
Rotola la testa del prefetto della comunicazione. Lo scandalo della mistificazione delle parole del Papa emerito non si poteva più sminuire. Favorito per la successione l'irlandese Paul TigheIl «lettera gate» in Vaticano si è finalmente concluso con l'unica lettera che mancava, quella delle dimissioni di don Dario Edoardo Viganò dal ruolo di prefetto della Segreteria delle comunicazioni. La vicenda si è sviluppata nel sostanziale silenzio dei principali giornali italiani che, nella migliore delle ipotesi, avevano minimizzato, in ossequio alla narrazione di un Papa in versione super eroe. In realtà dal 13 marzo scorso, come La Verità ha ampiamente raccontato, abbiamo assistito a uno dei più colossali autogol della storia delle comunicazioni vaticane, peraltro a danno di due papi. Il pasticcio combinato da Viganò intorno alla lettera del Papa emerito Benedetto XVI, in risposta alla richiesta di uno scritto in occasione di una collana di volumetti sulla teologia di Francesco, ha causato un terremoto. Lo testimoniano anche le due missive diffuse ieri dalla sala stampa, che mostrano come in circa 48 ore, dal 19 marzo (data impressa sulla lettera di dimissioni di Viganò) al 21 marzo (giorno in cui il Papa accetta le dimissioni), si siano accavallati incontri e riflessioni. Viganò non poteva più restare al suo posto, eppure alcune fonti attestano che abbia fatto di tutto per restare in sella. D'altronde Francesco non poteva essere troppo sbrigativo con uno degli uomini di sua più stretta fiducia. Interessante l'ultimo paragrafo della lettera del Papa, dove compare questo refuso: «Il grande I'impegno profuso in questi anni…». Un errore per cui l'aggettivo «grande» sembra aggiunto all'ultimo, per ammorbidire il più possibile la situazione. «In questi ultimi giorni si sono sollevate molte polemiche circa il mio operato», scrive l'ex prefetto nella lettera di dimissioni indirizzata a Francesco, e per evitare di «ritardare, danneggiare o addirittura bloccare» la riforma delle comunicazioni vaticane, «le chiedo di accogliere il mio desiderio di farmi in disparte». Il Papa prende atto: «Rispetto la sua decisione e accolgo, non senza qualche fatica, le dimissioni da prefetto». Lo scorso 13 marzo, in occasione dei cinque anni di pontificato di Bergoglio, in una conferenza stampa di presentazione della collana di volumi sulla teologia di Francesco, Viganò aveva letto ai giornalisti la lettera richiesta a papa Ratzinger, sottolineando la parte in cui Benedetto XVI stigmatizzava lo «stolto pregiudizio» di chi ritiene Francesco impreparato in campo teologico e filosofico. E aveva rimarcato la «continuità interiore» tra i due pontificati. Ma se questo era evidentemente il messaggio che si voleva far passare contro quei «pochi, ma rumorosi» che vengono considerati nemici di Francesco, le cose però non erano state divulgate in modo completo. Infatti, nel comunicato fornito ai giornalisti mancava una parte delle lettera in cui Benedetto XVI diceva che, un po' per l'età, un po' per gli impegni già assunti, non aveva alcuna intenzione di redigere «una breve e densa pagina teologica», come probabilmente gli era stato richiesto dallo stesso Viganò. Tra l'altro una delle agenzie stampa più importanti del mondo, l'Associated press, rendeva noto che il Vaticano ammetteva la manipolazione della foto diffusa circa la lettera di Benedetto XVI, foto in cui venivano oscurate le ultime righe del primo foglio e sul secondo foglio venivano appoggiati i libri della collana in modo che non si leggesse altro che la firma di Benedetto XVI. Imprecisate «fonti vaticane» pensavano bene di rilasciare all'Ansa una dichiarazione per cui la foto in realtà era da considerarsi «artistica». Il 17 marzo veniva quindi alla luce un altro, clamoroso paragrafo della lettera di Benedetto XVI, il più chiaro e rivelatore. Viganò aveva a più riprese detto di aver letto «integralmente» la lettera davanti ai giornalisti. Peccato che avesse «scordato» un intero paragrafo nel quale il Pontefice tedesco annota che uno degli autori degli 11 volumetti è un professore, Peter Hunermann, che durante il suo pontificato aveva «capeggiato iniziative anti-papali», oltre