
Conquistò i moderati silurando Massimo D'Alema, per riprendere il potere va con l'ultrasinistra. Curioso destino, quello di Matteo Renzi. Da rottamatore a restauratore dei comunisti: non nel senso della restaurazione, ma proprio del restauro, della rimessa a nuovo degli ultimi esemplari, dei più arrugginiti ferrivecchi della sinistra-sinistra. La sua ascesa, tra primarie e Leopolde, era tutta avvenuta - anche simbolicamente - nel segno della rottura nei confronti di Massimo D'Alema, Pierluigi Bersani, e di un'intera classe dirigente espressione anche fisica dell'ininterrotta continuità tra Pci, Pds, Ds e Pd. Contro tutto questo, Renzi, per lunghi anni, aveva rivendicato a sé e al suo Pd connotati politici diversi: di estraneità alla vecchia «ditta», di appello agli elettori centrali e centristi. Di più: l'esplicita volontà di interpellare anche gli italiani moderati, di rivolgersi sia a Silvio Berlusconi sia ai suoi elettori. E allora - nel bene e nel male - ecco il passato del giovane Matteo concorrente dei quiz di Mike Bongiorno (dunque, antropologicamente diverso dai giovani comunisti allattati dalla «mammella» di Rai 3) e la sua ultracontroversa avventura del patto del Nazareno. Ecco le ospitate da Maria De Filippi (con tanto di giubbetto alla Fonzie), ecco le campagne fiammeggianti del Foglio (che lo ribattezzò «Royal baby»), ecco la battuta - a quanto pare graditissima a Renzi - su un passaggio da un'era all'altra: un tempo antico in cui erano i comunisti a mangiare i bambini, e un tempo nuovo in cui era un bambino (lui) a divorare i comunisti. Ecco - nella forma - una scelta anche di comunicazione opposta al grigiore dei funzionari del vecchio partito, e - nella sostanza - temi assolutamente divisivi rispetto al catechismo di sinistra: la rottura del tabù dell'articolo 18, la polemica costante verso la triplice sindacale Cgil-Cisl-Uil, o (su un altro piano) l'evocazione di obiettivi inimmaginabili per i giustizialisti della sinistra. Fino a quella riforma istituzionale renziana che fu giustamente avversata - a destra - perché pasticciata e sbilenca, ma fu invece criminalizzata a sinistra per la ragione opposta: perché descritta come «autoritaria», esattamente l'accusa che i vecchi comunisti avevano scagliato per decenni contro qualunque avversario, da Bettino Craxi a Silvio Berlusconi. E adesso, invece? Contrordine, compagni. Non solo Renzi sceglie come compagni di strada i grillini; non solo resuscita pure Leu; non solo si fa paladino dei porti aperti, anzi spalancati (erano renziani alcuni dei deputati crocieristi agli ordini della capitana Carola Rackete). Ma complessivamente diventa il papà politico di un'operazione «tutti contro Salvini», ripetendo a parti invertite lo schema che lui stesso derideva quando veniva praticato contro di lui. Ai tempi del referendum costituzionale, Renzi definiva spregiativamente «accozzaglia» quest'unione sacra contro di lui. E ora che fa? Si trasforma lui stesso in convocatore di una contro-Armata Brancaleone. Come spiegarlo? Difficile che abbia cambiato idea. La realtà è che, per quanto Renzi lo neghi, coltiva la stessa impostazione egoriferita e narcisistica di D'Alema («è capotavola dove mi siedo io»), ed è pronto a scegliere qualunque pasticcio tattico purché gli sia conveniente. Nella convinzione, se l'inciucio Pd-M5s partirà davvero, prima di umiliare Nicola Zingaretti (imponendogli di bere l'amaro calice) e poi di sfiduciare lui e tutto il governo il 18 ottobre prossimo, quando è già convocata la Leopolda 2019, che molti vedono come il prodromo della scissione e del lancio del suo partitino. Contro chi? Contro quei grillini e quella sinistra che nel frattempo lui stesso ha riportato in auge. Un piano diabolico, che però - come al solito - sottovaluta un solo «dettaglio»: la stragrande maggioranza degli elettori, che non sopporta né lui né gli altri petali del Giglio Magico.
