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2022-02-19
Pnrr a rischio paralisi, ci mettono un cerotto
Mario Draghi (Ansa)
Il Consiglio dei ministri ha approvato senza particolari sorprese il decreto energia. Stanziati in tutto 8 miliardi di cui 5,8 contro i rincari delle bollette. Mario Draghi ha sostanzialmente riconfermato le misure decise nei mesi precedenti, aggiungendo una visione di medio e lungo termine, che ha come obiettivo principale una maggiore produzione interna di gas, per poi venderla a un prezzo calmierato. Il decreto si occupa della revisione dei modelli per gli impianti delle rinnovabili anche nelle aree agricole, così come della semplificazione della burocrazia connessa agli impianti. Ottima cosa, va detto, anche se non sarebbe stato necessario attendere una crisi di tale portata per aiutare in modo trasparente gli investitori.
Da sottolineare però come questi ultimi interventi non potranno aiutare in alcun modo nell’immediato le imprese e le famiglie italiane, che sono alle prese con la peggiore crisi mai sperimentata dopo gli anni Settanta. Nel breve termine l’idea è quella di azzerare, per le utenze domestiche e non in bassa tensione (fino a 16,5 kilowattora) gli oneri di sistema anche per il secondo trimestre dell’anno. «A tal fine, sono trasferite alla Cassa per i servizi energetici e ambientali, entro il 31 maggio 2022, ulteriori risorse pari a 1,8 miliardi», si legge dal testo della bozza del decreto. L’annullamento degli oneri di sistema è stato applicato anche alle utenze con potenza superiore a 16,5 kilowattora. Per questo obiettivo sono invece stati trasferiti alla Cassa, entro il 31 maggio 2022, altri 1,2 miliardi. Interventi sono stati decisi anche per quanto riguarda il settore del gas. In questo caso la somministrazione di gas metano usato per usi civili e industriali è assoggettata a un’aliquota Iva del 5%. Il cdm ha anche deciso, per cercare di contenere i costi nel secondo trimestre dell’anno, di ridurre le aliquote relative agli oneri generali di sistema. Spazio è stato dato anche ai vari bonus energia e gas che sono stati rafforzati: il principale riguarda 4.000 aziende circa. Alle imprese energivore è stato confermato il contributo straordinario a parziale compensazione dei maggiori oneri sostenuti sotto forma di credito di imposta, pari al 20% delle spese per le bollette.
Insomma, la maggioranza di governo si è detta felice dell’intervento di ieri. Evidentemente nessuno in questo momento vuole aprire il fronte scostamento di bilancio. Matteo Salvini ha festeggiato l’esito, eppure soltanto giovedì Giancarlo Giorgetti, ministro dello Sviluppo economico, aveva fatto presente che i 6 miliardi a cui si aggiungono incentivi per l’automotive e sostegni per i Comuni in difficoltà non sarebbero stati sufficienti. Da un lato riferendosi al fatto che il decreto avrebbe spinto anche misure di lungo termine soprattutto nel comparto del gas, dall’altro al fatto che lo scostamento tanto non si sarebbe potuto fare. Le dichiarazioni di Giorgetti hanno per giunta ricalcato l’intervento di Daniele Franco in Aula. La scorsa settimana il titolare di Via XX Settembre aveva ricordato che senza scostamento non ci sarebbero stati particolari margini di intervento. Così, nonostante ieri in conferenza stampa il ministro dell’Economia abbia tenuto a precisare il buono stato dei nostri conti, dal decreto, almeno nella bozza visionata ieri, emerge un alert non da poco. Dal momento che riguarda la messa a terra del Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza. L’inflazione galoppa non solo per le bollette, ovviamente. Tant’è che nei giorni scorsi anche il governo ha espresso preoccupazione per il futuro dei cantieri e dei progetti approvati dall’Ue. I fondi previsti per costruire l’alta velocità, ad esempio, stanziati a inizio aprile quando il Recovery plan italiano è stato inviato a Bruxelles, potrebbero non bastare più per terminare le opere. I dati più recenti, che presto saranno aggiornati, sono quelli pubblicati dal ministero dei Trasporti sul primo semestre del 2021: i tondini di ferro del cemento armato sono rincarati del 44%, i laminati in acciaio del 48, i binari ferroviari del 31. E da allora i prezzi sono saliti ancora più in alto, come ha certificato l’Ance, l’associazione dei costruttori, che ha misurato nella seconda metà del 2021 rialzi per i tondini dell’80% e per l’acciaio necessario per i ponti addirittura del 130.