a essere noto per aver contestato da tempo il magistero di Giovanni Paolo II in materia morale. Queste righe rendevano definitivamente chiaro che il Papa emerito non aveva alcuna intenzione di scrivere nulla sui volumetti, inoltre fanno scricchiolare la tesi della «continuità» che tanto si è sbandierata. Come è possibile parlare di continuità quando uno degli autori chiamati a spiegare la teologia di Francesco è stato in aperto contrasto con il magistero dei suoi predecessori? Un bel servizio reso non a uno, ma a due pontefici. Il comunicato stampa che seguiva questa rivelazione completava, se possibile, il colossale pasticcio. Si diceva, infatti, che «della lettera, riservata», era «stato letto quanto ritenuto opportuno e relativo alla sola iniziativa» editoriale, come se le ultime righe di Ratzinger non fossero attinenti. Dopo le dimissioni, Viganò resta comunque nel dicastero come assessore, e il prossimo nome del suo sostituto dirà se il suo potere è davvero in declino. A questo proposito, a prendere il suo posto dovrebbe essere il sacerdote irlandese Paul Tighe, 60 anni, oggi segretario del Pontificio consiglio della cultura, ma con un passato al Pontificio consiglio per le comunicazioni sociali di cui divenne segretario per volontà di papa Ratzinger nel 2007. Leggi anche il pezzo di Gianluigi Nuzzi che ha portato alle dimissioni e la lettera di dimissioni di monsignor Viganò
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Il 9 novembre 1971 si consumò il più grave incidente aereo per le forze armate italiane. Morirono 46 giovani parà della «Folgore». Oggi sono stati ricordati con una cerimonia indetta dall'Esercito.
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Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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Teresa Ribera (Ansa)
Il capo del Mef: «All’Ecofin faremo la guerra sulla tassazione del gas naturale». Appello congiunto di Confindustria con le omologhe di Francia e Germania.
Chiusa l’intesa al Consiglio europeo dell’Ambiente, resta il tempo per i bilanci. Il dato oggettivo è che la lentezza della macchina burocratica europea non riesce in alcun modo a stare al passo con i competitor mondiali.
Chiarissimo il concetto espresso dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti: «Vorrei chiarire il criterio ispiratore di questo tipo di politica, partendo dal presupposto che noi non siamo una grande potenza, e non abbiamo nemmeno la bacchetta magica per dire alla Ue cosa fare in termini di politica industriale. Ritengo, ad esempio, che sulla politica commerciale, se stiamo ad aspettare cosa accade nel globo, l’industria in Europa nel giro di cinque anni rischia di scomparire». L’intervento avviene in Aula, il contesto è la manovra di bilancio, ma il senso è chiaro. Le piccole conquiste ottenute nell’accordo sul clima non sono sufficienti e nei due anni che bisogna aspettare per la nuova revisione può succedere di tutto.
Maurizio Landini
Dopo i rinnovi da 140 euro lordi in media per 3,5 milioni di lavoratori della Pa, sono in partenza le trattative per il triennio 2025-27. Stanziate già le risorse: a inizio 2026 si può chiudere. Maurizio Landini è rimasto solo ad opporsi.
Sta per finire quella che tra il serio e il faceto nelle stanze di Palazzo Vidoni, ministero della Pa, è stata definita come la settimana delle firme. Lunedì è toccato ai 430.000 dipendenti di Comuni, Regioni e Province che grazie al rinnovo del contratto di categoria vedranno le buste paga gonfiarsi con più di 150 euro lordi al mese. Mercoledì è stata la volta dei lavoratori della scuola, 1 milione e 260.000 lavoratori (850.000 sono docenti) che oltre agli aumenti di cui sopra porteranno a casa arretrati da 1.640 euro per gli insegnanti e 1.400 euro per il personale Ata (amministrativi tecnici e ausiliari). E il giorno prima, in questo caso l’accordo era stato già siglato qualche mese fa, la Uil aveva deciso di sottoscrivere un altro contratto, quello delle funzioni centrali (chi presta opera nei ministeri o nell’Agenzia delle Entrate), circa 180.000 persone, per avere poi la possibilità di sedersi al tavolo dell’integrativo.










