2019-11-04
«Noi, popolo 5 stelle
ora temiamo di sparire»
Dopo la disfatta in Umbria, sindaci e consiglieri del Movimento raccontano il loro disagio. Il referto è unanime: «Mai più a braccetto con la sinistra». I meetup stanno scomparendo: «Noi ininfluenti su Rousseau». La base protesta: «L'accordo con il Pd? Siamo diventati quello che combattevamo». I gruppi di attivisti ridotti all'osso: dimenticati dai dirigenti, si spostano su Facebook. «Ho sconfitto i rossi dopo 70 anni e Grillo non ha mai voluto vedermi». Parla il sindaco di Imola Manuela Sangiorgi, che si è dimessa in polemica con i vertici pentastellati: «I dem erano il partito di Bibbiano e oggi stiamo al governo con loro? Il risultato è questa manovra tutta tasse. Siamo finiti con i poteri forti. Ma io non chino la testa». Lo speciale comprende tre articoli. «Alleati con il Pd? Mai più»; «Chi glielo va a spiegare ai nostri elettori che per una decisione dei vertici di Roma, ora dobbiamo andare a braccetto con chi fino a ieri abbiamo contrastato»; «Già l'alleanza di governo è stata mal digerita, ma con molti mal di pancia ci siamo passati sopra in nome di alcuni obiettivi raggiunti… Però sul territorio è un'altra cosa», «Attendiamo risposte dal gruppo dirigente di Roma, le elezioni sono alle porte e non sappiamo cosa fare», «Il Movimento va riformato, bisogna tornare ai valori fondativi»; «Meglio correre da soli e magari non farcela piuttosto che matrimoni contro natura». Sono queste le voci che si levano dalla base dei 5 stelle. Consiglieri comunali, regionali, sindaci di Comuni grandi o con poche migliaia di abitanti, convergono tutti su un punto: l'esperimento dell'Umbria non si può ripetere. L'esito elettorale ha aperto una discussione all'interno del Movimento che si è concretizzato in un documento noto come Carta di Firenze, attorno al quale stanno convergendo rappresentanti territoriali ma anche ignoti militanti, che chiedono un ripensamento della struttura del Movimento in chiave «democratica», un maggior coinvolgimento della base e soprattutto messaggi chiari sulle strategie politiche. Anche perché altre tornate elettorali sono alle porte. E la confusione sulla direzione da prendere regna sovrana. Nella città di Trento, da sempre in mano alla sinistra, i 5 stelle sono riusciti a conquistare, nel 2015, il 9% e tre consiglieri. «A maggio 2020 ci sono le elezioni ma noi non abbiamo avuto ancora indicazioni dallo staff dirigenziale di Roma su come muoverci. Abbiamo abboccamenti da destra, da sinistra e dalle liste civiche ma finora non ci siamo mossi. Gli altri partiti si stanno organizzando, noi siamo bloccati», afferma Paolo Negroni, consigliere comunale. Di alleanza con i dem non ne vuol sentir parlare. «Per cinque anni siamo stati alternativi alla sinistra, l'abbiamo combattuta, sarebbe difficile spiegare agli elettori un cambio di marcia. La soluzione? Un accordo con le liste civiche ma stando attenti che non siano fasulle e nascondano ex rappresentanti dei vecchi partiti. La scorsa estate abbiamo inviato una lettera a Roma chiedendo come posizionarci, ma stiamo ancora aspettando. A ogni elezione cambiamo le regole e siamo disorientati. Abbiamo anche chiesto di fare una votazione sulla piattaforma Rousseau per raccogliere i pareri del territorio, ma non abbiamo avuto risposta». Poi dice fuori dai denti che «se i vertici imporranno un'alleanza, il risultato sarebbe disastroso. Non so quanti rimarrebbero nel Movimento». Il problema primario è la lontananza tra la base e Roma, quel Palazzo che i fondatori dei 5 stelle avevano demonizzato. «Manca l'ascolto a livello nazionale degli organi territoriali. Ci sentiamo abbandonati a noi stessi». L'Emilia Romagna è il prossimo test elettorale per il M5s. A Imola, dopo le dimissioni del sindaco Manuela Sangiorgi, che aveva espugnato dopo 70 anni un feudo rosso, la base è in fermento. Il capogruppo del Movimento in consiglio comunale, Andrea Cerulli, fa da megafono al malessere dei militanti. «Se nasci come partito antisistema non puoi fare alleanze con il sistema, se nasci dal basso, dal