2021-09-26
Pure il Recovery infiammerà i prezzi. Così Bruxelles ignora l’inflazione
Secondo Frans Timmermans i rincari in corso sono temporanei. Ma è solo l'antipasto: a gennaio, alla galoppata delle materie prime si aggiungeranno gli effetti degli stimoli del Pnrr. Altro che mini interventi sulle bollette.Se vi fosse capitato di passeggiare più di un anno fa tra le file di scaffali di un supermercato e prendere una confezione di pesce Findus surgelato avreste notato il peso: 400 grammi. Stesso controllo oggi e vi capiterebbe in gran parte dei casi di notare che il peso è sceso a 360 grammi. Scelta di marketing frequente. Lo fanno tanti altri brand. Obiettivo, evitare che il cliente percepisca l'aumento di prezzo del prodotto, mentre il costo al chilogrammo è salito almeno di un 10%. I trucchi sono comunque rilevati dall'Istat, ma nel complesso l'inflazione percepita varia. Purtroppo se ci si allarga all'intero perimetro dei consumi di un Paese il gioco non tiene. O almeno tiene per poco tempo. Ed è esattamente ciò che sta avvenendo in queste settimane. Gli enti ufficiali di rilevazione in giro per l'Europa forniscono percentuali di crescita dell'inflazione mai superiori al 3%. Eppure, come abbiamo scritto numerose volte, materie prime energetiche hanno visto le quotazioni raddoppiare. La benzina galoppa, il grano e il frumento sono cresciuti in poco più di sei mesi rispettivamente del 60 e del 20%. Anche le rilevazioni ufficiali dovrebbero schizzare di conseguenza. Invece, la politica e le istituzioni europee rassicurano chiunque. La fiammata sulle materie prime è solo un fatto temporaneo. Tutto passa. L'ha detto Frans Timmermans, vice presidente della Commissione Ue, per ribadire che non bisogna farsi influenzare dagli aumenti «temporanei» dell'inflazione e rallentare di conseguenza la transizione ecologica. Anche Ignazio Visco ha recentemente gettato acqua sul fuoco. «Non ci sono fattori di fondo che spingono questa inflazione a proseguire nel tempo», ha detto ai microfoni della Rai, «Sono effetti che valutiamo essere temporanei. Abbiamo delle previsioni a livello europeo che ci dicono che quest'anno l'inflazione, nella media in Europa, sarà superiore al 2%, ma l'anno prossimo e quello dopo scenderà di nuovo al di sotto. Penso che non ci sia un timore di inflazione così alta come alcuni pensano». Vorremmo godere dello stesso ottimismo. Purtroppo i segnali dicono tutt'altro. A oggi, le grandi aziende hanno preferito evitare di scaricare gli aumenti sul prodotto finito. In molto casi potendo utilizzare scorte preesistenti e perché avevano chiuso lo scorso anno contratti di fornitura blindati. Adesso quei contratti stanno scadendo e sono in fase di rinegoziazione. Da gennaio non sarà facile immaginare che tutte le aziende si autoriducano i margini. Il costo dei prodotti di largo consumo aumenterà. A spingere l'inflazione infatti ci sono almeno due interventi (politici e monetari) che sono di lungo termine. Il primo è la transizione energetica. Nonostante le rassicurazioni di Timmermans, le scelte del Fit for 55 concorrono alla immediata penalizzazione di chi ricorre alle fonti tradizionali di energia. Le imposte entrano nella filiera della creazione dei prodotti e ne alzano il costo e dunque il prezzo. Al tempo stesso, il meccanismo spinge sulle fonti alternative che però non sono sufficienti (e spesso idonee) per coprire la domanda. Non ci vuole molto a capire che effetto produce sull'economia di un continente o di un Paese come l'Italia che è in gran parte trasformatore. A tutto ciò si aggiunge l'effetto del lockdown e ora della fine della pandemia. Nel 2020 la gelata improvvisa dei consumi con modalità da guerra mondiale ha spinto le aziende a fermare gli ordini e usare le scorte. Alla ripartenza chi era in prima fila si è trovato avvantaggiato. Nazioni come la Cina ne hanno saputo approfittare e le tensioni hanno spinto a loro volta ad alzare le barriere dei dazi con la conseguenza di creare altre tensioni nei prezzi. E soprattutto con la conseguenza di frammentare la supply chain e formare colli di bottiglia lungo la filiera. Pure Bankitalia dovrebbe sapere che tutto ciò non si potrà risolvere in pochi mesi. Così nulla dice che a gennaio 2022 l'inflazione sia destinata a scendere. Anzi a quel punto si innesterà il secondo fattore di natura monetaria. A oggi abbiamo registrato l'effetto inflattivo del biglietto verde. Le politiche espansive della Fed e della Casa Bianca guidata da Joe Biden sono partite prima dell'estate. In Europa la macchina del Recovery fund e a cascata quella del Recovery plan o Pnrr non è ancora partita. Basti pensare che il primo assegno da 25 miliardi all'Italia è arrivato meno di un mese fa. L'enorme massa di debito aggiuntivo varato da Bruxelles e di ulteriori tasse a sostegno di Next generation Ue impatterà sulle tasche dei cittadini europei soltanto a partire dal prossimo anno. Probabilmente già dal primo trimestre 2022. Fa dunque sorridere il fatto che l'ultimo Consiglio dei ministri abbia stanziato 3,5 miliardi di euro (che non sono altro che partite di giro) per alleviare l'aumento delle bollette. Roberto Cingolani ha lanciato l'allarme e puntato il dito sugli aumenti del 40%. Ma rispondere con sussidi a una ondata inflattiva dovuto a stimoli pubblici è un po' come raccogliere l'acqua del mare con un cesto di vimini. Inutile. Siamo di fronte a problemi globali. Difficili da affrontare. Ancor più difficili per l'Italia, il cui comparto energetico soffre di zavorre fiscali e scelte sbagliate come quella sul nucleare. Nascondere i problemi dell'inflazione fa comodo a chi ha già deciso (in modo dirigistico) che la transizione ecologica s'ha da fare. Ma certo non aiuta a trovare soluzioni almeno intermedie che evitino l'annientamento del ceto medio. Ricchezza e colonna portante del nostro Paese.
Charlie Kirk (Getty Images). Nel riquadro Tyler Robinson