Un avambraccio con la mano lacerata dall’esplosione è l’unica cosa che è stato possibile vedere e toccare dalla famiglia e dai commilitoni che ieri a Kharkiv hanno dato sepoltura a uno dei tre ragazzi morti in trincea pochi giorni fa. Si chiamava Kiril e serviva come volontario da mesi, aveva combattuto anche a Kherson per liberare il proprio paese dalla ferocia degli invasori.
Un avambraccio con la mano lacerata dall’esplosione è l’unica cosa che è stato possibile vedere e toccare dalla famiglia e dai commilitoni che ieri a Kharkiv hanno dato sepoltura a uno dei tre ragazzi morti in trincea pochi giorni fa. Si chiamava Kiril e serviva come volontario da mesi, aveva combattuto anche a Kherson per liberare il proprio paese dalla ferocia degli invasori.Alla morte non ci si abitua mai, anche noi che per mestiere spesso la dobbiamo guardare e dobbiamo testimoniare il dolore immagazzinandolo in immagini, pesantissime da scattare quando si tratta di una morte come questa. Un avambraccio con la mano lacerata dall’esplosione è l’unica cosa che è stato possibile vedere e toccare dalla famiglia e dai commilitoni che ieri a Kharkiv hanno dato sepoltura a uno dei tre ragazzi morti in trincea pochi giorni fa.Ancora una volta, al funerale, uno degli ufficiali ricorda la mancanza di proiettili per rispondere al fuoco, chiede scusa alla famiglia per non essere riuscito a salvare il loro ragazzo. Si chiamava Kiril e serviva come volontario da mesi, aveva combattuto anche a Kherson per liberare il proprio paese dalla ferocia degli invasori.È l’ennesimo morto in questo battaglione di volontari di cui stiamo seguendo le gesta da ormai un anno. Ci avvertono nella serata di lunedì che il giorno dopo ci sarà il funerale, a Kharkiv, a tre ore di distanza da Dnipro dove ci eravamo spostati per verificare delle notizie sul fronte Sud di Zaporithia.Li conosciamo uno a uno, i vivi, e i morti di questo battaglione ed è anche per questo che partiamo prestissimo la mattina. Arriviamo a Kahrkiv alle 11 davanti all’abitazione della famiglia di Kiril in un quartiere fatto di palazzi dell’epoca sovietica, ci sono la madre, la nonna, il padre e la fidanzata, in piedi davanti a una panchina dove hanno disposto le coccarde di fiori, e due fotografie del loro ragazzo vestito in abiti militari. Piano piano arrivano familiari e amici, compagni di battaglia, gli stessi uomini che il giorno dopo la sua morte si sono adoperati per andare a raccogliere il corpo in una trincea distrutta che non sapevano se era stata presa o no dai russi. I russi non c’erano, così i suoi compagni sono stai in grado di recuperare i suoi pezzi insieme a quelli degli altri compagni, metterli in un sacco e mandarli all’obitorio per essere ricomposti. Ci raccontano della missione di recupero dei corpi mentre aspettano il furgone con la bara, ci raccontano come sono scappati da quella posizione trascinando il sacco nero con i resti dei tre compagni. Nel frattempo davanti alla panchina si sono radunati amici e parenti, arriva un van bianco con la bara dentro, si ferma davanti al palazzo, la bara viene sistemata accanto alla panchina. Ci sono i due cerimonieri del battaglione che gestiscono la cerimonia, vorrebbero mettere la bandiera Ucraina sulla bara ma la madre vuole scoprire il coperchio, vuole vedere il figlio. Le viti vengono svitate, si toglie il coperchio, la scena che ci si pone davanti è agghiacciante, l’unica cosa visibile e’ un braccio con la mano che porta i chiari segni dell’esplosione. Il resto del corpo non c’è, o è ricomposto sotto la stoffa di velluto bianco. Le donne, gli amici, i commilitoni accarezzano quell’unico pezzo di corpo disponibile, alcuni intonano una preghiera altri piangono. La bara viene richiusa, si riparte verso il cimitero della città con un piccolo corteo composto dal carro funebre, le jeep dei commilitoni, le macchine degli amici.Dopo mezz’ora arriviamo nell’immenso cimitero comunale di Kharkiv, nel piazzale ci sono decine di lapidi pronte, in attesa che la terra si stabilizzi sopra i morti così che non vedano poi con il peso della pietra nel terreno. Il cimitero è così grande che ci si sposta in macchina verso il luogo della sepoltura, in una parte nuova di terreno si vedono in lontananza i colori della bandiera Ucraina, avvicinandosi si distinguono migliaia di bandiere che sventolano sulle tombe dei soldati che qui vengono seppelliti ogni giorno, in gran numero. Accanto alla buca che i becchìni stanno scavando per Kiril c’è un altro picchetto con la banda che suona, c’è la cerimonia di un altro soldato. Mentre il prete svolge la liturgia del funerale, accanto, l’altro picchetto, (più avanti nella cerimonia) spara i colpi a salve, così un amico di Kiril appena arrivato dal fronte e con il suo Kalashnikov a tracolla decide di esplodere lui dei colpi (non a salve) vicino alla bara dell’amico. Il picchetto dell’altro funerale se ne accorge, il comandante ordina di non smontare ed eseguire un altro picchetto per Kiril.Ci spiegano che il picchetto ormai sta fisso al cimitero, tante sono le sepolture a cui dare il saluto con quei tre colpi di fucile.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.