popolo, non si può andare a braccetto con chi ha dietro i poteri forti. Bisogna essere coerenti con i propri valori e non aver paura del voto». Allora quale strada? «Bisognerebbe tornare al voto anche a livello nazionale e andare da soli. Il rischio è di farci fagocitare dal Pd». E racconta la sua esperienza: «L'ho visto in consiglio comunale come si muove la sinistra. È camaleontica, pronta a fare accordi con chiunque pur di conservare le poltrone». Nelle Marche l'orma della sinistra, con la giunta guidata da Luca Ceriscioli, è profonda. Ma la gestione della ricostruzione post terremoto e le problematiche legate alla sanità hanno fatto esplodere il malcontento. A Fabriano il sindaco Gabriele Santarelli non le manda a dire. «Preferisco stare cinque anni all'opposizione, come la sappiamo fare noi, piuttosto che vincere abbracciati al Pd e non riuscire a fare quello che dobbiamo fare». Poi rivela le manovre di un inciucio. «Alcuni nel Pd, insieme al nostro capogruppo in Regione, si stanno muovendo, in vista del voto nel 2020, per promuovere un accordo simile a quello in Umbria con un candidato civico appoggiato da due liste». E batte l'accento sulle riforme del sistema sanitario locale, «a colpi di tagli dei posti letto, riduzione del personale a tutto vantaggio delle strutture private, e lo svuotamento delle strutture nell'entroterra». E avverte: «In caso di alleanze con il Pd io mi tiro indietro». Accordo con la società civile o percorso solitario, è l'opzione che vede possibile anche Romina Pergolesi, consigliere regionale Marche. «Bisogna tornare allo spirito originario, ascoltare i territori. Bisogna incontrarci più spesso approfondendo le tematiche, serve più dialogo». Nel piccolo Comune di Castel di Lama, nell'Ascolano, il sindaco Mauro Bochicchio spiega perché «il rapporto tra M5s e Pd nelle Marche sarebbe difficilmente comprensibile da parte dell'elettorato». Ricorda il progetto dell'ospedale unico fortemente voluto dal governatore Ceriscioli, che «priverebbe i due Comuni più popolosi, Ascoli e San Benedetto, di una loro struttura ospedaliera con tutti i disagi conseguenti per gli spostamenti». Anche il sindaco di Castelfidardo, provincia di Ancona, Roberto Ascani, ritiene che «la gestione Ceriscioli della sanità abbia scavato un solco incolmabile con i 5 stelle» e reso impossibile qualsiasi accordo elettorale. «Non abbiamo ricevuto alcuna indicazione dai vertici del Movimento e penso voglia dire che andiamo da soli». Nel Lazio, il consigliere regionale pentastellato, Davide Barillari, non usa tante diplomazie. «Abbiamo vissuto l'alleanza nazionale con il Pd con particolare sensibilità, dal momento che il segretario dem, Nicola Zingaretti, è anche presidente della Regione. L'esperienza diretta con la sinistra ci fa dire che sarebbe un abbraccio dannoso e mortale per il Movimento. Non possiamo comportarci, a livello territoriale, in un modo su alcuni temi come gli inceneritori e la Tav e poi sul piano nazionale agire diversamente». Barillari tira il sasso: «Il dialogo con il Pd è pericoloso. È un partito che ha ramificazioni ovunque, nella stampa, nella magistratura, negli enti. Noi e il Pd parliamo lingue diverse. Prendiamo la sanità. Dietro i loro discorsi si vede che i loro interessi sono la spartizione delle Asl, le nomine, non i cittadini, le liste d'attesa. Il confronto è complicato, abbiamo obiettivi diversi». Simone Sollazzo, consigliere del comune di Milano, batte il tasto sul recupero dell'identità politica. «Bisogna tornare ai nostri valori, definire un progetto politico chiaro e allora possiamo anche correre da soli o sederci al tavolo e imporre la nostra linea». E rilancia: «Va ridata centralità agli attivisti». In Veneto nessun dubbio. Erika Baldin, presidente del gruppo M5s in consiglio regionale, è tranchant: «Ogni alleanza con il Pd è esclusa, invece porte aperte alla società civile. A livello nazionale è diverso perché non avendo il 51% abbiamo bisogno di unirci ad altre forze. L'importante è raggiungere i nostri obiettivi. Se questa alleanza fallirà lo decideremo tra