Il ministro Enrico Giovannini ha rilasciato la scorsa settimana una intervista lunare garantendo che l’inflazione l’avrebbe riassorbita lo Stato. Al di là dell’assurdità in sé, il titolare dei Trasporti suggeriva che le varie stazioni appaltanti avrebbero garantito extra budget per aiutare le imprese. Alla domanda quanto?, ecco la risposta: «Si vedrà». Ecco ieri nel decreto è arrivata l’entità del salvagente. L’articolo 26 prevede a sostegno dei cantieri soltanto 100 milioni di euro. Se si pensa che le stime spannometriche degli aumenti si avvicinano ai 10 miliardi, si comprende quanto sia stata lunare l’intervista di Giovannini e, al tempo stesso, quanto stiamo rischiando con il Pnrr. Se salta il gioco ci resta solo il debito che ripagheremo due volte. Sotto forma di «cedole» e sotto forma di inflazione. A quel punto il caro bollette sarà un piacevole ricordo. Sarà forse il caso di trovare un piano B e magari cercare di lasciare libere le imprese private affinché tornino a generare Pil e ricchezza. L’unica in grado di sostenere il Paese. Non crediamo nei sussidi né nell’elemosina.
Draghi bacchetta ancora i partiti: «Bisogna tenere la barra dritta»
«Avete visto che bravi ministri che ho? È un bellissimo governo», ha detto ieri sorridendo Mario Draghi durante la conferenza stampa tenuta insieme con il ministro dell’Economia, Daniele Franco, quello della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, e quello dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti. Un «bellissimo governo» sostenuto però da una maggioranza che mercoledì notte si è spaccata sugli emendamenti al Milleproroghe (per il quale verrà infatti posta la fiducia alla Camera lunedì). Un «bellissimo governo» che litiga spesso fuori dalle sale di Palazzo Chigi. «Pensa che queste divergenze si possano superare? Pensa di vedere i leader dei partiti affrontare questo problema?», gli ha dunque chiesto una giornalista. «Sì, vedrò i leader, ma non devo fare uno sforzo particolare, il colloquio con loro è continuo», ha risposto il premier spiegando che giovedì ha «ricordato quello che è il mandato del governo, creato dal presidente della Repubblica, per affrontare certe emergenze e conseguire certi risultati. Con il massimo rispetto ho detto le cose che ho detto» e «non può che essere così. Il governo e io abbiamo sempre offerto la massima disponibilità. Possiamo rivedere le modalità di confronto, ma teniamo dritta la barra del timone». Alla conferenza stampa di ieri, dopo il cdm che ha approvato il dl bollette e il decreto anti frodi sul Superbonus, anche Giorgetti è stato chiamato in causa con una domanda politica.
Al ministro leghista è stato chiesto se si fidasse del leader del Carroccio, Matteo Salvini, visto che ogni settimana esprime critiche sui provvedimenti approvati anche dai suoi uomini. «L’importante è che il Parlamento migliori le proposte del governo e non le peggiori. L’attività del Parlamento va rispettata. La politica è l’arte di rendere possibile ciò che è desiderabile, il mio segretario esprime un desiderio, io cerco di interpretarlo e di renderlo possibile nell’attività di governo», ha risposto Giorgetti.
Un altro tema che accende il confronto interno alla maggioranza è quello del green pass e delle restrizioni. Il colpo accusato da molte attività economiche per i rincari sulle bollette è ancora più duro da sopportare perché aggravato dalle conseguenze delle chiusure, o pseudo riaperture, determinate dalla cautele pandemiche. Considerato che l’Italia è uno tra i Paesi che ha adottato le misure più restrittive, il governo ha stimato i danni derivanti agli imprenditori da un regime limitativo di cui non è stata ancora fornita un’adeguata spiegazione scientifica, soprattutto in termini di proporzionalità rispetto al rischio? La Verità ha posto la domanda a Draghi che ha però dato una risposta un po’ evasiva: «Le misure sono state prese con l’opinione degli scienziati che hanno seguito la pandemia, non sono politici che si sono inventati esperti ma scienziati che ci hanno sempre consigliato. Se usciamo così dalla pandemia è perché ci siamo vaccinati. L’Italia ha preso dei provvedimenti necessari per contenere il contagio e ci è riuscita», ha detto il presidente del Consiglio.
