2023-01-10
Ratzinger «cinese»? Bufala dei progressisti
Joseph Ratzinger e il cardinale Joseph Zen (Ansa)
Un articolo su Avvenire di Agostino Giovagnoli (Sant’Egidio) rilancia la narrazione che l’accordo tra Pechino e Vaticano del 2018 sia avvenuto in continuità con il pontificato di Benedetto XVI. Che, invece, aveva attuato una geopolitica con baricentro in Occidente.Il controverso accordo tra Santa sede e Cina sta diventando sempre più centrale. A testimoniarlo è un curioso articolo, pubblicato giovedì su Avvenire dal professor Agostino Giovagnoli dal titolo «Benedetto e l’amore per la Cina»: un articolo in cui l’accademico lascia intendere che l’intesa sino-vaticana, siglata nel 2018 e rinnovata finora due volte, sarebbe in una sorta di continuità con la linea tenuta dal pontificato di Benedetto XVI nei rapporti con la Repubblica popolare. Una tesi che desta qualche perplessità.È senz’altro vero che, da Papa, Joseph Ratzinger tentò un dialogo con Pechino, come dimostrato dalla lettera ai cattolici cinesi del 2007. Tuttavia, nel corso del suo pontificato, Benedetto non è mai arrivato a stipulare alcun accordo con la Repubblica popolare cinese. Non solo: a luglio 2012 la Santa Sede rese noto che il reverendo Giuseppe Yue Fusheng era incorso nella scomunica latae sententiae, in quanto ordinato vescovo senza mandato pontificio. Nell’occasione, l’allora direttore della Sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ammise significative turbolenze nelle relazioni tra Santa sede e Cina. Se, dunque, l’attenzione ai cattolici cinesi è sempre stata effettivamente una priorità per Ratzinger, è molto difficile vedere nell’accordo del 2018 un atto in sostanziale continuità con il suo pontificato.Innanzitutto, una tale interpretazione fu duramente sconfessata nel 2020 dal cardinale Joseph Zen, il quale smentì che Benedetto avesse approvato ai suoi tempi la bozza dell’intesa. In secondo luogo, basta dare un’occhiata alla geopolitica ratzingeriana. Nonostante le aperture al patriarcato di Mosca e l’iniziale tentativo di dialogo con Pechino, il baricentro della politica internazionale del pontificato di Benedetto è sempre stato collocato in Occidente: si pensi solo ai suoi storici viaggi apostolici negli Stati Uniti e nel Regno Unito rispettivamente nel 2008 e nel 2010.Non è del resto un mistero che la tesi della presunta continuità tra il pontificato di Benedetto e l’accordo sino-vaticano sia portata avanti da quei (potenti) ambienti del cattolicesimo progressista, che da sempre sponsorizzano quello stesso accordo: dalla Compagnia di Gesù alla Comunità di Sant’Egidio. Realtà, quest’ultima, a cui appartiene proprio Giovagnoli, il quale - oltre ad essere uno storico fautore della distensione tra Santa sede e Repubblica popolare - è anche componente del comitato scientifico del Confucio institute dell’Università Cattolica di Milano.Nel 2019 curò, inoltre, un libro sull’intesa sino-vaticana alla cui presentazione intervennero monsignor Claudio Maria Celli (che, secondo la Catholic News Agency, era tra i negoziatori di quella stessa intesa), oltre a due alacri sostenitori del dialogo con Pechino come Romano Prodi e il fondatore di Sant’Egidio ed ex ministro, Andrea Riccardi. Era, invece, settembre 2021, quando Giovagnoli moderò «Occidente e Cina: dialogo e collaborazione tra XX e XXI secolo»: conferenza online a cui prese parte, tra gli altri, il vice capo missione dell’ambasciata cinese in Italia Zheng Xuan. Un convegno a cui inviarono i loro saluti anche l’allora ministro degli Esteri, Luigi Di Maio (all’epoca ancora in uno schieramento politico non certo ostile a Pechino, come il Movimento 5 stelle), e il segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin.Quello stesso Parolin che intrattiene solidi legami con Sant’Egidio e che risulta uno dei principali artefici dell’accordo sino-vaticano. Un accordo difeso a ottobre anche dal cardinale Luis Antonio Tagle (considerato il capofila dei progressisti al prossimo conclave).Il punto è che questa intesa, di cui non si conoscono i dettagli, viene additata da più parti come problematica. Se le sue motivazioni pastorali sono anche comprensibili, il nodo risiede nel fatto che sta rafforzando il Partito comunista cinese dal punto di vista internazionale, mentre la situazione dei cattolici cinesi non sembra stia granché migliorando. Stando a quanto riferito negli scorsi mesi da Asia News e dalla Catholic News Agency, Xi Jinping sta infatti accentuando la sua politica di «sinicizzazione»: il tentativo, cioè, di indottrinare i cattolici cinesi secondo i principi del socialismo. Una politica a cui, lo scorso agosto, si sono esplicitamente inginocchiate sia l’Associazione patriottica cattolica cinese sia la Conferenza episcopale della Chiesa cattolica in Cina. «La sorveglianza in Cina è tra le più oppressive e sofisticate al mondo. La partecipazione in chiesa è rigorosamente monitorata e molte chiese vengono chiuse», riporta inoltre Open Doors.È in quest’ottica che gli ambienti ecclesiastici ratzingeriani si stanno muovendo contro l’accordo sino-vaticano: un’intesa storicamente deprecata dal cardinale Zen e dal collega Raymond Burke, che è considerato non distante da possibili candidati presidenziali statunitensi repubblicani, come Ron DeSantis e Mike Pompeo. Quel Pompeo che, da segretario di Stato Usa, criticò fortemente l’accordo sino-vaticano come lesivo della libertà religiosa (ritrovandosi per questo a sua volta criticato da Giovagnoli su Avvenire a settembre 2020).Tra l’altro, è vero che con Joe Biden i rapporti tra Casa Bianca e Santa Sede sembrano meno tesi (nell’attuale amministrazione americana siedono d’altronde alcune figure non troppo dure con Pechino, come il cattolico liberal John Kerry). Tuttavia è anche vero che, lo scorso ottobre, il rinnovo dell’intesa sino-vaticana è stato biasimato da Stephen Schneck: membro della Us Commission on international religious freedom, nominato proprio da Biden a giugno 2022.È, quindi, chiaro che le tensioni nei sacri palazzi vanno lette (anche) nel quadro del duello geopolitico in corso tra Stati Uniti e Cina. In tal senso, la questione dell’accordo del 2018 è destinata ad assumere un peso crescente. Le galassie ratzingeriane puntano, infatti, verosimilmente, a ridurre l’influenza terzomondista della Comunità di Sant’Egidio sulla diplomazia vaticana, per riportarne il baricentro più a Occidente.
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