tre anni. Non si può andare ad elezioni dopo tre mesi». A Vigonovo (Venezia), 10.000 abitanti, il sindaco Andrea Danieletto ribadisce che in Veneto «non ci sono le condizioni per un accordo con il Pd» e mette in guardia dal rischio di liste civiche «camuffate». Per Roberto Castiglion, sindaco di Sarego, provincia di Vicenza, il Movimento «dovrebbe correre da solo. Abbiamo carte da giocarci. Stiamo portando avanti una battaglia contro l'inquinamento delle falde acquifere. La gente è con noi, non capirebbe un cambio di passo». Insomma, la panoramica è chiara: la classe dirigente che con fatica il M5s ha costruito sui territori è delusa. Non si fida della sinistra, ritiene che quello con il Pd sia stato un abbraccio mortale. Soffre e rimpiange lo spirito delle origini. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/radiografia-dei-5-stelle-2641206824.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="i-meetup-stanno-sparendo-noi-ininfluenti-su-rousseau" data-post-id="2641206824" data-published-at="1758220703" data-use-pagination="False"> I meetup stanno sparendo: «Noi ininfluenti su Rousseau» Inascoltati a Roma e ormai svuotati di presenze, i meetup degli «Amici di Grillo», le piazze virtuali in cui si è sviluppato il Movimento a partire dal 2005, sono stati abbandonati a favore dei social o perché i gruppi hanno cessato di funzionare. Nacquero quando la pressione dei commenti sul blog del leader era diventata ingestibile; il comico genovese dichiarò di averli mutuati dal democratico americano Howard Dean, che nel 2004 si servì della piattaforma per promuovere la partecipazione dal basso durante la sua campagna elettorale. Dovevano favorire le discussioni online, l'impegno sul territorio in tematiche di interesse comune, erano utili per organizzare riunioni. Sul sito si legge che i meetup oggi sono 583, con 114.481 membri. I numeri cambiano e calano ogni giorno «ma non sono ufficiali. Moltissimi “Amici di Beppe Grillo" non esistono più da un paio d'anni», sostiene Davide G. Porro, attivista nell'Alto Milanese. «I gruppi preferiscono incontrarsi su pagine Facebook, hanno aperto un loro forum o si sono estinti. Gli attivisti, non più di 9.000 in tutto il Paese, vivono il Movimento in prima persona, ci mettono la faccia nell'impegno locale, ma il 70% è scontento della gestione pentastellata perché sulla piattaforma Rousseau, con 117.000 iscritti, loro rappresentano una minoranza. Quando le decisioni vengono votate a livello nazionale, non hanno possibilità di farsi sentire». Il malcontento diffuso per battaglie storiche abbandonate o contraddette, quali «la Gronda di Genova, il passante di Bologna, o il quadruplicamento della linea ferroviaria Rho-Gallarate, che hanno ottenuto il via libera da Roma, sconfessano la linea dei 5 stelle», aggiunge Porro. «I meetup non esistono più. In città abbiamo i gruppi circoscrizionali, i gruppi tematici che lavorano su problemi del territorio», conferma Davide Carretto, consigliere comunale del M5s a Torino. «La partecipazione degli attivisti? A Torino saranno circa 300, ma senza una tessera è difficile contarli. Gli iscritti alla piattaforma sono poco più di 2.000. Se dobbiamo parlare di alleanza con il Pd, i problemi li abbiamo a livello locale perché ci sono troppe divergenze tra noi e i dem. La gestione condivisa sarebbe impossibile, per differenza di impostazione storica. Quello che facciamo come 5 stelle a loro non va bene». Subito dopo la formazione del governo giallorosso, nel gruppo Facebook del M5s Acerra, l'attivista Francesco Imbaldi pubblicava questo post: «Ministri senza portafoglio a noi, e al Pd i ministri dell'Economia, quei ministeri che indirizzano la politica, quei dicasteri che sono l'essenza della politica stessa. Hanno già preso il dominio. Giuseppe Conte poi gioca per sé stesso... Speriamo bene, comunque se la Lega ci aveva dimezzato speriamo che questi non ci cancellano». Per Marco Cardillo, consigliere comunale a Cornaredo, in provincia di Milano, la colpa dei 5 stelle al governo «è che si sono estraniati dalla realtà del