2025-10-24
«Il mio anno in mano all’Anonima Sarda»
Giuseppe Vinci, rapito nel 1994, figlio del titolare di una catena di supermarket restò prigioniero 310 giorni: «I carcerieri erano miei conterranei e la sera uno mi parlava per un quarto d’ora. In catene avevo un incubo: mi liberavano per il weekend “però lunedì torni qua”».Tra il 1994 e il 1995, all’età di poco più di 30 anni, Giuseppe Vinci attraversò una spaventosa esperienza. La sua famiglia era titolare di una nota catena di supermarket, attivi in Sardegna, i supermercati Vinci. Una sera di dicembre del 1994 fu rapito dall’Anonima Sequestri sarda e poi tenuto prigioniero, in condizioni estreme, per 310 giorni. Fu uno dei sequestri di persona a scopo di estorsione più lunghi in Italia. Quell’amara storia è ora il tema di un docufilm di Stefano Odoardi, Storia di un riscatto, che uscirà, partendo dalla Sardegna, nelle sale italiane dal 15 ottobre 2025. Vinci, oggi sessantaduenne, ne è, con altri attori, il protagonista, interpretando sia la parte di sé stesso sia quella del padre Lucio, che si occupò della delicata trattativa con i sequestratori. Partecipa in prima persona al film. «È un film con alcune scene di repertorio, quelle tratte da alcuni documenti della Rai, come la liberazione, i carabinieri, la gente in piazza, eccetera. In alcune scene vado negli archivi del Comune chiedendo di poter visionare alcuni giornali con le cronache dell’epoca». Ricordiamo le date di rapimento e liberazione?«Il 9 dicembre 1994 e la liberazione 15 ottobre 1995».Temeva di poter essere rapito?«Sempre». In quali circostanze si verificò il suo sequestro?«Lavoravo a Oristano, dove c’era un ipermercato della famiglia. Abitavo però a Macomer, in provincia di Nuoro. Verso le 21, stavo rientrando a casa in macchina e mi bloccarono a un incrocio della statale verso Macomer. Mi prelevarono e mi portarono via».La incappucciarono?«M’incappucciarono e mi misero le manette con le braccia dietro la schiena». Poteva percepire quanti fossero i rapitori?«Penso che fossero almeno in quattro. In macchina erano in tre».Quanti supermarket comprendeva la vostra catena? «Circa una quindicina di proprietà più gli affiliati che vi facevano riferimento».Il viaggio in macchina fu lungo?«Il viaggio fu abbastanza breve, venti minuti».Dove si ritrovò?«In un piccolo locale con pavimento in legno, una specie di palafitta, all’aperto, sentivo le persone che parlavano. Era vicino a una strada con auto che passavano molto veloci».La tennero legato e bendato?«Nella prima prigione ero legato a una catena e incappucciato».Poi la trasferirono in un altro luogo?«Il 21 dicembre mi dissero «dobbiamo andare via». Mi caricarono in auto. Il viaggio fu più lungo. Mi portarono in un rustico, mai individuato, secondo me molto vicino a un paese, non so quale».Nelle due fasi del sequestro come fu trattato? «Nella seconda fase ero chiuso in un loculo. Non mi potevo muovere. Non c’era bisogno di legarmi. Diciamo che non usavano violenza fisica nei miei confronti ma trattamento terribile».È vero che le mettevano cuffiette con musica dentro?«Sempre».Anche di notte? Come faceva a dormire?«E come potevo? Anche di notte, per un mese. Poi chiesi di poter spegnere la musica la notte e a un certo punto la accendevano alle 6 del mattino e la spegnevano dopocena».Una tortura. Viene in mente Ipcress, con Michael Caine. Da impazzire. «E infatti sono un po’ matto».Che musica c’era nelle cuffiette?«Fabrizio De Andrè, Rod Stewart, Phil Collins, Frankies goes to Hollywood, Eros Ramazzotti, erano cinque cassette». Per alimentarsi?«Un po’ di latte con brioches o pane carasau la mattina, pasta o carne a pranzo e la sera un piatto con del tonno o una Simmenthal e del formaggio, della frutta, due arance».Aveva possibilità di radersi?«Una volta a settimana». Poteva parlare con i suoi aguzzini?«Quando una persona ritirava gli avanzi si fermava alle mie spalle e per 15-20 minuti parlava un po’ con me perché ero sempre lì al buio».Come fu chiesto il riscatto?«Dopo due mesi mi dettarono una lettera in cui chiedevano alla mia famiglia di preparare 10 miliardi di lire».E il prosieguo della trattativa?«Il blocco dei beni (legge 82/1991, ndr.) determinò una situazione particolare, anche l’impossibilità di prelevare i soldi dagli incassi dei supermercati. In ognuno di essi c’erano due rappresentanti delle forze dell’ordine che controllavano tutto, uscite ed entrate. La mia famiglia era sotto controllo e intercettata. Mio padre, mio fratello, mio zio erano perennemente pedinati».Se le famiglie non pagavano l’ostaggio rischiava la vita…«Certo». Scendendo nel dettaglio? «C’erano persone che andavano a incontri stabiliti secondo certi criteri e in certi luoghi. La famiglia partì da una cifra più bassa e poi si misero in mezzo diverse persone tra emissari reali e sciacalli. La cosa fu lunga fino a quando si trovò una persona che poteva avere la fiducia della famiglia e anche di chi c’era dall’altra parte. A quel punto la questione, in un modo un po’ rocambolesco e complicato, si risolse».Fu suo padre a consegnare il denaro?