2025-05-12
Ragazzi sul filo di lama
Investigatori e inquirenti lo dicono da tempo: «Ci troviamo di fronte a una nuova emergenza». Sono i minorenni che usano armi bianche per risolvere piccoli screzi Movida, scuole, piazze: ogni luogo può diventare un campo di battaglia E aumentano le denunce: a Milano è boom (+300%). Lo scrittore Aurelio Picca: «Tra i duellanti c’era un reciproco riconoscimento, l’agguato era l’eccezione. Ora non ci si rende conto delle azioni.Lo speciale contiene due articoli.Escono di casa con lo smartphone in una tasca e il coltello nell’altra. Ragazzi che dovrebbero essere in classe, in palestra o su un campo da calcio. E invece se ne vanno in giro con lame a scatto e coltellacci a serramanico. Armi bianche nascoste nei pantaloni. E le usano senza esitazione. Per rapinare, per vendicarsi, per non perdere la faccia. O semplicemente per mostrarsi grandi prima del tempo. Non è più un’eccezione. È un’abitudine. I coltelli sono diventati l’accessorio degli adolescenti. La cronaca è zeppa di casi. L’elenco è lungo. E ha un tratto comune: gli aggressori sono quasi sempre minorenni. Uno degli ultimi casi più clamorosi risale al 4 maggio scorso. A Napoli un ragazzo di 15 anni è arrivato in ospedale in codice rosso per le otto coltellate all’addome e agli arti che gli avevano appena rifilato in piazza Dante durante una notte di movida. Una lite tra coetanei, un banale contrasto degenerato in tentato omicidio. L’aggressore, minorenne, è stato fermato la mattina seguente. Ma basta andare indietro per scoprire che non si tratta di un caso isolato. Il 26 aprile, a Genova, un diciassettenne tunisino era in giro di notte con altri connazionali. Aveva già un coltello in tasca. Si aggirava nel centro storico minacciando i passanti. Poi ha individuato la preda: un ragazzo ucraino. Lo ha affrontato e lo ha colpito con un fendente all’addome. Gli ha perforato il fegato. L’intervento chirurgico d’urgenza al Galliera gli ha salvato la vita. L’aggressore è stato fermato dai carabinieri qualche ora dopo. Aveva nascosto il coltello in un vaso e si era rifugiato in discoteca con gli amici. È finito nell’istituto penale minorile di Torino con un’accusa di tentata rapina aggravata e lesioni gravissime. Il 17 aprile, invece, è la tranquilla Potenza a restare scossa per un aggressione: un sedicenne finisce in ospedale con una coltellata dopo una rissa nella centralissima piazza Mario Pagano, proprio davanti alla sede della Prefettura. Il 29 marzo la scena del crimine è a Frascati: un ragazzino ha colpito al petto un coetaneo per una manciata di euro. Aveva venduto dei vestiti a un amico, che però non aveva saldato il debito. I due hanno discusso in piazza Marconi, affollata di adolescenti come ogni sabato sera. Poi è spuntato fuori il coltello. Il fendente ha sfiorato il cuore. Il ferito, 16 anni, è finito al policlinico di Tor Vergata. L’aggressore, quindicenne, è stato arrestato a casa della fidanzata e ha confessato. Solo qualche giorno prima gli inquirenti si occupano di un caso simile: il 6 marzo, a Montesilvano, in Abruzzo, un sedicenne viene colpito sulla Strada Parco. Finisce in ospedale in gravi condizioni. Nessuno ha parlato. L’arma non è stata trovata. Ma gli investigatori non hanno dubbi: ancora una volta si tratta di una lite finita a coltellate. Ed è il secondo caso in 48 ore. A Casalecchio di Reno, nel Bolognese, il 4 marzo due studenti si sono affrontati all’uscita da scuola. Uno ha tirato fuori un paio di forbici e ha colpito l’altro alla spalla. La ferita non era grave. Ma entrambi i ragazzi, uno di origine tunisina e l’altro della Guinea, sono minorenni e vivono in comunità. Anche qui è bastato poco per far scattare la violenza. Il 2 febbraio le sirene delle forze dell’ordine risuonano nella Capitale. L’allarme radio parla subito di un quindicenne accoltellato e rapinato nella zona di Ponte Testaccio. È riuscito a chiamare la madre e a farsi soccorrere. La Procura del Tribunale per i minorenni procede per tentato omicidio e rapina. Il 23 gennaio, sempre a Roma, e