2024-01-03
Pubblicità all’utero in affitto coi soldi dell’Ue
Il municipio di Ravenna. Nel riquadro la campagna di Pon inclusione e Unar (IStock)
A Ravenna i manifesti (sponsorizzati dal ministero del Lavoro e dall’Unar) per supportare le coppie omosex a registrare i figli. La campagna, finanziata grazie ai miliardi dei Pon, è stata «camuffata» come iniziativa formativa per i «mediatori culturali».Girovagando per le strade di Ravenna, ci si imbatte in alcuni poster davvero curiosi. Si tratta di una campagna di sensibilizzazione dal titolo «Insieme si può», ideata dal Centro antidiscriminazione Lgbti+ della città, inaugurato lo scorso 26 gennaio. Nulla di strano, si penserà, in un Comune storicamente guidato dalla sinistra. Solo che, mettendoli bene a fuoco, si scorge un particolare non irrilevante: il patrocinio del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, in compagnia dell’Unar, del Pon Inclusione e dell’Unione europea. Uno di questi manifesti, per esempio, ritrae due ragazze - Chiara e Giovanna, ovviamente una bianca e una di colore - accanto ai cui volti si legge: «Presto avremo un bambino, vogliamo riconoscerlo come figlio di entrambe ma non sappiamo se il nostro Comune trascriverà il suo certificato di nascita». E subito sotto: «Per ricevere supporto rivolgiti a noi. Insieme si può». Un altro recita: «Mi chiamo Fra e sono una persona trans*. Prima di intraprendere il mio percorso di transizione giocavo a calcio. Vorrei tanto tornare ad allenarmi ma ho paura di quello che potrebbe accadermi». In una squadra maschile o in una femminile, Fra? Ci interesserebbe approfondire questo punto.Tutte le immagini della campagna si trovano anche sui canali social del centro. Nel post in cui viene pubblicata l’immagine di Chiara e Giovanna, risalente al 23 ottobre 2023, si legge: «Essere genitori è una bellissima avventura. Ma mettere al mondo figli* per le persone LGBTQIA+* può trasformarsi in un percorso ad ostacoli». No, Chiara e Giovanna o chiunque abbia scritto queste frasi: mettere al mondo un figlio - nel caso si ricorra all’utero in affitto - è un reato, non un percorso a ostacoli. Ricorso necessario nel caso di una coppia di uomini, discrezionale se a volerlo sono due donne. Esse possono anche decidere di farsi ingravidare dal seme di un uomo, mercificando contemporaneamente lo sperma e la vita e condannando un bambino a non avere un padre. «In Italia, infatti, non esiste una legge che permetta il riconoscimento alla nascita de* figli*delle famiglie omogenitoriali», conclude il post. «Se sei nella stessa situazione di Chiara e Giovanna, puoi rivolgerti a noi. Insieme si può». Rivolgersi a voi per ottenere che cosa, di preciso? Che cosa si può, insieme? Ma al di là di queste ovvie considerazioni, l’altra domanda che sorge osservando i manifesti è come sia possibile che un ministero di un governo conservatore dia il patrocinio a simili iniziative. Nel momento in cui le urne esprimono una maggioranza di destra, ci si aspetta - quantomeno su temi che non riguardano la politica economica, dove purtroppo vige il vincolo esterno - un certo polso. Abbiamo dunque provato a risalire a chi, in definitiva, ha sostenuto questo progetto. Il sostegno economico, si legge sulla pagina facebook del Centro antidiscriminazione Lgbti+ di Ravenna, viene dall’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar), organo dello Stato istituito presso la presidenza del Consiglio nel 2003 come recepimento della direttiva comunitaria n. 2000/43 CE. Il lettore della Verità avrà già capito: anche in questo caso si intravede un colossale «ce lo chiede l’Europa». A sua volta, l’Unar è un beneficiario dei fondi del Pon Inclusione 2014-2020. I Pon (Programmi nazionali operativi) sono il sistema attraverso cui la Commissione europea si accorda con gli Stati membri per il conferimento dei Fondi strutturali europei, erogati sulla base di alcuni obiettivi stabiliti - ovviamente - a Bruxelles. Il Pon Inclusione, che fa capo al ministero guidato da Marina Calderone (da cui il patrocinio sul poster), in particolare riceve denaro dal Fondo sociale europeo (che nel frattempo ha guadagnato un «plus», divenendo Fse+). Sul sito si legge che la dotazione finanziaria del programma 2014-2020 è stata di circa 1,2 miliardi di euro, di cui quasi 920 milioni in quota europea e circa 300 in quota nazionale. L’Unar ha ricevuto parte di questi fondi sulla base di un documento, chiamato Convenzione, in cui si legge che l’ente è obbligato a «garantire che gli interventi destinati a beneficiare del cofinanziamento del Pon concorrano al conseguimento dell’obiettivo generale del Pon medesimo e degli obiettivi specifici degli Assi prioritario 3 “Sistemi e modelli d’intervento sociale” e 4 “Capacità amministrativa” sopra richiamati».Solo che, sulla pagina Facebook del centro, nel post in cui viene pubblicizzata la campagna «Insieme si può», è scritto che tale progetto ricade «nell’ambito del Pon inclusione Fse 2014 - 2020 - Asse 4 “Capacità amministrativa” - Obiettivo specifico 11.3 - Azione 11.3.3». Nei documenti ufficiali, l’azione 11.3.3 è descritta come «azioni di qualificazione ed empowerment delle istituzioni, degli operatori e degli stakeholders», mentre il titolo del relativo progetto è indicato come «Modello formativo per mediatori culturali». L’attività ufficialmente dovrebbe elaborare e sperimentare «un modello formativo rivolto a mediatori culturali per il miglioramento degli interventi di mediazione presso i servizi erogati dalle pubbliche amministrazioni». E che cosa c’entra tutto ciò con una pubblicità piuttosto esplicita alla maternità surrogata? Sarebbe interessante, inoltre, sapere quanti soldi dei contribuenti sono stati versati a questi soggetti per le loro campagne (anche la parte di quota europea, visto che in Ue siamo contributori netti). Insomma, non solo tutti questi soldi (nostri) che arrivano dai fondi europei sono condizionati a obiettivi decisi a Bruxelles (andare sul sito del Fse+ per credere, dove le battaglie lgbt sono messe nero su bianco come una causa irrinunciabile); non solo il ministero di un governo conservatore non blocca, si spera per distrazione, un’iniziativa del genere, che rappresenta quanto di più lontano si aspettano gli elettori che l’hanno votato, ma a quanto pare essa sarebbe anche finanziata con soldi pubblici sulla base di obiettivi che onestamente paiono avere ben poco a che fare con il contenuto del progetto. La campagna è partita lo scorso ottobre, oggi è il 3 gennaio: possibile che nessuno se ne sia accorto?
Francesca Albanese (Ansa)
Andrea Sempio. Nel riquadro, l'avvocato Massimo Lovati (Ansa)