Quanto agli aiuti alle aziende, «la stima dell’impatto c’è e ha aiutato il governo a occuparsi dei ristori», ha aggiunto. «C’è il turismo, dobbiamo iniziare a pensare in modo proattivo: stiamo uscendo dalla fase di difesa. Ad esempio gli alberghi delle grandi città sono fra i più colpiti perché il turismo non ha ripreso lì. Abbiamo in mente tante cose, non è finito il compito». Resta da capire quali siano le evidenze scientifiche di certe misure. E quali siano i documenti scientifici in base ai quali il governo ha fondato le sue scelte. Gli Stati che hanno riaperto di più non si basano sulla scienza? E cosa c’entrano le vaccinazioni con le chiusure delle attività economiche? Perché se abbiamo vaccinato di più e più in fretta di altri continuiamo ad avere più restrizioni degli altri? Questo, Draghi, ieri non lo ha spiegato. Ha solo assicurato di voler uscire «il più presto possibile» dall’emergenza e di voler «limitare le restrizioni». Senza però avere ancora una road map specifica, «ma è questione di giorni in modo da eliminare ogni incertezza per le famiglie e le imprese». Speriamo.
Nel frattempo, incombe la crisi Ucraina. Draghi volerà presto a Mosca per un incontro con il presidente russo Vladimir Putin. «Non c’è una data, ma dovrebbe essere a breve. Il colloquio è stato richiesto da Putin», ha precisato ieri. «La cosa importante è che l’atteggiamento dell’Italia e degli altri alleati» dimostri «l’unità che c’è tra membri della Nato». Quanto alle eventuali sanzioni alla Russia, secondo Draghi «devono essere il più possibile ristrette, senza comprendere l’energia, che abbiano una applicazione proporzionata al tipo di attacco e che non siano sanzioni preventive». Al momento una valutazione «sull’impatto quantitativo» ancora non c’è ma «tutte le sanzioni che impattano indirettamente su mercato energetico impattano di più sul Paese che importa più gas. E l’Italia ha solo il gas, non ha il nucleare e il carbone ed è più esposta». Per questo «si sta anche studiando come l’Italia possa continuare a essere approvvigionata da altre fonti se dovessero venire meno quelle dalla Russia», ha aggiunto.
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In cdm 8 miliardi (senza scostamento) per caro energia e auto. Esplode la grana Recovery: fondi d’emergenza per evitare il blocco dei cantieri. Il premier smorza le tensioni: «Esecutivo bellissimo, terremo la barra dritta».Lo speciale comprende due articoli.Il Consiglio dei ministri ha approvato senza particolari sorprese il decreto energia. Stanziati in tutto 8 miliardi di cui 5,8 contro i rincari delle bollette. Mario Draghi ha sostanzialmente riconfermato le misure decise nei mesi precedenti, aggiungendo una visione di medio e lungo termine, che ha come obiettivo principale una maggiore produzione interna di gas, per poi venderla a un prezzo calmierato. Il decreto si occupa della revisione dei modelli per gli impianti delle rinnovabili anche nelle aree agricole, così come della semplificazione della burocrazia connessa agli impianti. Ottima cosa, va detto, anche se non sarebbe stato necessario attendere una crisi di tale portata per aiutare in modo trasparente gli investitori. Da sottolineare però come questi ultimi interventi non potranno aiutare in alcun modo nell’immediato le imprese e le famiglie italiane, che sono alle prese con la peggiore crisi mai sperimentata dopo gli anni Settanta. Nel breve termine l’idea è quella di azzerare, per le utenze domestiche e non in bassa tensione (fino a 16,5 kilowattora) gli oneri di sistema anche per il secondo trimestre dell’anno. «A tal fine, sono trasferite alla Cassa per i servizi energetici e ambientali, entro il 31 maggio 2022, ulteriori risorse pari a 1,8 miliardi», si legge dal testo della bozza del decreto. L’annullamento degli oneri di sistema è stato applicato anche alle utenze con potenza superiore a 16,5 kilowattora. Per questo obiettivo sono invece stati trasferiti alla Cassa, entro il 31 maggio 2022, altri 1,2 miliardi. Interventi sono stati decisi anche per quanto riguarda il settore del gas. In questo caso la somministrazione di gas metano usato per usi civili e industriali è assoggettata a un’aliquota Iva del 5%. Il cdm ha anche deciso, per cercare di contenere i costi nel secondo trimestre dell’anno, di ridurre le aliquote relative agli oneri generali di sistema. Spazio è stato dato anche ai vari bonus energia e gas che sono stati rafforzati: il principale riguarda 4.000 aziende circa. Alle imprese energivore