sempre al Testaccio, due studenti si incontrano per chiarirsi dopo una discussione avvenuta a scuola. Con loro c’è anche un terzo ragazzo, 17 anni, di origine italo-egiziana. Non era coinvolto nella lite. Ma a un certo punto ha spinto uno dei due a terra e lo ha colpito al collo con una lama. Poi lo ha preso a calci e se n’è andato. È stato rintracciato a casa e collocato in una comunità. L’accusa è di tentato omicidio. Il 29 dicembre 2024, a Campi Bisenzio, in provincia di Firenze, si verifica il caso più grave. Maati Moubakir viene ucciso. Sgozzato. Aveva 17 anni. Era uscito da Certaldo per partecipare a una festa per adolescenti. È stato trovato per strada all’alba, in via dei Tintori, a pochi passi da un supermercato. Coltellate ai fianchi. Il corpo a terra, in una pozza di sangue. Nessuno lo ha visto cadere. Nessuno ha ancora pagato per quella morte. Si cerca tra i partecipanti a una rissa avvenuta poco prima. Cinque, forse sei i coinvolti. Ma nessun arresto. A Cava de’ Tirreni, nel Salernitano, sulle vacanze di Natale cala improvvisamente una cappa: il 26 dicembre un sedicenne pugnala un coetaneo per rancori personali. Lo colpisce vicino al cuore e lo lascia a terra. Poi si rifugia a casa della nonna. Lì nasconde il coltello in una cassaforte. La polizia lo ha rintracciato e arrestato. Una lite in classe finisce nel sangue, invece, a Ferentino, nel frusinate. È il 16 ottobre e un sedicenne viene accoltellato davanti al liceo Martino Filetico. Due giorni dopo si scopre che il sospettato era stato redarguito per atti di bullismo nei confronti delle compagne di classe. I carabinieri preparano un’informativa e segnalano il presunto aggressore per tentato omicidio. Qualche ora dopo scatta un provvedimento giudiziario e finisce agli arresti domiciliari. Da Nord a Sud, cambiano i nomi e le strade. Ma lo schema è lo stesso. Un coltello, un pretesto, un ragazzino. E sangue sull’asfalto. Milano, Roma, Napoli, Genova, Firenze, Salerno. Movida, scuola, piazze. Ogni contesto può diventare un campo di battaglia. Investigatori e inquirenti lo dicono da tempo: «Ci troviamo di fronte a una nuova emergenza». A Milano, alla Procura per i minorenni, hanno un gran da fare. Nel 2024 si sono registrate 24 denunce per tentato omicidio, l’anno precedente erano solo otto. L’aumento: +300 per cento. «In quasi tutti i tentati omicidi», spiega in una relazione del procuratore facente funzioni Sabrina Ditaranto, che La Verità ha potuto consultare, sono stati utilizzati coltelli per attentare alla vita delle vittime; più raramente armi di fortuna, come bottiglie di vetro rotte». Una conferma arriva anche dalla Procura generale di Roma: «Sono indubbiamente in aumento i reati commessi da soggetti minorenni (anche non imputabili) con il ricorso a grave violenza fisica e con l’uso di coltelli, sempre più di frequente rinvenuti nel corso delle perquisizioni». Ogni zaino un’arma. Ogni lite un alto rischio.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ragazzi-sul-filo-di-lama-2671932728.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="una-volta-i-violenti-avevano-delle-regole-oggi-sono-perversi" data-post-id="2671932728" data-published-at="1747034229" data-use-pagination="False"> «Una volta i violenti avevano delle regole. Oggi sono perversi» «Quando ero ragazzo io, negli anni Settanta, ma direi ancora fino quando il mondo non si è definitivamente globalizzato, quindi intorno alla metà degli anni Novanta, non credo ci fosse meno violenza giovanile di quanta ve ne sia attualmente. Aveva però una qualità diversa». Aurelio Picca, nato 68 anni fa a Velletri, cittadina nei pressi dei Castelli romani, è uno scrittore che nei suoi romanzi si è occupato molto di violenza, basti pensare a Il più grande criminale di Roma è stato amico mio, uscito nel 2020 per Bompiani, in cui si racconta l’apprendistato delinquenziale di un giovane che sceglie come propria guida e punto di riferimento Laudovino De Sanctis, detto Lallo lo zoppo, uno dei banditi più feroci (è morto in carcere a Torino, non ancora settantenne, nel 2004) nella storia criminale di Roma. «Bullismo e prepotenza erano pane quotidiano già allora, ci mancherebbe», prosegue Picca, «ma costituivano un qualcosa rispetto a cui, tutti quanti, si era maggiormente preparati: come se si trattasse di una prova da affrontare -e possibilmente superare - per diventare grandi, per maturare».Lei l’ha sperimentata anche direttamente, da giovane, la violenza?