2024-07-24
«Radiosa», «giovane» «da record»: Kamala già santa sui giornali
Kamala Harris (Getty Images)
La stampa italiana in estasi per la Harris. Panegirico di Gianni Riotta: «Come nelle Cronache di Narnia, è in lotta con la tirannia».Joe Biden si è ritirato domenica, ma sono già «tutti pazzi» per Kamala Harris (Repubblica). I divi di Hollywood, la popstar che l’ha incoronata «candidata dei giovani» e in modo particolare i benpensanti d’Italia, dove la sinistra è abituata a vincere le elezioni estere.I nostri giornali stanno stampando i santini. Hanno ritrovato la trasognata devozione esibita ai tempi di Mario Draghi premier. Hanno subito approfittato dei simboli della Harris - il cocco e il verde acido - per ricominciare a «respirare dopo la mestizia delle ultime settimane in cui si è parlato soltanto di malattie senili» (Il Foglio). Allora, c’è chi spalanca i polmoni e chi tira fuori la lingua. Gianni Riotta la intinge nel calamaio e descrive, estasiato, la biblioteca della possibile futura presidente.Lei si ispira alle Cronache di Narnia per «la sua lotta contro la tirannia». Che poi sarebbe quella strana bestia chiamata votazioni - ma alle urne potrebbe spuntarla il puzzone col cerotto all’orecchio, lui e JD Vance sono «due imbroglioni» e «se vincessero sarebbe spaventoso» (Stephen Markley sulla Stampa). L’Unità freme: «Fermati i piani eversivi di Trump?». Meno male che bisognava abbassare i toni, perché altrimenti si fomenta la violenza politica; invece i progressisti ringalluzziti hanno rispolverato lo scontro epico tra giusto e sbagliato, la «profezia» sul «dolore che sparirà», sulla fine dell’inverno e la fuga dei malviventi. Quelli che Kamala, il «loto» in lingua sanscrita, da procuratrice in California «ha combattuto con tanta determinazione da esser detestata dalla sinistra militante», ricorda Riotta.Per capire chi è la sfidante di Donald Trump, però, non bisogna partire «dal fiore gentile», spiega l’editorialista, bensì da Paura di Richard Wright: è «straordinario» che la Harris lo consideri il suo testo preferito, «un libro in cui bianchi e neri si odiano brutali e la giustizia è crudele». Toni bassi, appunto: lorsignori non sono mica della stessa risma degli sciamani, i fan del Duce in cravatta rossa che assaltavano il Campidoglio. Ancora qualche mese di pazienza e poi l’esperto di America potrà esclamare, tipo il geometra Calboni di Fantozzi: «È una bella direttrice!». Si riscopre entusiasta, in visibilio, sulla Stampa, Maria Laura Rodotà. La sua è una lode alla «brat», la «ragazzaccia» che «non vuole cambiare cose di sé per piacere ai maschi bianchi eterosessuali». Alla fine, la campagna contro di lei non potrà che essere condotta a furia di «notizie false», «teorie complottiste», «insulti razzisti» e «sessisti». L’antifona è chiarissima: chi si permetterà di obiettare è un suprematista maschilista. Com’è, quindi, Kamala Harris, oltre che intoccabile e incriticabile? Prima è stata «fondamentale», poi è diventata «necessaria». È «giovane», «sorridente», «rilassante». Sembra quasi che sarebbe capace di rifilarti un folletto, oppure la famigerata auto usata. In ogni caso, non faticherebbe a tampinarti tipo impiegata dei call center. Dopo la rinuncia del presidente, «ha fatto oltre 100 telefonate e Zoom con leader del partito»: il sobrio Riotta si esercita per quando narrerà che la «magistrata» e «ministra» sa trasformare l’acqua in vino. «Ha fatto furore nelle sedute in diretta in cui interrogava i giudici della Corte Suprema», insiste la Rodotà. Adesso, di nuovo, «sta sparigliando». «Saluta la gravitas aggravata di Joe Biden», il veterano eroe dei colletti blu che all’improvviso, da eroe della remuntada su Trump, è diventato un vecchio rimbecillito. Harris, a differenza del suo principale ormai decotto, ha il talento di perdonarsi «le gaffe peggiori». A una così, viene spontaneo condonare tutto. Compresi quei momenti in cui, da paladina dei diritti delle minoranze, «maltrattava lo staff».All’epoca delle primarie 2020 era «in grande spolvero». Ora, appare «radiosa in abito blu», una «vice da record - prima donna, prima nera, prima asiatica, prima di origini indiane e pure seconda biracial» (Repubblica). Vanta nientemeno che una brillante «figlia del marito», ovviamente anche lui uomo da guinness: «primo partner maschio di un vicepresidente, primo di fede ebraica», magari «primo “first gentleman” della storia». Anzi, della Storia, perché Kamala fa quella con la esse maiuscola. Mentre Ella, la venticinquenne nata dal consorte Doug, è una modella, una stilista, una sostenitrice della transizione di genere; peccato solo abbia finanziato l’Unrwa, l’agenzia Onu cui Israele rinfaccia la contiguità con Hamas.Kamala dev’essere campionessa di situazioni lapalissiane, a leggere l’ovvietà della Stampa: è «stimata da molti ma non da tutti». Incredibile, eh? Se non fosse donna sarebbe uomo, verrebbe da aggiungere, ma non è proprio sicuro: chi oserebbe affermare, al cospetto della beniamina degli attivisti arcobaleno, che esistono solo due generi?La Harris è incontenibile, dotata dell’«armoniosa capacità di riprendersi dopo sconfitte e figuracce e guai». Invincibile, lesta a reinventarsi, immancabilmente «con risultati strepitosi». Fossimo al cinegiornale dell’Istituto Luce, ci racconterebbero del suo «allenamento fisico sulla terra, nel cielo e sul mare». Certo, sui quotidiani, tra le pieghe della venerazione, qualche piccolo dubbio serpeggia. Kamala ha «la strada in salita», teme Il Foglio. È «vulnerabile» su economia e immigrazione, segnala Repubblica. È stata scelta «in assenza di meglio», commenta caustico Il Fatto. Sul Correre della Sera, il politologo Yascha Mounk dà adito a un sospetto: «L’entusiasmo sui social è un po’ superiore a quello reale». Toh... Ma tanto i giornali hanno smesso di occuparsi della realtà.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)