è stato confermato il contributo straordinario a parziale compensazione dei maggiori oneri sostenuti sotto forma di credito di imposta, pari al 20% delle spese per le bollette. Insomma, la maggioranza di governo si è detta felice dell’intervento di ieri. Evidentemente nessuno in questo momento vuole aprire il fronte scostamento di bilancio. Matteo Salvini ha festeggiato l’esito, eppure soltanto giovedì Giancarlo Giorgetti, ministro dello Sviluppo economico, aveva fatto presente che i 6 miliardi a cui si aggiungono incentivi per l’automotive e sostegni per i Comuni in difficoltà non sarebbero stati sufficienti. Da un lato riferendosi al fatto che il decreto avrebbe spinto anche misure di lungo termine soprattutto nel comparto del gas, dall’altro al fatto che lo scostamento tanto non si sarebbe potuto fare. Le dichiarazioni di Giorgetti hanno per giunta ricalcato l’intervento di Daniele Franco in Aula. La scorsa settimana il titolare di Via XX Settembre aveva ricordato che senza scostamento non ci sarebbero stati particolari margini di intervento. Così, nonostante ieri in conferenza stampa il ministro dell’Economia abbia tenuto a precisare il buono stato dei nostri conti, dal decreto, almeno nella bozza visionata ieri, emerge un alert non da poco. Dal momento che riguarda la messa a terra del Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza. L’inflazione galoppa non solo per le bollette, ovviamente. Tant’è che nei giorni scorsi anche il governo ha espresso preoccupazione per il futuro dei cantieri e dei progetti approvati dall’Ue. I fondi previsti per costruire l’alta velocità, ad esempio, stanziati a inizio aprile quando il Recovery plan italiano è stato inviato a Bruxelles, potrebbero non bastare più per terminare le opere. I dati più recenti, che presto saranno aggiornati, sono quelli pubblicati dal ministero dei Trasporti sul primo semestre del 2021: i tondini di ferro del cemento armato sono rincarati del 44%, i laminati in acciaio del 48, i binari ferroviari del 31. E da allora i prezzi sono saliti ancora più in alto, come ha certificato l’Ance, l’associazione dei costruttori, che ha misurato nella seconda metà del 2021 rialzi per i tondini dell’80% e per l’acciaio necessario per i ponti addirittura del 130. Il ministro Enrico Giovannini ha rilasciato la scorsa settimana una intervista lunare garantendo che l’inflazione l’avrebbe riassorbita lo Stato. Al di là dell’assurdità in sé, il titolare dei Trasporti suggeriva che le varie stazioni appaltanti avrebbero garantito extra budget per aiutare le imprese. Alla domanda quanto?, ecco la risposta: «Si vedrà». Ecco ieri nel decreto è arrivata l’entità del salvagente. L’articolo 26 prevede a sostegno dei cantieri soltanto 100 milioni di euro. Se si pensa che le stime spannometriche degli aumenti si avvicinano ai 10 miliardi, si comprende quanto sia stata lunare l’intervista di Giovannini e, al tempo stesso, quanto stiamo rischiando con il Pnrr. Se salta il gioco ci resta solo il debito che ripagheremo due volte. Sotto forma di «cedole» e sotto forma di inflazione. A quel punto il caro bollette sarà un piacevole ricordo. Sarà forse il caso di trovare un piano B e magari cercare di lasciare libere le imprese private affinché tornino a generare Pil e ricchezza. L’unica in grado di sostenere il Paese. Non crediamo nei sussidi né nell’elemosina.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/recovery-a-rischio-paralisi-solo-100-milioni-al-salvagente-per-i-cantieri-pubblici-2656725717.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="draghi-bacchetta-ancora-i-partiti-bisogna-tenere-la-barra-dritta" data-post-id="2656725717" data-published-at="1645229107" data-use-pagination="False"> Draghi bacchetta ancora i partiti: «Bisogna tenere la barra dritta» «Avete visto che bravi ministri che ho? È un bellissimo governo», ha detto ieri sorridendo Mario Draghi durante la conferenza stampa tenuta insieme con il ministro dell’Economia, Daniele Franco, quello della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, e quello dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti. Un «bellissimo governo» sostenuto però da una maggioranza che mercoledì notte si è spaccata sugli emendamenti al Milleproroghe (per il quale verrà infatti posta la fiducia alla Camera lunedì). Un «bellissimo governo» che litiga spesso fuori dalle sale di Palazzo Chigi. «Pensa che queste divergenze si possano superare? Pensa di vedere i leader dei partiti affrontare questo