
Dopo le indiscrezioni della «Verità», anche il «Corriere della Sera» si accorge che l'attivismo internazionale dell'ex premier serve a puntare un'altra poltrona.Più lo mandano tutti a quel paese, più a lui viene voglia di andarci: in particolare in Belgio, a Bruxelles, dove c'è la sede generale della Nato. Matteo Renzi è fatto così: ambizione smisurata, narcisismo, spregiudicatezza politica. Che il leader di Italia viva ambisca al ruolo di segretario generale della Nato, La Verità lo ha scritto più volte: ieri se n'è accorto anche il Corriere della Sera, che ha accostato con sagacia il profluvio di interviste che Renzi sta concedendo a mass media di mezzo mondo con il suo sogno di diventare il successore del norvegese Jens Stoltenberg, il cui mandato scadrà nel 2022. Renzi vuole fare l'americano, e da quando ha messo in moto la crisi di governo che ha portato Mario Draghi alla presidenza del Consiglio, al posto di Giuseppe Conte, è onnipresente sui giornali esteri. New York Times, Financial Times, Le Monde, El Pais, Cnbc: demolition man sta cercando di farsi un nome a livello internazionale, per poi sferrare l'assalto alla poltronissima di segretario generale dell'Alleanza atlantica. Del resto, Renzi vanta un rapporto solido con Barack Obama, azionista di maggioranza della nuova amministrazione americana guidata da Joe Biden, e con lo stesso neo presidente degli Stati Uniti. Come è nella sua natura, il senatore di Scandicci ha enfatizzato, diciamo leggermente, la sua amicizia con Biden: «Per me», ha esagerato Renzi in una intervista alla Stampa lo scorso 7 novembre, subito dopo la vittoria di Biden, in una intervista rilanciata nella sua e-news, «Joe è come un fratello maggiore saggio. È stato un punto di riferimento vero negli anni della presidenza Obama. Ho sempre considerato Joe come la persona da chiamare quando c'era da chiedere un consiglio, quello che nei momenti di tensione ti faceva la telefonata giusta per riprendere il filo del dialogo. È un uomo capace di sdrammatizzare», ha aggiunto Renzi, «e trasmettere empatia». Alla domanda sull'ipotesi di una sua successione a Stoltenberg, in virtù di una vecchia promessa di Obama, Renzi ha risposto in maniera sibillina: «Ma figuriamoci. Capisco che qualcuno vorrebbe togliermi di mezzo in Italia, ma questa ipotesi semplicemente non esiste. E meno che mai Obama ha fatto promesse all'Italia. Il prossimo segretario generale», ha sottolineato Renzi, «dovrà venire dall'Europa del Sud, dopo un danese e un norvegese, ma questo non significa che ci siano impegni». Traduzione: certo che ci spera, il buon Matteo: non a caso ha fatto di tutto per piazzare alla Difesa, ministero strategico per questo genere di incarichi, Ettore Rosato, coordinatore nazionale di Italia viva. Non solo: quando, tra l'estate del 2013 e l'inizio del 2014, i 30 stati membri della Nato dovevano scegliere il successore del precedente segretario generale, il danese Anders Fogh Rasmussen, tra i nomi in corsa c'era quello di un italiano, Franco Frattini, ex ministro degli Esteri di Silvio Berlusconi. Frattini aveva avuto l'ok del premier Enrico Letta e del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Il 22 febbraio 2014, però, Renzi prese il posto di Letta a Palazzo Chigi e la candidatura di Frattini saltò, così come quella, sopraggiunta in quegli stessi giorni dello stesso Letta. Ora, con Draghi a Palazzo Chigi e Biden alla Casa Bianca, il nostro eroe può sperare di riuscire nell'impresa di guidare la Nato. Sempre che qualcuno non decida di mettergli i bastoni tra le ruote, tanto per fargli vedere l'effetto che fa.
Buchi nella sicurezza, errori di pianificazione e forse una o più talpe interne. Questi i fattori che hanno sfruttato i ladri che hanno colpito al Louvre di Parigi. Ma dove sono i gioielli e chi sono i responsabili?
Elly Schlein (Ansa)
Nicola Fratoianni lo chiama per nome, Elly Schlein vi vede una «speranza», Stefano Patuanelli rilancia la patrimoniale.
Brutte notizie per Gaetano Manfredi, Silvia Salis, Ernesto Maria Ruffini e tutti gli altri aspiranti (o presunti tali) federatori del centrosinistra: il campo largo italiano ha trovato il suo nuovo leader. Si chiama Zohran Mamdani, ha 34 anni, è il nuovo sindaco di New York, che del resto si trova sullo stesso parallelo di Napoli. La sua vittoria ha mandato in solluchero i leader (o sedicenti tali) della sinistra italiana, che vedono nel successo di Mamdani, non si riesce bene a capire per quale motivo, «una scintilla di speranza» (Alessandro Alfieri, senatore Pd). Ora, possiamo capire che l’odio (si può dire odio?) della sinistra italiana per Donald Trump giustifichi il piacere di vedere sconfitto il tycoon, ma a leggere le dichiarazioni di ieri sembra che il giovane neo sindaco di New York le elezioni le abbia vinte in Italia.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 6 novembre con Carlo Cambi
Zohran Mamdani (Ansa)
Il pro Pal Mamdani vuole alzare le tasse per congelare sfratti e affitti, rendere gratuiti i mezzi pubblici, gestire i prezzi degli alimentari. Per i nostri capetti progressisti a caccia di un vero leader è un modello.
La sinistra ha un nuovo leader. Si chiama Zohran Mamdani e, anche se non parla una sola parola d’italiano, i compagni lo considerano il nuovo faro del progressismo nazionale. Prima di lui a dire il vero ci sono stati Bill Clinton, Tony Blair, José Luis Rodriguez Zapatero, Luis Inàcio Lula da Silva, Barack Obama e perfino Emmanuel Macron, ovvero la crème della sinistra globale, tutti presi a modello per risollevare le sorti del Pd e dei suoi alleati con prime, seconde e anche terze vie. Adesso, passati di moda i predecessori dell’internazionale socialista, è il turno del trentaquattrenne Mamdani.