Ansa
Altri 13 denunciati per danneggiamento e resistenza, feriti anche tra le forze dell’ordine.
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La quiete in Medio Oriente non placa gli animi dei commentatori nostrani, che ora screditano gli accordi ispirati da Trump per l’assenza di donne ai tavoli negoziali: «Hanno più sensibilità dei maschi». Eppure la von der Leyen dimostra il contrario.
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C’è un filo che attraversa il tempo, invisibile e tenace che unisce le donne di ieri a quelle di oggi. È la trama di storie che non chiedono concessioni, ma riconoscimento. Di gesti che cambiano le cose senza bisogno di clamore. Di intelligenze che innovano, di passioni che costruiscono. Da questo filo è nata Valore Donna, uno spazio dove le donne non sono semplicemente «raccontate», ma anche e soprattutto ascoltate.
In un mondo che ancora fatica a dare piena cittadinanza alla voce femminile, questa rivista è un atto di presenza, che ho fortemente voluto, con l’intenzione di restituire visibilità e valore alle donne che ogni giorno, in silenzio o sotto i riflettori, trasformano il mondo in cui vivono.
Quelle che fondano imprese e reinventano modelli economici, che fanno ricerca, innovano nelle professioni, guidano comunità e progetti sociali. Quelle che mettono la competenza al servizio dell’impegno civile, che difendono i loro diritti, che si fanno portavoce di una nuova idea di leadership: inclusiva, empatica, concreta. Non a caso in questo numero è stato dato largo spazio al premio Donna d’autore, promosso dall’A.i.d.e. (Associazione indipendente donne europee) e in modo particolare alla sua entusiasta presidente Anna Silvia Angelini, perché le premiate rappresentano in maniera evidente i modelli di Valore Donna, dove ogni pagina è una finestra aperta su storie di talento, coraggio e visione. Non ho voluto costruire solo un racconto di unicità, ma anche restituire la normalità della grandezza femminile: donne che riescono, che sbagliano, che ricominciano, che costruiscono futuro. La loro forza non è un’eccezione, ma una presenza quotidiana che Valore Donna vuole portare alla luce, con impegno, rispetto e franchezza. Questo progetto editoriale inoltre ha nel suo dna un’idea di qualità come responsabilità: nella scrittura, nelle immagini, nella scelta dei temi. Ogni contributo è frutto di una ricerca attenta, di un linguaggio curato e di una sensibilità che si sforza di vedere il mondo con occhi diversi. Dando spazio a voci nuove, a imprenditrici, giornaliste, intellettuali, professioniste, donne della politica, giovani, donne che operano nel terzo settore, donne che collaborano, si sostengono e che raccontano la realtà contemporanea senza filtri, con l’autenticità di chi la vive pienamente. Perché solo rinnovando lo sguardo si può cambiare la prospettiva. Valore Donna vuole essere una rivista che lascia un’impronta nel panorama editoriale del Paese, un luogo d’incontro tra generazioni, esperienze e linguaggi. Non un manifesto ideologico, ma un laboratorio vivo, dove la libertà di pensiero e la sensibilità estetica si intrecciano. Nel racconto di queste pagine c’è l’orgoglio delle donne che sognano e nello stesso tempo si impegnano non per rivendicare uno spazio, ma per abitarlo con la pienezza di chi sa di meritarlo. Perché il futuro si scrive soprattutto con le loro voci.
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Ilaria Salis (Ansa)
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- La paladina delle occupazioni evoca la «lotta di classe». Ma il vicesindaco conferma che ai fratelli Ramponi erano state offerte abitazioni alternative a quella che dovevano lasciare. La Procura valuta il reato di strage.