territorio. Bisogna tornare a parlare di temi che stanno a cuore ai cittadini, altro che far votare sì o no». Contrario all'alleanza con il Pd, «siamo corpi estranei che non possono coincidere» e tra i sostenitori della Carta di Firenze, Cardillo dichiara di «non aver voluto nemmeno l'alleanza con la Lega, comunque forza populista e con punti in comune con noi. I leghisti dovevano fare un governo di centrodestra e i 5 stelle stare all'opposizione, forti di oltre il 32% dei voti degli italiani alle politiche del 2018». Stefano Rallo, storico attivista del M5s di Marsala, nel 2017 si era candidato alle regionali in Sicilia. Arrivò secondo per numero di preferenze nella città siciliana, la presidenza andò al centrodestra ma quello pentastellato risultò il primo partito dell'isola, con il 26,7% dei suffragi. Per la sinistra fu un tonfo. Lo scorso 12 settembre, con un post su Facebook, Rallo annunciava che si era concluso l'iter della sua cancellazione dal Movimento. «Me ne sono andato subito dopo aver votato “no" all'accordo con il Pd per formare un nuovo governo. Siamo diventati quello che non volevamo», commenta amaro. Dieci anni fa aveva accolto con entusiasmo la nascita della creatura politica di Grillo, seguendo da informatico la crescita dei meetup. «Funzionavano, agivamo da tramite tra le esigenze dei cittadini e i referenti regionali, nazionali, europei. Poi, con la scelta del capo politico, il Movimento è diventato verticistico, i portavoce sono diventati deputati e senatori, non hanno ascoltato più le richieste della base. Non ce l'ho con Luigi Di Maio, ma “l'uno vale uno" non vale più. Abbiamo fatto lo stesso errore del Pd che ha perso il contatto con il territorio e ne paga le conseguenze». Rallo condanna «l'utilizzo della piattaforma Rousseau per fare pressione sui fan. Una propaganda, a partire dal video di Grillo, che il Movimento mai si era permesso di fare prima. Sarà per questo che in Sicilia pochissimi hanno risposto con un sì all'accordo con i dem». Conclude: «Beppe Grillo decida se vuole fare il segretario del Pd, non mescoli il Movimento con il Pd o con la Lega. Solo tornando alle origini i 5 stelle possono riacquisire quello che hanno perso». Sul gruppo Fb del M5s Emilia Romagna, Nicola Liuzzi commenta: «Io adesso non so cosa hanno in mente i nostri strateghi politici che vanno da Beppe Grillo a Davide Casaleggio, visto che hanno voluto questa accelerazione di trasformazione del movimento. Mi pongo delle domande. Beppe l'elevato ha deciso di uccidere la propria creatura, cioè tutti noi, per rimanere nella storia da elevato come quando un campione di calcio abbandona il calcio a fine carriera a testa alta?». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/radiografia-dei-5-stelle-2641206824.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="ho-sconfitto-i-rossi-dopo-70-anni-e-grillo-non-ha-mai-voluto-vedermi" data-post-id="2641206824" data-published-at="1758220703" data-use-pagination="False"> «Ho sconfitto i rossi dopo 70 anni e Grillo non ha mai voluto vedermi» «Ho toccato con mano cosa vuol dire lavorare fianco a fianco con il Pd nell'amministrazione di una città e posso dire, per esperienza diretta, che è stata un'esperienza terrificante. Sono solo preoccupati di favorire i consorzi e le cooperative, di spartirsi le poltrone alla faccia dei cittadini. E il mio Movimento, cosa fa? Continua con questa alleanza nefasta nel governo del Paese. Suvvia, ma un po' di autocoscienza quando si fa? Dobbiamo aspettare di sprofondare nei consensi? Abbiamo perso sei milioni di voti e insistiamo ad andare a braccetto con il Pd». Manuela Sangiorgi si è appena tolta la fascia tricolore, non vuole più essere il sindaco di Imola, si è «sentita tradita». È un fiume in piena e spara bordate contro i vertici del Movimento, che «mi hanno lasciata sola, come hanno fatto in tante realtà comunali» e contro «l'assurda politica» del governo con la sinistra, che «ha tradito lo spirito originario dei 5 stelle». La prima cittadina cade dopo meno di un anno e mezzo dalle elezioni del 2018, quando al