problema?», gli ha dunque chiesto una giornalista. «Sì, vedrò i leader, ma non devo fare uno sforzo particolare, il colloquio con loro è continuo», ha risposto il premier spiegando che giovedì ha «ricordato quello che è il mandato del governo, creato dal presidente della Repubblica, per affrontare certe emergenze e conseguire certi risultati. Con il massimo rispetto ho detto le cose che ho detto» e «non può che essere così. Il governo e io abbiamo sempre offerto la massima disponibilità. Possiamo rivedere le modalità di confronto, ma teniamo dritta la barra del timone». Alla conferenza stampa di ieri, dopo il cdm che ha approvato il dl bollette e il decreto anti frodi sul Superbonus, anche Giorgetti è stato chiamato in causa con una domanda politica. Al ministro leghista è stato chiesto se si fidasse del leader del Carroccio, Matteo Salvini, visto che ogni settimana esprime critiche sui provvedimenti approvati anche dai suoi uomini. «L’importante è che il Parlamento migliori le proposte del governo e non le peggiori. L’attività del Parlamento va rispettata. La politica è l’arte di rendere possibile ciò che è desiderabile, il mio segretario esprime un desiderio, io cerco di interpretarlo e di renderlo possibile nell’attività di governo», ha risposto Giorgetti. Un altro tema che accende il confronto interno alla maggioranza è quello del green pass e delle restrizioni. Il colpo accusato da molte attività economiche per i rincari sulle bollette è ancora più duro da sopportare perché aggravato dalle conseguenze delle chiusure, o pseudo riaperture, determinate dalla cautele pandemiche. Considerato che l’Italia è uno tra i Paesi che ha adottato le misure più restrittive, il governo ha stimato i danni derivanti agli imprenditori da un regime limitativo di cui non è stata ancora fornita un’adeguata spiegazione scientifica, soprattutto in termini di proporzionalità rispetto al rischio? La Verità ha posto la domanda a Draghi che ha però dato una risposta un po’ evasiva: «Le misure sono state prese con l’opinione degli scienziati che hanno seguito la pandemia, non sono politici che si sono inventati esperti ma scienziati che ci hanno sempre consigliato. Se usciamo così dalla pandemia è perché ci siamo vaccinati. L’Italia ha preso dei provvedimenti necessari per contenere il contagio e ci è riuscita», ha detto il presidente del Consiglio. Quanto agli aiuti alle aziende, «la stima dell’impatto c’è e ha aiutato il governo a occuparsi dei ristori», ha aggiunto. «C’è il turismo, dobbiamo iniziare a pensare in modo proattivo: stiamo uscendo dalla fase di difesa. Ad esempio gli alberghi delle grandi città sono fra i più colpiti perché il turismo non ha ripreso lì. Abbiamo in mente tante cose, non è finito il compito». Resta da capire quali siano le evidenze scientifiche di certe misure. E quali siano i documenti scientifici in base ai quali il governo ha fondato le sue scelte. Gli Stati che hanno riaperto di più non si basano sulla scienza? E cosa c’entrano le vaccinazioni con le chiusure delle attività economiche? Perché se abbiamo vaccinato di più e più in fretta di altri continuiamo ad avere più restrizioni degli altri? Questo, Draghi, ieri non lo ha spiegato. Ha solo assicurato di voler uscire «il più presto possibile» dall’emergenza e di voler «limitare le restrizioni». Senza però avere ancora una road map specifica, «ma è questione di giorni in modo da eliminare ogni incertezza per le famiglie e le imprese». Speriamo. Nel frattempo, incombe la crisi Ucraina. Draghi volerà presto a Mosca per un incontro con il presidente russo Vladimir Putin. «Non c’è una data, ma dovrebbe essere a breve. Il colloquio è stato richiesto da Putin», ha precisato ieri. «La cosa importante è che l’atteggiamento dell’Italia e degli altri alleati» dimostri «l’unità che c’è tra membri della Nato». Quanto alle eventuali sanzioni alla Russia, secondo Draghi «devono essere il più possibile ristrette, senza comprendere l’energia, che abbiano una applicazione proporzionata al tipo di attacco e che non siano sanzioni preventive». Al momento una valutazione «sull’impatto quantitativo» ancora non c’è ma «tutte le sanzioni che impattano indirettamente su mercato energetico impattano di più sul Paese che importa più gas. E l’Italia ha solo il gas, non ha il nucleare e il carbone ed è più esposta». Per questo «si sta anche studiando come l’Italia possa continuare a essere approvvigionata da altre fonti se dovessero venire meno quelle dalla Russia», ha aggiunto.
