sensori elettronici per la difesa». E l’Italia? Come dimostrano gli andamenti di Borsa, Leonardo e Finmeccanica stanno già beneficiando della rinnovata attenzione «militare» di Bruxelles, ma se togliamo i due colossi a controllo pubblico, l’Italia si caratterizza per una serie di piccole e medie imprese soprattutto nel Nordest del Paese. Insomma, se si vorrà sfruttare l’ondata di denaro in arrivo bisognerà pedalare e anche di buona lena. «Il rischio», spiega alla Verità Gianclaudio Torlizzi, fondatore di T-Commodity e consigliere del ministero della Difesa, «è che una consistente fetta di questi 800 miliardi possa andare alle aziende americane che sono già pronte a soddisfare gli ingenti ordini in arrivo. È necessario iniziare subito un processo di riconversione industriale. La trasformazione delle fabbriche dedicate all’automotive in siti per la difesa è una soluzione ma non sempre è possibile. Vanno cambiate tutte le isole produttive e bisogna riqualificare il personale, insomma, stiamo parlando di un processo non banale che va coordinato da un intervento dello Stato. Normalmente servirebbero una decina d’anni, ma è un tempo che non possiamo permetterci, dobbiamo accelerare. Del resto Francia e Germania partono da una situazione di vantaggio competitivo e se vogliamo recuperare terreno dobbiamo chiedere a Leonardo, Fincantieri e Iveco di mettersi a capo della filiera e di fare da traino a tutte le Pmi del settore». Non a caso, in Germania fanno già i conti. «Nel medio-lungo termine», spiega Johannes Binder dell’istituto di analisi economica IfW Kiel, «la storia economica americana ha dimostrato che le spese militari possono dare grandi risultati in termini di aumenti di produttività, ricadute e progressi tecnologici». Secondo le stime di Ernst & Young riportate da Reuters, aumentare le spese tedesche per la difesa fino a raggiungere il 3% del Pil significherebbe più che raddoppiare gli investimenti annuali della Germania, creare 245.000 posti di lavoro diretti e indiretti e innescare quasi 42 miliardi di euro di attività di produzione e di servizi ogni anno.
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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