2018-12-08
Regalo di Natale dei frati padovani: a casa i giornalisti del «Messaggero»
Tempi neri per la stampa bianca: i francescani licenziano tutta la redazione di uno dei mensili cattolici più letti d'Italia. Il loro posto lo prenderà un service editoriale, alla faccia delle parole del Papa sul lavoro. La riunione sindacale di giovedì mattina doveva essere più o meno di routine per gli otto giornalisti della redazione del «mensile più letto in Italia», ma si è rivelata una doccia gelata prenatalizia quando frate Giancarlo Capitanio, nella sua vesta di direttore amministrativo, ha preso la parola. «Sono stato autorizzato a comunicarvi la cessazione di tutti i rapporti di lavoro giornalistico», così, senza tanti giri di parole, il frate francescano conventuale di stanza alla basilica di Sant'Antonio di Padova, ha annunciato la chiusura della redazione e il licenziamento dei giornalisti.Il Messaggero di Sant'Antonio, storico mensile dei frati di Padova, insieme alla sua versione per ragazzi, non cesserà le pubblicazioni, ma, a quanto pare, continuerà senza giornalisti. «Un po' come un ristorante senza cuochi», dichiara uno dei redattori che insieme ai colleghi ha deciso di occupare la storica sede del mensile nel palazzo a fianco della basilica del Santo. Gli otto redattori erano in contratto di solidarietà da un anno, ma non si aspettavano di certo una decisione di questo tipo: sostengono di non aver mai avuto in mano i bilanci e i dati sulle perdite arrivano solo ora, dopo l'annuncio di licenziamento.Secondo i frati il buco sarebbe intorno ai 2,5 milioni di euro nell'ultimo bilancio 2017 e negli ultimi 5 anni le perdite ammonterebbero a circa 10 milioni. Gli abbonati sono calati del 25% e anche la raccolta pubblicitaria soffre un calo del 20%. Ma i giornalisti, anche di fronte a questi numeri, non ci stanno. E hanno le loro ragioni. La versione italiana del Messaggero viaggia comunque intorno alle 270.000 copie in abbonamento, a cui vanno aggiunte tutte quelle che vengono spedite per il mondo in varie traduzioni: non ci sono dati ufficiali, ma è ragionevole ritenere che sia raggiunto un totale intorno alle 400.000 copie. Solo nei primi mesi del 2016, con dati certificati da Ads, il Messaggero di Sant'Antonio risultava essere il primo mensile italiano per vendite. Insomma, il buco è davvero causato dai sette redattori a full time più un redattore a part time? La reazione dei giornalisti è stata netta, condannando «con fermezza questa presa di posizione unilaterale, alla vigilia di Natale, alla vigilia del restyling grafico del giornale, il cui lancio era previsto nel gennaio 2019 e proprio nel centoventesimo anno di pubblicazione della rivista. (…) A fronte di questa preoccupante opacità e di scelte così fuori da ogni decenza, non degne di una struttura francescana, i giornalisti del Messaggero di Sant'Antonio proclamano uno sciopero a oltranza per la tutela della loro dignità e dei posti di lavoro fino a quando l'azienda non riprenderà un dialogo costruttivo, a tutela della dignità professionale e umana di tutti, per uscire insieme da una pagina tra le più tragiche e vergognose che questa realtà abbia mai vissuto». Monica Andolfatto, segretaria del Sindacato giornalisti del Veneto, rincara: «I frati editori sono peggio dei peggiori editori». Intorno alla Basilica del Santo si dice che in realtà il buco del Messaggero di Sant'Antonio sembra un po' troppo grosso per essere stato causato unicamente dalle perdite di lettori della rivista. I frati di Padova gestiscono un complesso di attività e un patrimonio di beni molto ampio, così che le malelingue possono insinuare che qualche malagestione possa essere stata fatta confluire sui conti della rivista. Al di là delle chiacchiere, resta l'opacità con cui i frati hanno gestito l'operazione con la redazione, anche perché, lo hanno ribadito i frati, la rivista continuerà a essere pubblicata. Ma da chi, se non dai giornalisti? Si dice che la soluzione sarà trovata da fra Fabio Scansato, il direttore editoriale, e sarà una soluzione fatta in casa, anche se qualcuno parla di un service esterno. Intanto però pagano otto giornalisti che, in alcuni casi, lavorano con passione da decenni al Messaggero, condividendo anche la causa.I redattori hanno scritto anche al vescovo di Padova, monsignor Claudio Cipolla. «Le scriviamo perché francamente siamo tutti sfiduciati dinanzi all'agire di una Chiesa che si fa portavoce di valori come giustizia, carità, rispetto ed è poi la prima a calpestare l'essere umano». Papa Francesco nei suoi discorsi sul lavoro non ha mancato di citare perfino l'articolo 1 della Costituzione italiana, dicendo che «togliere il lavoro alla gente o sfruttare la gente con lavoro indegno o malpagato è anticostituzionale». Purtroppo gli editori cattolici non brillano per gestioni efficaci e chiare. Nel maggio scorso ha chiuso l'ultimo quotidiano cattolico della Svizzera, il Giornale del Popolo; editore il vescovo di Lugano, monsignor Valerio Lazzeri. Anche in questo caso un fulmine a ciel sereno, il prelato comunica alla redazione che si chiude tutto e si va a casa, nessuna liquidazione e neppure la messa in atto di ammortizzatori sociali per il personale. Eppure i numeri del giornale non davano adito a pensieri che potessero far credere a queste soluzioni drastiche. Le acque sono da tempo agitate anche nell'ammiraglia dell'editoria cattolica italiana, il settimanale Famiglia cristiana, periodico delle edizioni San Paolo fondate dal beato Giacomo Alberione che credeva nei mezzi di comunicazione come «nuova frontiera» dell'evangelizzazione. Il calo di copie c'è stato, ed è stato pesantissimo, ma la rivista gira ancora intorno a cifre di tutto rilievo. Tuttavia c'è stata cassa integrazione, tagli, prepensionamenti e, denunciava la redazione, «persone messe letteralmente su una strada». Sono pagine nere per l'editoria «bianca», non resta che sperare in Sant'Antonio.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)