Monterosa ski
Dopo un’estate da record, con presenze in crescita del 2% e incassi saliti del 3%, il sipario si alza ora su Monterosa Ski. In scena uno dei comprensori più autentici dell’arco alpino, da vivere fino al 19 aprile (neve permettendo) con e senza gli sci ai piedi, tra discese impeccabili, panorami che tolgono il fiato e quella calda accoglienza che da sempre distingue questo spicchio di territorio che si muove tra Valle d’Aosta e Piemonte, abbracciando le valli di Ayas e Gressoney e la Valsesia.
Protagoniste assolute dell’inverno al via, le novità.
A Gressoney-Saint-Jean il baby snow park Sonne è fresco di rinnovo e pronto ad accogliere i piccoli sciatori con aree gioco più ampie, un nuovo tapis roulant per prolungare il divertimento delle discese su sci, slittini e gommoni, e una serie di percorsi con gonfiabili a tema Walser per celebrare le tradizioni della valle. Poco più in alto, a Gressoney-La-Trinité, vede la luce la nuova pista di slittino Murmeltier, progetto ambizioso che ruota attorno a 550 metri di discesa serviti dalla seggiovia Moos, illuminazione notturna, innevamento garantito e la possibilità di scivolare anche sotto le stelle, ogni mercoledì e sabato sera.
Da questa stagione, poi, entra pienamente in funzione la tecnologia bluetooth low energy, che consente di usare lo skipass digitale dallo smartphone, senza passare dalla biglietteria. Basta tenerlo in tasca per accedere agli impianti, riducendo così plastica e attese e promuovendo una montagna più smart e sostenibile, dove la tecnologia è al servizio dell’esperienza.
Sul fronte di costi e promozioni, fioccano agevolazioni e formule pensate per andare incontro a tutte le tasche e per far fronte alle imprevedibili condizioni meteorologiche. A partire da sci gratuito per bambini sotto gli otto anni, a sconti del 30 e del 20 per cento rispettivamente per i ragazzi tra gli 8 e i 16 anni e i giovani tra i 16 e i 24 anni , per arrivare a voucher multiuso per i rimborsi skipass in caso di chiusura degli impianti . «Siamo più che soddisfatti di poter ribadire la solidità di una destinazione che sta affrontando le sfide di questi anni con lungimiranza. Su tutte, l’imprevedibilità delle condizioni meteo che ci condiziona in modo determinante e ci spinge a migliorare le performance delle infrastrutture e delle modalità di rimborso, come nel caso dei voucher», dice Giorgio Munari, amministratore delegato di Monterosa Spa.
Introdotti con successo l’inverno scorso, i voucher permettono ai titolari di skipass giornalieri o plurigiornalieri, in caso di chiusure parziali o totali del comprensorio, di avere crediti spendibili in acquisti non solo di nuovi skipass e biglietti per impianti, ma anche in attività e shopping presso partner d’eccellenza, che vanno dal Forte di Bard alle Terme di Champoluc, fino all’avveniristica Skyway Monte Bianco, passando per ristoranti di charme e botteghe artigiane.
Altra grande novità della stagione, questa volta dal respiro internazionale, l’ingresso di Monterosa Ski nel circuito Ikon pass, piattaforma americana che raccoglie oltre 60 destinazioni sciistiche nel mondo.
«Non si tratta solo di un’inclusione simbolica», commenta Munari, «ma di entrare concretamente nei radar di sciatori di Stati Uniti, Canada, Giappone o Australia che, già abituati a muoversi tra mete sciistiche di fama mondiale, avranno ora la possibilità di scoprire anche il nostro comprensorio». Comprensorio che ha tanto da offrire.
Sotto lo sguardo dei maestosi 4.000 del Rosa, sfilano discese sfidanti anche per i più esperti sul carosello principale Monterosa Ski 3 Valli - 29 impianti per 52 piste fino a 2.971 metri di quota - e percorsi più soft, adatti a principianti e bambini, nella ski area satellite di Antagnod, Brusson, Gressoney-Saint-Jean, Champorcher e Alpe di Mera; fuoripista da urlo nel regno imbiancato di Monterosa freeride paradise e tracciati di sci alpinismo d’eccezione - Monterosa Ski è il primo comprensorio di sci alpinismo in Italia. Il tutto accompagnato da panorami e paesaggi strepitosi e da un’accoglienza made in Italy che conquista a colpi di stile e atmosfere genuine. Info: www.monterosaski.eu.