«Sì, mio padre, che c’è ancora, ha 88 anni. All’epoca vivevo con mia moglie e mio figlio, oggi ho due figli e vivo a Cagliari».Come si faceva a essere certi che il pagamento del riscatto, 4 miliardi 250 milioni di lire, corrispondesse alla sua liberazione? «Mio padre disse che non si fidava. Qualcuno si tolse il cappuccio, si fece riconoscere e diede garanzie del mio ritorno a casa. Era una persona che aveva dei figli e fece da garante».E le modalità del suo rilascio? «Il riscatto era stato pagato, mi dissero che sarei stato liberato. Passarono un giorno e una notte. Mi narcotizzarono facendomi bere un etere, mi svegliai in una macchina, stavo male, vomitai. Poi mi fecero scendere. Camminammo per due notti sempre con cappuccio e musica. Mi tenevano in due, uno per un braccio e uno per un altro. La seconda notte mi lasciarono in un anfratto di granito nella zona dell’Ogliastra».Da solo pertanto.«Sì, dicendomi che sarebbe venuto mio padre a prendermi. Ma non arrivava. Alle 4 del pomeriggio fermai un pullman che mi accompagnò a Tortolì e poi suonai il campanello della caserma dei Carabinieri, mi feci riconoscere e poi mi accompagnarono nella caserma di Nuoro e da lì rividi i miei familiari».Tornato a casa, come si riprese?«Per un periodo rimasi a casa di mia mamma. Non tornai subito al lavoro ma dopo un po’ ripresi a lavorare come prima. Ma ci fu una serie di episodi e vicende per cui tutto cominciò a cambiare». Innanzitutto aveva la vita salva. «In meglio per me ma per il pagamento del riscatto si dovettero versare le tasse sulla cifra prelevata, che risultava in bilancio - chiedemmo allo Stato una dilazione, ma non fu concessa - gli interessi delle banche divennero insostenibili e poi si cercò di fare qualche accordo nazionale per proseguire ma le cose non andarono bene…».Qual è stato il destino della catena?«Gli affiliati passarono ad altre mani. Dei supermercati tenemmo gli immobili, poi affittati a varie catene, in questo momento a Conad».Giuseppe, di cosa si occupa ora? «Adesso ho un ristorante a Cagliari da 15 anni che si chiama Sa Piola». Che strascichi ha lasciato nella sua vita questo accadimento?«Vita molto cambiata, la mia famiglia è comunque un’altra cosa, il rimpianto di non sapere cosa sarebbe stato con il prosieguo dell’attività, perché quando ci fu il sequestro era un momento di grande ottimismo e forte sviluppo. È una rabbia attutita dal tempo ma che resta lì». Le è capitato di fare sogni legati a questo trauma?«Ho fatto per tanti mesi un sogno, ora non più. Era quello di ricevere la visita di uno dei banditi che mi diceva “Giuseppe, vai a casa per il fine settimana, ma ricordati che lunedì devi tornare qui”. Era estate, raggiungevo la mia casa, dove c’erano tutti. Entravo ma tutti facevano finta di niente, come se non ci fossi. Poi andavamo a fare il bagno nel mare con loro ma era sempre come non ci fossi. Molto angosciante. Poi a un certo punto del sogno mi rendevo conto che i banditi mi avevano detto di tornare il lunedì, ma senza dirmi dove. E lì ancora angoscia. E qui il sogno finiva». Che ne è stato dei sequestratori?«La notte del mio rilascio il magistrato emise mandati d’arresto per sei persone nella Barbagia. Un paese fu circondato e ci furono arresti, presumibilmente dei mandanti. I carcerieri non vennero mai individuati. Alcune persone furono processate e nel frattempo c’era stato un alto sequestro, quello di Ferruccio Checchi, titolare di un albergo nel Nuorese. Secondo le forze dell’ordine era la stessa banda che aveva sequestrato me. Furono condannati a 30 anni per il sequestro di Ferruccio Checchi ma per il mio vennero assolte per non aver commesso il fatto». Hanno scontato la pena?«Ho sentito dire che abbiano fatto tipo 28 anni, siano usciti da poco e che qualcuno sia stato riarrestato per qualche altro reato che forse ha che fare con stupefacenti, armi. Ma, ripeto, non ne sono certo».I suoi carcerieri erano sardi?«Tutti sardi». Banda e mandanti come possono essersi diviso il riscatto? «Dalle intercettazioni emerse in tribunale, 500 milioni a ognuno dei carcerieri e il resto ai mandanti. Di cosa ne abbiano fatto proprio non…».De André si sforzò di comprendere i rapitori. Lei cosa prova nei loro confronti? «Non provo niente, non gli direi niente. C’è stato un periodo in cui se mi avessero detto “questi sono i banditi”, mi avessero dato un mitra l’avrei usato».Dallo Stato qualche segno di vicinanza? «No, lo Stato ha tentato in tutti i modi che non avvenisse il pagamento del riscatto. Il magistrato mi disse “a un certo punto decidemmo di non fare più niente perché non fummo capaci di trovarla e liberarla”». Qual è il messaggio del film? «Il messaggio è di consegnare le vicissitudini di questa vicenda al pubblico, alla gente, la condivisione più totale, una sorta di catarsi e liberazione. Quel che rimane è l’emozione per la solidarietà delle persone che furono capaci di fare gesti e avere parole positive».
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Nel libro postumo Nobody’s Girl, Virginia Giuffre descrive la rete di abusi orchestrata da Jeffrey Epstein e Ghislaine Maxwell e ripercorre gli incontri sessuali con il principe Andrea, confermando accuse già oggetto di cause e accordi extragiudiziali.
«It – Welcome to Derry» (Sky)
Lo scrittore elogia il prequel dei film It, in arrivo su Sky il 27 ottobre. Ambientata nel 1962, la serie dei fratelli Muschietti esplora le origini del terrore a Derry, tra paranoia, paura collettiva e l’ombra del pagliaccio Bob Gray.