«Certo, ma ribadisco che vivere la violenza, allora, non significava necessariamente subirla o attuarla su di un piano fisico. Questo, anzi, avveniva abbastanza di rado. Ricordo che una volta, avrò avuto 16 anni, un tizio che faceva il musicista e girava a bordo di una moto Kawasaki 750 aveva preso a infastidire la mia ragazza dell’epoca. Io sono andato da lui e, a brutto muso, gli ho detto che doveva farla finita. Lì potevano succedere due cose: una è che mi gonfiasse di botte; l’altra, quella che è effettivamente capitata, è che percepisse una mia qualche “autorevolezza” in grado di disinnescare il suo machismo da bulletto. E questo è stato possibile perché il tipo mi ha avvertito come un suo “simile”: ossia c’era tra di noi, pur con tutto quello che ci distingueva, un codice comune, una possibilità di comunicazione».Una sorta di reciproco riconoscimento. «Proprio così. Ed era sottintesa l’idea che fra di noi potesse e dovesse svolgersi un duello, per quanto sublimato. Se si ragiona nei termini del duello, della sfida, è implicito che vengano accettate - e pertanto che si rispettino -delle regole. Regole che, in qualche modo, hanno a che fare con il concetto di onore. Mettendo da parte certe degenerazioni che si verificavano quando subentrava l’alibi della politica, la modalità dell’agguato - specie se attuato da più persone - era sostanzialmente inconcepibile, diversamente da oggi. C’è poi un’altra differenza rilevante». Quale? «La violenza era modellata anche da un rapporto che vorrei definire “muscolare” con la realtà. Ma, attenzione, parlo dei muscoli di chi non poteva esimersi dal mettere la fatica al centro della propria vita, come i macellai o i garzoni di bottega. Il fatto che una quota spesso non piccola di violenza fosse presente nel lavoro, consentiva una valida gestione e un controllo della propria forza e del proprio corpo. Pensiamo alla diversità dei fisici degli atleti di 50 o 40 anni fa rispetto a quelli odierni: dei calciatori, per esempio. Oggi i muscoli si sviluppano in palestra, facendo i pesi e magari con l’ausilio di estrogeni o altro, per cui la verità profonda della violenza e di tutto ciò che essa comporta è come evaporata. Un ragazzo che lavorava in una macelleria non si vedeva mica arrivare i quarti delle bestie già sezionati industrialmente, doveva compiere una violenza sulla carcassa dell’animale e per farlo doveva ricorrere, in modo sapiente, alle sue energie fisiche naturali. La mutazione fondamentale è stata proprio questa: il passaggio da una violenza per così dire naturale a una “perversa”, in quanto irreale».I ragazzi che oggi aggrediscono un coetaneo, talvolta fino a ucciderlo, non sarebbero dunque in grado di rendersi conto di quello che le loro azioni possono produrre. «Precisamente. E la provenienza dei ragazzi non ha secondo me un grande peso: è chiaro che in ogni città vi sono zone più problematiche di altre, ma quest’attitudine alla violenza inconsapevole è trasversale e può riguardare tanto chi vive in periferia quanto chi vive nel cosiddetto centro. La distinzione fra centro e periferia, peraltro, ha perso quasi del tutto di significato, nel senso che da un punto di vista sociale - aspirazioni, gusti, modelli, comportamenti - centro e periferia si somigliano ormai in maniera impressionante, sono pressoché intercambiabili».
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Nel libro postumo Nobody’s Girl, Virginia Giuffre descrive la rete di abusi orchestrata da Jeffrey Epstein e Ghislaine Maxwell e ripercorre gli incontri sessuali con il principe Andrea, confermando accuse già oggetto di cause e accordi extragiudiziali.