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Dal foyer della Prima domina il nero scelto da vip e istituzioni. Tra abiti couture, la presenza di Pierfrancesco Favino, Mahmood, Achille Lauro e Barbara Berlusconi - appena nominata nel cda - spiccano le assenze ufficiali. Record d’incassi per Šostakovič.
Non c’è dubbio che un’opera dirompente e sensuale, che vede tradimenti e assassinii, censurata per la sua audacia e celebrata per la sua altissima qualità musicale come Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Dmítrij Šostakóvič, abbia influenzato la scelta di stile delle signore presenti.
«Quando preparo gli abiti delle mie clienti per la Prima della Scala, tengo sempre conto del tema dell’opera», spiega Lella Curiel, sessanta prime al suo attivo e stilista per antonomasia della serata più importante del Piermarini. Così ogni volta la Prima diventa un grande esperimento sociale, di eleganza ma anche di mise inopportune. Da sempre, la platea ingioiellata e in smoking, si divide tra chi è qui per la musica e chi per mostrarsi mentre finge di essere qui intendendosene. Sul piazzale, lo show comincia ben prima del do di petto. Le signore scendono dalle auto con la stessa espressione di chi affronta un red carpet improvvisato: un occhio al gradino e uno ai fotografi. Sono tiratissime, ma anche i loro accompagnatori non sono da meno, alcuni dei quali con abiti talmente aderenti che sembrano più un atto di fede che un capo sartoriale.
È il festival del «chi c’è», «chi manca» ma tutti partecipano con disinvoltura allo spettacolo parallelo: quello dei saluti affettuosi, che durano esattamente il tempo di contare quanti carati ha l’altro. Mancano sì il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio, il presidente del Senato e il presidente della Camera ma gli aficionados della Prima, e anche tanti altri, ci sono tutti visto che è stato raggiunto il record di biglietti venduti, quasi 3 milioni di euro d’incasso.
Sul palco d'onore, con il sindaco Beppe Sala e Chiara Bazoli (in nero Armani rischiarato da un corpetto in paillettes), il ministro della Cultura Alessandro Giuli, l’applaudita senatrice a vita Liliana Segre, il presidente di Regione Lombardia, Attilio Fontana accompagnato dalla figlia Cristina (elegantissima in nero di Dior), il presidente della Corte Costituzionale Giovanni Amoroso, i vicepresidenti di Camera e Senato Anna Ascani e Gian Marco Centinaio e il prefetto di Milano Claudio Sgaraglia. Nero imperante, quindi, nero di pizzo, di velluto, di chiffon ma sempre nero. Con un tocco di rosso come per l’abito di Maria Grazia compagna di Giuseppe Marotta («è un vestito di sartoria, non è firmato da nessun stilista»), con dettagli verdi scelti da Diana Bracco («sono molto rigorosa»). Tutto nero l’abito/cappotto di Andrée Ruth Shammah («metto sempre questo per la Prima con i gioielli colorati di mia mamma»). E così quello di Fabiana Giacomotti molto scollato sulla schiena («è di Balenciaga, l’ultima collezione di Demna»).
Ma esce dal coro Barbara Berlusconi, la più fotografata, in un prezioso abito di Armani dalle varie sfumature, dall’argento al rosso al blu («ho scelto questo abito che avevo già indossato per celebrarlo»), accompagnata da Lorenzo Guerrieri. Fresca di nomina nel cda della Scala (voluta da Fontana), si è soffermata con i giornalisti. «La scelta di Šostakovič - afferma - conferma che la Scala non è solo un luogo di memoria: è anche un teatro che ha il coraggio di proporre opere che fanno pensare, che interrogano il pubblico, lo sfidano, e che raccontano la complessità del nostro tempo. La Lady è un titolo "ruvido", forte, volutamente impegnativo, che non cerca il consenso facile. È un'opera intensa, profonda, scomoda, ma anche attualissima per i temi che propone». E aggiunge: «Mio padre amava l'opera e ho avuto il piacere di accompagnarlo parecchi anni fa a una Prima. Questo ruolo nel cda l'ho preso con grande impegno per aiutare la Scala a proseguire nel suo straordinario lavoro». Altra componente del cda, Melania Rizzoli, in nero vintage dell’amica Chiara Boni, arrivata con il figlio Alberto Rizzoli. In nero Ivana Jelinic, ad di Enit, agenzia nazionale del Turismo. In blu firmato Antonio Riva, Giulia Crespi moglie di Angelo, direttore della Pinacoteca di Brera. In beige Ilaria Borletti Buitoni con un completo confezionato dalla sarta su un suo disegno. Letteralmente accerchiati da giornalisti, fotografi e telecamere Pierfrancesco Favino con la moglie Anna Ferzetti, Mahmood in Versace («mi sento regale») e Achille Lauro che dice quanto sia importante che l’opera arrivi ai giovani. Debutto lirico per Giorgio Pasotti mentre è una conferma per Giovanna Salza in Armani e ospite abituale è l’artista Francesco Vezzoli.
