2025-08-10
L’incubo di Raspail: «E se loro arrivassero?»
Jean Raspail (Getty Images)
Lo scrittore francese ricorda come nacque «Il Campo dei Santi», il romanzo profetico sull’invasione migratoria in edicola dal 13 agosto con «La Verità» e «Panorama»: «Guardavo il mare e, all’improvviso, ho immaginato lo sbarco di un milione di stranieri».Proponiamo qui un estratto di Big Other, la prefazione al Campo dei Santi (in edicola da mercoledì con La Verità e Panorama) scritta da Jean Raspail nel 2011.Il Campo dei Santi è stato scritto tra il 1971 e il 1972 a Boulouris, in una monumentale villa di mare stile inglese di fine XIX secolo, orgogliosamente battezzata Le Castelet, che mi era stata prestata; era situata sulle rive del Mediterraneo, e s’affacciava su una spiaggia stretta e su banchi di rocce. Dalla biblioteca dove lavoravo non si vedeva, in un raggio di 180°, che il mare e il largo, tanto che un mattino, con lo sguardo perduto lontano, mi chiesi: «E se loro arrivassero?». Io non sapevo chi fossero loro, ma mi era parso come ineluttabile che gli innumerevoli diseredati del Sud, come un maremoto, un giorno si sarebbero diretti verso questa costa opulenta, frontiera aperta dei nostri felici Paesi. È così che tutto è cominciato. Non avevo alcun piano né la minima idea del modo in cui le cose sarebbero avvenute, né dei personaggi che avrebbero popolato il mio racconto. M’interrompevo la sera senza sapere ciò che sarebbe avvenuto l’indomani, e l’indomani, con mia grande sorpresa, la matita scorreva senza ostacoli sul foglio. Sarebbe stato così fino al termine. Se libro mai mi venne ispirato, fu proprio quello. Un segno, anni più tardi, venne a confermare questa impressione.Nella notte del 20 febbraio 2001, un mercantile non identificato, carico d’un migliaio d’emigranti curdi, s’arenò deliberatamente, con tutta la velocità che potevano permettergli i suoi vecchi motori, su un ammasso di rocce emerse, unite alla terraferma, proprio a... Boulouris, a una cinquantina di metri da Castelet! Quella punta rocciosa, dove andavo a nuotare quando faceva bel tempo. Era parte del mio paesaggio. Certo, non erano un milione, come li avevo immaginati, a bordo d’una vecchia flotta, ma comunque erano sbarcati accanto a me, nel pieno scenario del Campo dei Santi, per recitarvi il primo atto! Il rapporto radio dell’elicottero della Gendarmeria all’alba del 21 febbraio diffuso dall’Afp sembra estratto, parola per parola, dai primi tre paragrafi del libro. La stampa sottolineò la coincidenza, che apparve a certuni, e a me, come frutto non solo del caso... Questo libro è uscito nel gennaio 1973. A quarantotto anni non avevo pubblicato che dei racconti di viaggio o d’esplorazione, delle novelle, una serie di cronache e di reportage nel Figaro, e due romanzi di gioventù presto dimenticati, ambientati in Perù e in Giappone: nulla per cui pretendere una notorietà nel santuario germano-pratin (l’aggettivo si riferisce al quartiere parigino di SaintGermain-des-Prés, cuore letterario della città, ndt) che d’altronde frequentavo poco. Fu l’editore che se ne incaricò, e con lui tutto il prestigio della sua casa. Robert Laffont prese contatto, personalmente, con tutte le librerie importanti in Francia. Era il suo libro. Lo conosceva così bene che sembrava averlo scritto lui. Cliente abituale d’un bistrò italiano alla rue des Canettes, quest’uomo riservato, poco loquace, dalla voce assente, abbandonando la conversazione usciva improvvisamente dal suo guscio e, con uno slancio da neofita, raccontava Il Campo dei Santi ai commensali. S’impegnava anche coraggiosamente a convincere, d’altronde senza successo, la temibile papessa delle pagine letterarie del giornale Le Monde. A modo suo, era un grande ingenuo, Robert Laffont... Si era scommesso su un best-seller. A primavera, ci si disilluse.Nella stampa di destra, un magro concerto, con note dissonanti. L’Aurore e il Quotidien du médecin se la cavarono con un’intervista, ciò che esonerò i loro cronisti dal compromettersi. Valeurs actuelles (Paul Vandromme) e Minute (Jean Bourdier), che era allora un settimanale molto letto, non mancarono di coraggio, senza dimenticare i piccoli, i marginali come Aspect de la France o Rivarol. L’onnipresente Figaro, dove scrivevo regolarmente e dove scrivo ancora di tanto in tanto, mi stroncò, attraverso la penna intinta nell’umanitarismo e nel conformismo plebiscitario di Claudine Jardin. Un aiuto in controtendenza e del tutto inatteso, considerata l’inversione di rotta postconciliare, giunse tuttavia da due