2021-06-03
Il referendum che appoggiò l’aborto diede nuova linfa alla difesa della vita
Manifestazione a difesa della legge 194 sull'aborto a Roma del 10 maggio 1981 (Ansa)
Quarant'anni fa il voto popolare confermò la 194. Ma l'amarezza per l'esito delle urne presto si trasformò nella realizzazione di opere di accoglienza e sostegno che tutelano e danno un'alternativa alle future madri.Il quarantennale del referendum sulla legge 194/78, che ha legalizzato l'aborto in Italia, non può passare sotto silenzio. Sia per volgere uno sguardo retrospettivo, sia, soprattutto per guardare avanti, ricavando dall'esperienza opportuni suggerimenti per un servizio alla vita sempre più efficace. Lo sguardo retrospettivo non può non volgersi ai più di sei milioni di bambini che a causa della legge non hanno visto la luce - e la cui presenza oggi, si badi, collocherebbe l'Italia fuori dalla denatalità, con i conseguenti benefici in ottica economica, sociale e previdenziale - e alla progressiva espansione di una cultura di morte. È, questa, frutto della legge? Per molti aspetti sì, non solo perché è provato che le leggi permissive aumentano il numero delle interruzioni di gravidanza e fanno perdere nella coscienza collettiva la consapevolezza della gravità delle stesse (del resto, è evidente, che allorquando l'ordinamento qualifichi una condotta come non più illecita, bensì, entro certi limiti, addirittura come meritevole di tutela, ciò abbia un'indubbia efficacia pedagogica), ma anche per il fatto che la legalizzazione dell'aborto, nata come eccezione al generale divieto (quindi, come scriminante e/o causa di giustificazione, com'è agevole evincere dal dettato normativo, nonché dalla pronuncia della Consulta che si pose quale scaturigine del dibattito parlamentare che portò all'odierna disciplina), si è via via trasformata in un «diritto» all'aborto libero, complice la cultura radicale e i vari gruppi suoi fiancheggiatori. In tal modo capovolgendo il senso stesso del diritto, per sua natura votato a una funzione pedagogica e antropologica. Se per gli anzidetti motivi quei quarant'anni andrebbero dimenticati, vi sono ben più nobili ragioni per farne memoria, attesi i frutti copiosi di una tenacia operosa declinata nella condivisione e in un adeguato lavoro culturale, educativo, finanche politico. La bruciante sconfitta referendaria (solo il 32% votò per la vita) vide infatti ben presto l'iniziale amarezza trasformarsi in opere di accoglienza (Cav, Sav, case di accoglienza) e in un intenso lavoro culturale (Mpv). Il tutto senza mai perdere di vista l'integrale iniquità della legge 194/78.Lo testimoniano i più di 200.000 bambini aiutati a nascere, assieme alle loro mamme sostenute dai Cav! Sono a testimoniare che è possibile un'alternativa umana e concreta alla scelta abortiva, una scelta che spesso getta la donna nella solitudine e nella disperazione, svelandosi così in un maschilismo becero, volto a stornare solo sulla gestante, abbandonata entro uno spazio vuoto, la fatica e la responsabilità della vita. Lo attesta il patrimonio di amicizie sorte intorno alla comune passione per la vita nascente e spintosi ben oltre i confini del Movimento - dai Pontefici e la loro Chiesa a esponenti della cultura, da svariate Associazioni a non credenti, da rappresentanti della scienza a diverse confessioni religiose, eccetera - a conferma della forza aggregante della vita nel grembo materno. Fra i Pontefici, gratitudine particolarmente affettuosa va a San Giovanni Paolo II, la cui Enciclica Evangelium Vitae (1995) - il Manuale del nostro lavoro - non solo getta una luce entusiasmante sull'opera dei Cav e dei Mpv (da lui inseriti tra i «segni anticipatori della vittoria») ma soprattutto rende palesi le basi spirituali e razionali dell'impegno per la vita e delinea la strategia da seguire affinché si affermi la cultura della vita umana.Lo confermano altresì i giovani - del cui appoggio il Mpv ha goduto sin dai suoi albori - così capaci di entusiasmarsi al tema della vita nascente, di escogitare modi nuovi per renderlo attraente, di attrezzarsi culturalmente. Giovani impegnatisi a lottare per un ideale e una scelta di civiltà talora rivelatisi criteri di giudizio e di orientamento per la loro stessa vita. Lo documenta, inoltre, il vasto consenso popolare formatosi attorno a svariate proposte avanzate negli anni dal Mpv. Solo per menzionarne alcune, la proposta di legge d'iniziativa popolare sull'Accoglienza della vita nascente (1978) e sulla Riforma dell'art. 1 del Codice civile (1995); la Petizione per la vita e la dignità umana (1988); un testo sulla Pma alternativo a quello giacente in Parlamento (1997); la Petizione europea per la vita e la dignità dell'uomo (2007); l'Iniziativa dei cittadini europei «Uno di noi» (2014). Possiamo allora dormire sugli allori? No di certo. Non solo perché la sfida della vita ha «carattere prioritario» (San Giovanni Paolo II, 10/1/2005), ma per l'inquietante panorama emerso in questi 40 anni. Infatti alle antiche minacce alla vita si sono aggiunte le nuove prospettive aperte dal progresso tecnologico (Pma, pillole del giorno dopo o dei 5 giorni dopo, ecc.) e una situazione culturale che vede giustificare «alcuni delitti contro la vita in nome dei diritti della libertà individuale» (E.V., n.4). La questione è allora epocale e planetaria. Non mancano però le luci smaglianti offerte dal coraggio di molte donne, dall'emergere della «preferenza per la nascita», dalla presenza del Mpv anche in Paesi un tempo dominati dal materialismo teorico, dal proliferare di realtà pro life, dalla generale condivisione circa l'urgenza di attivarsi per favorire la natalità. Soprattutto dal diffondersi, quale connotato della modernità, del concetto di dignità umana, origine del principio d'eguaglianza di tutti gli esseri umani e fondamento del progetto definitivo di pace sancito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo (1948). Ma quella dignità va fatta emergere in tutta la sua verità fino a comprendere il figlio non ancora nato, cancellando così la stridente contraddizione tra le solenni proclamazioni dignitarie dei diritti umani (si ricordi che la Cedu, all'art. 2, solennemente sancisce che «Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge») e la soppressione dell'uomo nel grembo materno. Anche per questo l'affermazione che pure lui è «uno di noi» rappresenta un autentico progresso nello sviluppo del pensiero umano.Quella verità va annunciata «con franchezza e amore» (San Giovanni Paolo II), è la sola ragione dell'impegno per la vita sia culturale sia assistenziale. S'innesta bene nella modernità perché confermata dalla scienza e posta sul piano dei diritti umani. Esige studio, competenza, pazienza. Usa un linguaggio propositivo senza mai tradire la verità. Fa sentire alla donna accoglienza, affetto, non giudizio, condivisione operosa. Nella consapevolezza che la principale difesa del nascituro è proprio sua madre. Va conferito alla donna e alla maternità un ruolo rilevante. Nessun uomo può esistere se non come figlio abbracciato stretto a sua madre per nove mesi. Lo stesso atto sessuale generante, che dovrebbe essere espressione di amore, è talora offuscato. Ciò nonostante la maternità svela il senso della vita e il privilegio femminile del coraggio, del dono, dell'accoglienza. I figli garantiscono il futuro. Così vita nascente e maternità sono poste oggi sul crinale della storia. L'umanità ha vinto la schiavitù, la discriminazione delle donne, dei disabili, la pena di morte è bandita in molti Stati, la pace è aspirazione universale. Manca un ultimo tassello.Lo traggo citando un pensiero di Carlo Casini, anima del Mpv: «Manca solo il riconoscimento come uno di noi dell'essere umano quando comincia a esistere. È su questo crocevia che la maternità colloca il riconoscimento che silenziosamente ha accompagnato tutta la storia umana».Pino MorandiniVicepresidente vicario di Mpv