2019-02-15
Renzi pensa di essere un vero regista: «Altre due serie tv»
Nel suo nuovo libro, uscito ieri, Matteo Renzi scrive: «Una sul volontariato, una sulle eccellenze italiane». Ma la prima, sulla sua città Firenze, è stata un flop. Lascia il Pd? «No, non scappo di casa, non l'ho mai fatto. Non fondo un nuovo partito. Non mi candido alle europee». Ma allora, volendogli credere, Matteo Renzi che farà da grande? La sensazione, a leggere le sue dichiarazioni di ieri, giorno dell'uscita del suo nono libro, Un'altra strada. Idee per l'Italia di domani, è che Renzi stia sperando che il consenso del governo Lega-M5s crolli per tornare in pista nei panni del portabandiera del «si stava meglio quando si stava peggio». In fondo, chi più di Matteo Renzi è un esperto di fama internazionale del settore crolli elettorali? Sembra passato un secolo, sono appena cinque anni: alle elezioni europee del 25 maggio 2014 il Pd guidato dal Rottamatore rottamato, all'epoca da pochi mesi a Palazzo Chigi, superò il 40% dei consensi. Sembrava avere in pugno l'Italia, si sarebbe ritrovato un pugno di mosche: il suo regno cadde sotto i colpi di una valanga di No il 4 dicembre 2016, con la sconfitta al referendum costituzionale. Da quel momento in poi, il declino non si è più fermato, culminato con il 18,7% del Pd alle politiche dello scorso 4 marzo.Ritornerai? Lo so, ritornerai: «Se io tornerò? Non è domanda all'ordine del giorno», svicola Renzi presentando il libro, «però tornerà il tempo della competenza, il populismo è un fenomeno passeggero. Chi ci sarà lo scopriremo solo vivendo». Una gufata di quelle doc, da parte di uno che si lamentava in continuazione di «gufi e rosiconi» che osavano opporsi al suo governo. Del resto, c'è da capire il re degli ex: oggi non se lo fila più nessuno, mentre tutti, ma proprio tutti, ogni giorno aspettano di sapere cosa pensa, cosa dice e cosa fa un altro Matteo, ovvero Salvini, che ieri a chi gli chiedeva se avrebbe letto il libro di Renzi ha risposto: «Se me lo regalano, non spendo un euro». Renzi, nel suo libro, non riesce a trattenere l'invidia nei confronti del leader della Lega: «Hanno trasformato Salvini in un influencer», piagnucola, «al punto che posta anche la marca dei prodotti che mangia. Tecnicamente niente da eccepire, lavoro fatto a regola d'arte. Ma preferisco Chiara Ferragni, che ha rivoluzionato la moda e lo ha fatto senza spendere un centesimo di soldi pubblici. Salvini che diffonde le foto delle sue cene è un'aspirante webstar, è una Chiara Ferragni che non ce l'ha fatta».Lui, invece, sì che ce l'ha fatta: è riuscito nella clamorosa (e per certi versi meritoria) impresa di squarciare il velo di ipocrisia che ha sempre occultato lo sfrenato arrivismo e la totale inconcludenza della sinistra italiana, riducendo il Pd a percentuali, come è recentemente accaduto in Abruzzo, vicine al 10%. Non sapendo cosa fare, nell'attesa del crollo del muro populista e del suo ritorno in pompa magna alla guida del progressismo mondiale, Matteo promette (minaccia) di dedicarsi ancora alla tv. L'umiltà, come tutti sanno, è una delle doti di Renzi, al quale l'insuccesso della prima serie (1,8% di share per la prima puntata), Firenze secondo me, non ha dato alla testa: «Mi emoziona non poco», confessa Renzi nel libro, «camminando per la città, che alcuni turisti si avvicinino dicendo: “Sono tornato qui a distanza di tanti anni perché mi è venuta voglia dopo aver visto il suo documentario"». Sembra di vederli: turisti in fila, a centinaia, a migliaia, che si avvicinano a Matteo Renzi e gli rivelano che prima di vedere il suo documentario credevano che Firenze fosse un quartiere industriale della periferia di Milano, e poi grazie a lui hanno scoperto che invece è una delle città più belle del mondo e sono corsi a visitarla. «Compatibilmente con gli impegni parlamentari», annuncia Renzi, «desidero continuare a raccontare la bellezza in televisione e nei prossimi anni mi dedicherò a due nuove serie. Una sull'Italia del volontariato, dell'associazionismo, del terzo settore: c'è molta bellezza anche nei luoghi del dolore, tanta forza anche nell'Italia che soffre. Un'altra», maramaldeggia Renzi, «sulla qualità delle persone, sulle eccellenze italiane, su ciò che vale la pena ammirare, non certo invidiare». Il piccolo scrivano fiorentino nella sua opera ha anche un pensiero affettuoso per Angela Merkel: «Sarebbe auspicabile», scrive, «che una figura di primo piano come Angela Merkel potesse continuare a servire l'Europa in un'altra veste. Merkel potrebbe sicuramente essere una personalità adatta a guidare la politica estera, ma anche alla presidenza del Consiglio europeo». In una intervista al Corriere della Sera,il Bullo regala un'altra chicca. È la notte tra l'8 e il 9 novembre 2016, Donald Trump ha vinto le elezioni presidenziali degli Stati Uniti. «Quella sera», racconta, «ero a Cagliari. Tentai di chiamare il neopresidente. Niente da fare. Canali diplomatici in tilt. Idea, chiamo Briatore: Flavio, non è che hai il numero di Donald? E mi ritrovai a essere il primo, tra gli europei che contavano, a parlargli. Non ci si crede». Infatti, non ci si crede: due giorni prima del trionfo di Donald, Renzi era stato l'unico premier europeo a sbilanciarsi sul risultato americano, augurandosi la vittoria di Hillary Clinton con parole che ai più erano apparse troppo smaccatamente di parte: «Speriamo che sia femmina, se fosse Trump il nuovo presidente sarebbe un disastro», aveva detto, e quindi non c'è troppo da meravigliarsi se i «tentativi di chiamare il neo presidente» erano stati vani. Lo immaginiamo, il dialogo con Trump: «Ciao presidente, sono Renzi!». «Chi?» «Renzi, l'amico di Flavio Briatore!». «Click».
Margherita Agnelli (Ansa)
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