gesuiti di peso, padre Lucien Guissard in La Croix e padre Pirard in La Libre Belgique... Da parte dei grandi quotidiani di provincia, sempre abbigliati della loro orientata neutralità, non una riga, non un eco, con la notevole eccezione del Progrès de Lyon, che liquidò Il Campo dei Santi e Le Scuderie dell’Occidente di Jean Cau, come destinati all’insuccesso. Mi sento tanto solo da quando Jean Cau è morto... E per chiudere le celebrazioni, la stampa di sinistra, maggioritaria, Le Monde e L’Observateur in testa, rimase muta. Trentasette anni e venticinque libri più tardi, lo è rimasta – sono nella loro lista nera – senza comunque rinunciare a far sapere, durante tutti questi anni, quanto l’autore del Campo dei Santi fosse odioso e infrequentabile. Io considero questo come un onore; meglio così, alla lunga non ne sono certo uscito perdente! In totale, nel 1973: una tiratura di 20.000 copie, di cui 15.000 vendute. Robert Laffont commentò laconicamente: «Un grande romanzo, su un tema importante, che non ha incontrato l’adesione di tutti...». Fine della partita? Nient’affatto. Un inizio. Fu negli Stati Uniti, due anni dopo, che risuonarono le campane della rivincita: l’editore Charles Scribner, una sorta di Gallimard americano, pubblicò The Camp of the Saints nel 1975. Mi aveva spedito un biglietto aereo perché mi recassi a New York a incontrare il traduttore, il professor Norman Shapiro, e spiegassi parole ed espressioni che potessero generare equivoci. Non ho mai percepito, nell’uno o nell’altro, la minima reticenza riguardo al tema del libro, e particolarmente in Shapiro, che non era uomo di destra. Fu un successo di stampa e di vendita, seguito da diverse ristampe e dal T. S. Eliot Award che mi fu conferito a Chicago nel 1997. Ronald Reagan e Samuel Huntington (l’autore de Lo scontro delle civiltà) furono tra i suoi più eminenti lettori. Jeffrey Hart, professore a Princeton, cronista e celebre columnist americano, scrisse: «Raspail is not writing about race, he is writing about civilization...». Numerose sono le università in cui The Camp of the Saints, diventato un classico, è continuamente oggetto di approfondimenti e di dibattiti. Seguirono, sullo slancio, le edizioni inglesi, spagnole, portoghesi, brasiliane, tedesche, olandesi, poi russe, ceche, polacche... saluto con una certa esitante emozione la traduzione in afrikaans, pubblicata a Pretoria nel 1990. [...] Il tema del Campo dei Santi è d’una estrema semplicità. Può riassumersi in una ventina di righe: nella notte, sulle coste meridionali del nostro Paese, 100 navi ormai ridotte a rottami si arenano, cariche d’un milione d’emigranti. Dei poveracci braccati dalla miseria, delle famiglie intere con donne e bambini, sciami venuti dal sud del nostro mondo, attratti dalla Terra promessa. Sperano. Ispirano una immensa pietà. Sono deboli. Sono disarmati. Hanno la potenza del numero. Sono oggetto dei nostri rimorsi e del molle buonismo delle nostre coscienze. Loro sono l’Altro, cioè la moltitudine, l’avanguardia della moltitudine. Ed ora che sono là, li accettiamo da noi, in Francia, «terra d’asilo e d’accoglienza», a rischio d’incoraggiare la partenza d’altre flotte di sventurati che, laggiù, si stanno preparando? L’Occidente, tutto intero, si scopre minacciato. Minacciato di sommersione. Allora che fare? Rimandarli da dove sono venuti, ma come? Rinchiuderli in campi, dietro dei fili spinati? Non molto bello, ma dopo? Usare la forza contro la debolezza? Inviare contro di loro i nostri marinai, i nostri soldati? Sparare? Sparare nel mucchio? Chi obbedirebbe a simili ordini? A tutti i livelli, coscienza universale, governi, equilibrio delle civilizzazioni, e soprattutto ognuno dentro di sé, ci si pongono queste domande, ma troppo tardi… Il racconto rispetta le tre unità, di tempo, di luogo e d’azione. È un testo allegorico. Tutto si snoda in ventiquattr’ore, mentre nella realtà si tratta d’una sommersione continua, lungo gli anni, di cui noi non misureremo la catastrofica pienezza che alla svolta del periodo 2045- 2050, quando si sarà innescato il rovesciamento demografico finale: in Francia, e presso i nostri più immediati Paesi vicini, nelle zone urbanizzate dove vivono i due terzi della popolazione, 50% degli abitanti di meno di 55 anni saranno d’origine extraeuropea. Dopo di che, questa percentuale non smetterà più di aumentare.
Sandro Mazzola (Getty Images)
Una foto di scena del fantasy «Snowpiercer» con Chris Evans e Tilda Swinton firmato dal coreano Bong Joon. Nel riquadro una tavola del fumetto