2023-01-21
Zitti zitti ci tirano in guerra
Gli Usa radunano gli alleati a Ramstein con una sola parola d’ordine: armi all’Ucraina. Nel frattempo però gli obiettivi sono cambiati e Washington mette nel mirino la Crimea. Moltiplicando il rischio di un’escalation dalle conseguenze imprevedibili. La Germania prova a sfilarsi sui carrarmati. Ma è costretta a dare 1 miliardo di euro a Kiev.A Ramstein, in Germania, si sono dati appuntamento i ministri della Difesa dei Paesi che sostengono l’Ucraina. Per l’occasione, nella base americana che ha ospitato l’incontro, si è parlato degli armamenti che la Nato e i suoi alleati potranno mettere a disposizione di Kiev. In pratica, si è discusso di missili a lungo raggio, di carri armati di ultima generazione e di altre attrezzature militari per una spesa che per quanto riguarda gli Stati Uniti è stata quantificata in altri 2,5 miliardi di dollari. La sola cosa a cui non si è fatto cenno è la pace. Sì, dalla riunione coordinata dal sottosegretario alla Difesa americano, Lloyd Austin, la parola tregua è stata esclusa. In compenso, ne sono state pronunciate molte altre che non promettono nulla di buono. Tralascio l’antipasto servito prima dell’inizio dell’incontro: con una tempistica perfetta, il Pentagono ha rilasciato dichiarazioni che annunciano un’offensiva per riconquistare la Crimea, ossia la penisola annessa nove anni fa dai russi, facendo filtrare indiscrezioni che consentirebbero all’Ucraina di reagire all’aggressione di Mosca bombardando il territorio della Federazione Russa. Sì, prima ancora che il vertice cominciasse, dagli Usa sono rimbalzate notizie poco rassicuranti, che invece di lasciare immaginare un armistizio, facevano pensare a un’escalation militare. Ma dopo questa premessa, sono arrivati i piatti forti del menu. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, cioè un tizio che dato il ruolo dovrebbe cercare di spegnere i conflitti, come prima cosa ha dichiarato di non credere che ci sia l’opportunità per un serio negoziato di pace. E per toglierci anche l’ultima illusione, poi ha aggiunto di non vedere la fine della guerra nell’immediato futuro. Il meglio però lo ha sfornato Austin, l’uomo che tiene il dito sul grilletto per conto di Joe Biden. «È un momento decisivo per l’Ucraina e per tutto il mondo», ha detto. L’esordio poteva lasciar pensare che dopo 11 mesi di bombe, palazzi sventrati e migliaia di morti, forse si era aperto uno spiraglio per la pace. E invece, subito dopo il sottosegretario alla Difesa ha aggiunto che non è il momento di cedere: «Non smetteremo, non indugeremo e non esiteremo nell’aiuto all’Ucraina». In poche parole: lotta dura, senza paura. Certo, gli americani pagano il conto (delle armi), ma non quello delle vittime, dunque si fa presto a dire che non è il momento di sedersi attorno a un tavolo per cercare un’intesa. Anzi, non serve molto per dichiarare che è ora di preparare una controffensiva: la contabilità della guerra non pesa sul bilancio interno. E così il conflitto si allunga e già si parla delle strategie da mettere in campo per la prossima primavera, quando, con il disgelo, le truppe dall’una e dall’altra parte potranno tornare a muoversi sul terreno senza essere intrappolate nel ghiaccio. A dire il vero, nonostante la neve, i bombardamenti e i massacri non sono mai cessati. Infatti i russi, dopo essere arretrati per chilometri sono tornati all’assalto, in una guerra di logoramento che non consente più nemmeno di valutare una possibile via d’uscita. Nel frattempo, leggendo le agenzie in arrivo dalla base di Ramstein, vengono in mente le informazioni che venivano fatte circolare poche settimane dopo l’invasione dell’Ucraina, quando l’Occidente reagì all’aggressione russa varando pesanti sanzioni economiche. Politici ed economisti prevedevano che Mosca non sarebbe riuscita a resistere alla chiusura dei rubinetti finanziari, perché il suo bilancio nazionale avrebbe presto fatto default. Ricordo quando ci spiegarono che l’esclusione dal circuito Swift con cui si regolano le transazioni monetarie a livello internazionale avrebbe paralizzato l’attività di banche e imprese, costringendole al fallimento. Poi il blocco delle esportazioni avrebbe fatto il resto, obbligando Putin a mollare la presa. Sì, nei circoli diplomatici si era assolutamente convinti che non sarebbe stato necessario sparare neppure un colpo, perché a incaricarsi di sconfiggere la Russia sarebbe stato il mercato. Ancora a marzo, i titoli di giornali e tg non lasciavano spazio a dubbi: «Sanzioni alla Russia, allarme delle agenzie di rating: Mosca verso il default», era l’apertura di Skytg24. In realtà, niente di tutto ciò si è verificato. Anzi, nonostante la difficoltà a finanziarsi e rifornirsi, Mosca non solo non è fallita, ma la penuria di materiale e di alimentari nei supermercati annunciata in realtà non c’è stata. I dati diffusi dai russi mostrano una flessione del Pil, ma inferiore a quella di altri Paesi occidentali. Certo, Putin potrebbe aver ordinato di truccare i dati, ma ormai anche gli analisti più diffidenti riconoscono che il tanto atteso fallimento dell’impero del male non è prossimo. Dunque, che si fa? A quanto pare, visto che non si riesce a fare secco lo zar e nemmeno il suo apparato, per ora si stecchisce la pace. E perciò prepariamoci: la guerra va avanti. Con quali conseguenze, in termini di vite umane e di danni economici collaterali (come l’aumento delle bollette)? Nessuno per ora sa dirlo. Insomma, lotta dura con tanta paura.
Leonardo Apache La Russa (Ansa)
Nessuna violenza sessuale, ma un rapporto consenziente». È stata archiviata l’indagine a carico di Leonardo Apache La Russa e l’amico Tommaso Gilardoni, entrambi 24enni, accusati di violenza sessuale da una di ventiduenne (ex compagna di scuola di La Russa jr e che si era risvegliata a casa sua).
Nel riquadro, Howard Thomas Brady (IStock)