Poi, in 500, alla cena di gala firmata dallo chef 2 stelle Michelin nella storica Società del Giardino Davide Oldani. E così la Prima resta quel miracolo annuale in cui tutti, almeno per una sera, riescono a essere la versione più scintillante (e leggermente autoironica) di sé stessi.
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Guido Guidesi (Imagoeconomica)
Le Zis si propongono come aree geografiche o distretti tematici in cui imprese, startup e centri di ricerca possano operare in sinergia per stimolare l’innovazione, generare nuova occupazione qualificata, attrarre capitali, formare competenze avanzate e trattenere talenti. Nelle intenzioni della Regione, le nuove zone dovranno funzionare come poli stabili, riconosciuti e specializzati, ciascuno legato alle vocazioni produttive del proprio territorio. I progetti potranno riguardare settori differenti: manifattura avanzata, digitalizzazione, life science, agritech, energia, materiali innovativi, cultura tecnologica e altre filiere considerate strategiche.
La procedura di attivazione delle Zis è così articolata. La Fase 1, tramite manifestazione di interesse, permette ai soggetti coinvolti di presentare un Masterplan, documento preliminare in cui vengono indicati settore di specializzazione, composizione del partenariato, governance, spazi disponibili o da realizzare, laboratori, servizi tecnologici e prospetto di sostenibilità. La proposta dovrà inoltre includere la lettera di endorsement della Provincia competente. Ogni Provincia potrà ospitare fino a due Zis, senza limiti invece per le candidature interprovinciali. La dotazione economica disponibile per questa fase è pari a 1 milione di euro: il contributo regionale finanzia fino al 50% delle spese di consulenza per la stesura dei documenti necessari alla Fase 2, fino a un massimo di 100.000 euro per progetto.
La Fase 2 è riservata ai progetti ammessi dopo la valutazione iniziale. Con l’accompagnamento della Regione, i proponenti elaboreranno il Piano strategico definitivo, che dovrà disegnare una visione a lungo termine con orizzonte al 2050. Il programma di sviluppo indicherà le azioni operative: attrazione di nuove imprese e startup innovative, apertura o potenziamento di laboratori, creazione di infrastrutture digitali, percorsi formativi ad alta specializzazione, incubatori e servizi condivisi. Sarà inoltre definito un modello economico sostenibile e un sistema di monitoraggio basato su indicatori misurabili per valutare impatti occupazionali, tecnologici e competitivi.
I soggetti autorizzati alla presentazione delle candidature sono raggruppamenti pubblico-privati con imprese o startup come capofila. Possono partecipare enti pubblici, Comuni, Province, camere di commercio, università, centri di ricerca, enti formativi, fondazioni, associazioni e organizzazioni del terzo settore. Regione Lombardia avrà il ruolo di coordinatore e facilitatore. All’interno della direzione generale sviluppo economico sarà istituita una struttura dedicata al supporto dei territori: un presidio tecnico incaricato di orientare, assistere e valorizzare le progettualità, monitorando l’attuazione e la coerenza con gli obiettivi strategici.
Nel corso della presentazione istituzionale, l’assessore allo Sviluppo economico, Guido Guidesi, ha dichiarato: «Cambiamo per innovare. Le Zis saranno il connettore dei valori aggiunti di cui già disponiamo e che metteremo a sistema, ecosistemi settoriali che innovano in squadra tra aziende, ricerca, formazione, istituzioni e credito. Guardiamo al futuro difendendo il nostro sistema produttivo con l’obiettivo di consegnare opportunità ai giovani». Da Confindustria Lombardia è arrivata una valutazione positiva. Il presidente Giuseppe Pasini ha affermato: «Attraverso le Zis si intensifica il lavoro a favore delle imprese e dei territori. Apprezziamo la capacità di visione e la volontà di puntare sui giovani».
Ogni territorio svilupperà la propria specializzazione, puntando su filiere già forti o sulla creazione di nuovi segmenti tecnologici. Il percorso non prevede limiti settoriali ma richiede sostenibilità economica e capacità di generare ricadute occupazionali misurabili.
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