2021-01-19
I renziani si pentono (o forse no): «I veri costruttori siamo noi di Iv»
Dopo aver aperto la crisi, Italia viva manda segnali di fumo all'esecutivo: «Creiamo un governo migliore, non abbiamo pregiudizi sui nomi del presidente». Ma la rottura definitiva resta sempre dietro l'angolo.Più che Italia viva, oggi Matteo Renzi potrebbe ribattezzare il suo partitino «Italia impulsiva»: il senatore di Scandicci sembra davvero pentito della crisi di governo che ha aperto per quello che ormai potrebbe essere derubricato a mero scatto di nervi. Ma forse, ancora più significativamente, potrebbe ribattezzarla «Italia in aspettativa»: perché, pur di restare a galla e nella maggioranza giallorossa da cui è appena uscito, Renzi adesso sembra davvero pronto a qualsiasi mossa. Anche a un'indecorosa retromarcia. Ieri, dopo aver ascoltato un Giuseppe Conte che rivolgendosi alla Camera riunita per deliberare sulla crisi non l'aveva degnato neppure di una misera citazione o di un'offesa (però aveva aperto a una legge elettorale proporzionale), Renzi ha incaricato il suo deputato Ivan Scalfarotto di lanciare al presidente del Consiglio un luminoso bengala di disponibilità. Così Scalfarotto, sottosegretario dimissionario agli Esteri, nel suo intervento ha usato un po' il bastone e molto la carota: dopo aver elencato le (tante) cose che non hanno funzionato nel governo, ha allungato a Conte un filo per ricucire che è parso quasi una fune da rimorchio: «Se c'è da creare un governo migliore, noi ci siamo», ha proclamato Scalfarotto, «e non facciamo certo questioni pregiudiziali sui nomi: avevamo accettato lei, che aveva governato con la Lega, figuriamoci se ora poniamo un veto sul suo nome… Le chiediamo soltanto di muoversi, di darci risposte, una visione e una strategia». Temendo forse di non essere stato abbastanza chiaro, Scalfarotto ha concluso con parole quasi imbarazzanti per la loro arrendevolezza: «Se ci sarà la possibilità di dare un governo vero a questo Paese», ha detto, «Italia viva non mancherà». Il suo collega Ettore Rosato ha confermato la linea poco più tardi, annunciando l'astensione del gruppo: «Quando si tratta dei problemi degli italiani», ha detto, «bisogna avere il coraggio di alzare il telefono, mettersi intorno a un tavolo e ragionare sulle questioni di merito». Poi, blandendo Conte come se la crisi l'avesse aperta non Italia viva, ma qualcun altro, Rosato ha aggiunto: «Vi abbiamo teso una mano per lavorare insieme. Non per un posto in più, ma perché ci consideriamo dei costruttori. Sta a voi decidere se aprire un confronto sui contenuti o sui nostri caratteri. Sta a voi capire se da una crisi si esce in maniera più forte o in maniera più debole». Insomma, anche Rosato ha tirato il freno a mano e ha usato toni più che diplomatici; ha fatto solo una gustosissima gaffe sui grillini, a un certo punto, dichiarando che «anche loro sono capaci di capire le cose come le capiamo noi». Le sue parole hanno suscitato vivaci proteste nel gruppo del Movimento 5 stelle, ma anche lì Rosato s'è sprofondato in scuse. Alla fine, viste le premesse, la conta dell'aula ha dato un risultato netto, quasi scontato: alla Camera il governo Conte è sopravvissuto. Del resto, da domenica sera, quando s'era capito che l'immobile Quirinale di Sergio Mattarella non avrebbe creato il minimo problema all'esecutivo, stabilendo che anche una maggioranza relativa di Sì in Senato sarebbe bastata a garantirgli comunque la sopravvivenza, Renzi ha capito di aver fatto un passo troppo lungo e ha cominciato a mostrare ramoscelli d'ulivo agli ex alleati, s'è detto «pronto a sedersi a discutere», disposto a rimangiarsi accuse, critiche, ultimatum. Preoccupato dal crudele gioco del veto posto dal Pd a una riapertura del confronto con lui ma non con i suoi parlamentari, ieri Renzi ha capito che stava rischiando grosso. Lo scollamento del suo partitino pareva imminente: una deputata, Michela Rostan, s'era detta pronta a votare la fiducia a Conte (come poi in serata ha fatto) «perché tra la giusta critica al governo e l'apertura di una crisi c'è una bella differenza». E il deputato Vito De Filippo - che di Renzi era stato sottosegretario alla Salute - era rientrato armi e bagagli nel gruppo del Partito democratico, annunciando il suo Sì alla fiducia.Del resto, ieri perfino Maria Elena Boschi aveva manifestato il desiderio di restare attaccata al carro del governo. «Non abbiamo mai detto “mai più" nella coalizione», aveva dichiarato a Repubblica, dicendosi «sempre» pronta a tornare nella maggioranza. Così nel pomeriggio, durante la sospensione dei lavori e nelle ultime ore prima del voto, la chat telefonica aperta tra i 30 deputati renziani è divenuta rovente. In pochi, irritati per le comunicazioni del presidente del Consiglio e soprattutto per quella parte del suo discorso letta come «un insopportabile autoincensamento», si dicevano pronti a votargli contro. Molti, invece, criticavano l'isolamento del partito, unico risultato concreto della crisi. A tutti, Renzi continuava a raccomandare prudenza: «Ragazzi, non reagite alle provocazioni, manteniamoci compatti». Anche se, quando c'è di mezzo Renzi, una rottura improvvisa e plateale non può mai essere esclusa. Oggi si replica in Senato: si vedrà se anche qui Italia viva allineerà i suoi 18 eletti ai mitici costruttori e diventerà così «Italia costruttiva». E forse un po' anche autodistruttiva.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco
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