ballottaggio riuscì a strappare il 55,4% dei voti in una città roccaforte rossa. «Durante la campagna elettorale avevo metà governo qui presente ma il giorno dopo la vittoria erano tutti scomparsi. Avevo bisogno di supporto, di risposte, ma dai vertici del Movimento ho avuto solo il silenzio. Il rischio era di diventare un burattino nelle mani del Pd. Così ho deciso di lasciare». La vittoria dei 5 stelle a Imola aveva avuto un significato simbolico. La sinistra era fortemente radicata sul territorio per la presenza di moltissime grandi cooperative che per anni sono state una forma di finanziamento e un bacino di consenso. Dopo 18 mesi la frana. Ora si attende la nomina di un commissario prefettizio. Come si è arrivati a questo? «Mi sono trovata da sola mentre il Pd, nonostante la sconfitta, continuava a tenere in pugno il territorio tramite la rete dei consorzi e delle coop. Avevo contro i consiglieri del Movimento che non hanno mai digerito la mia leadership, che non si presentavano in consiglio, se ne stavano a casa e io ogni volta temevo di non avere la maggioranza. Ho fatto presente la situazione a Luigi Di Maio con numerose mail ma non mi ha mai risposto. Beppe Grillo è venuto solo una volta e non è passato nemmeno a salutarmi. Forse, a Roma, i vertici del Movimento pensano che amministrare una città sia come gestire un comitato. Non ci sono competenze nell'amministrazione pubblica, manca una struttura politica». Ma mentre lei era sola, il Pd continuava a muoversi in squadra. «Proprio così. Nella questione del Conami ho avuto modo di vedere come agiscono i dem. Nel consorzio, che si occupa di gestire le partecipazioni nella multiservizi Hera, ma anche le farmacie, con la società pubblica Sphera e la società If, attiva nel turismo su Imola e Faenza, ci sono 10 dei 18 Comuni ravennati e Imola ha il 65% delle azioni. Però pur avendo la maggioranza, a causa della modifica dello statuto avvenuta lo scorso mandato, la mia città non può decidere da sola: serve la maggioranza dei 23 sindaci che compongono l'assemblea. Quando ho proposto una rosa di nomi per il nuovo cda mi sono trovata tutti i sindaci del Pd contro. Non solo. Non ho avuto alcun supporto dai vertici nazionali. Eppure Imola è il terzo Comune più grande amministrato dal Movimento. Allora ho capito che ero sola e il Pd ne ha approfittato». In che modo? «Hanno manovrato dentro il Consiglio e creato una situazione da guerra all'ultimo colpo. E con questi dovremmo continuare a governare il Paese?» Me lo dica lei: continuare con Nicola Zingaretti o andare a elezioni? «Meglio il voto che questa farsa. Possibile che nessuno si renda conto che più passa il tempo e più il Pd si impossessa del Movimento, gli lega le mani, gli fa perdere la sua natura originaria. L'esito elettorale in Umbria è stato un avvertimento. Se ci dovesse essere un bis in Emilia Romagna, staccare la spina diventa un passo inevitabile. A meno di non volersi consegnare mani e piedi alla sinistra». Cosa dice la sua base, i cittadini che l'hanno votata? Quale è il sentiment dei militanti 5 stelle a Imola? «Ho ricevuto numerose attestazioni di solidarietà. Chi mi ha votato non capisce più la linea politica dei vertici del Movimento. Mi chiedono: ma come, abbiamo sparato a zero contro il Pd, abbiamo detto mai con il partito di Bibbiano e poi finiamo al governo insieme? Poi per cosa? Per sfornare una manovra che porta il timbro della sinistra, una manovra di tasse. Nessuno capisce. Non si può continuare ad andare a braccetto con un partito che ha dietro certi poteri. Allora o io chinavo la testa, assecondando questa linea politica e facevo parte del sistema o ne uscivo». C'è chi dice che lei ha altri progetti politici. «Io voglio potermi guardare allo specchio la mattina e parlare con chiarezza a quanti hanno creduto in me in questi mesi. Dovrò anche cercarmi un lavoro, dal momento che al momento dell'elezione ho lasciato la mia occupazione».
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Emanuele Orsini e Dario Scannapieco
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