2024-07-16
Da «manna dal cielo» a «fa il martire». Quello sparo ha fatto impazzire i dem
Da sinistra: Corrado Augias, Gianni Cuperlo e Alan Friedman (Ansa)
Secondo i progressisti, il colpevole dell’attentato è proprio Donald Trump. Per Alan Friedman e Corrado Augias ha fatto scena per un pugno di voti, Gianni Riotta ed Ezio Mauro masticano amaro. E lo paragonano a Benito Mussolini, Adolf Hitler, ai boss mafiosi. Gianni Cuperlo spiega che «la gente deve uscire di casa per fermare una destra che distrugge la Costituzione».Certo che anche questo Trump che si fa sparare… Ma come si permette? E poi si rialza pure? Anziché strisciare fino all’auto? O sprofondare sotto terra? Non si vergogna? E con la faccia insanguinata fa pure il gesto del pugno? Poi, udite udite, prende l’aereo, scende dalla scaletta con le sue gambe e invoca Dio: davvero? Osa tanto? Lo avevano sempre detto che era un mascalzone. Ma nessuno pensava che fosse un mascalzone fino a questo punto. Fino al punto di rischiare di morire pur di diventare un eroe. Un martire. E state attenti che, se va avanti così, altro che ferita di striscio, quello è capace di farsi ammazzare davvero, pur di tornare alla Casa Bianca.Che Trump fosse il colpevole dell’attentato a Trump era già palese nelle prime ore successive agli spari in Pennsylvania, tanto che il direttore Maurizio Belpietro l’ha messo prontamente in evidenza nell’edizione di ieri. Ma la lettura dei giornali ci ha felicemente confermato nell’ipotesi. «Ora Donald gioca la carte “martire”», scrive per esempio Alan Friedman, spiegandoci i vari motivi per cui Trump avrebbe fatto di tutto per avere un proiettile a pochi centimetri dal cervello: «Sfrutterà l’accaduto per raccogliere soldi; nei sondaggi i suoi numeri miglioreranno; verosimilmente aumenteranno le probabilità di vittoria». Pare che Ollio Friedman, attento come sempre alle opportunità editoriali, stia già pubblicando anche un piccolo manuale per i futuri candidati alle elezioni: «Come diventare presidenti con due pallottole nel cranio».Del resto, è chiaro: se sparano a un esponente della sinistra, c’è la vittima. Se sparano a un esponente che non è di sinistra, c’è la retorica vittimista. Lo scrive in prima pagina il Domani, aggiungendo che, naturalmente, è la «retorica vittimista che alimenta il ciclo della violenza». Cioè, in pratica: Trump si è fatto sparare per poter fare la vittima, in modo che gli possano sparare ancora. Un genio, in pratica. Come spiega nella pagina accanto, sempre sul Domani, anche Nadia Urbinati: «La violenza come arma politica. Trump e i sacerdoti della rabbia». Un articolo di una pagina intera per dire ciò che si potrebbe riassumere in una riga: è chiaramente colpa di Trump se hanno sparato a Trump.«Manna caduta dal cielo», chiosa Corrado Augias su Repubblica. Proprio così: manna. E in effetti chi è che non desidera un proiettile in fronte? Ditemi voi: non è dunque manna? Un dono dal cielo? Una benedizione? E in effetti c’è gente che se lo augura tutte le mattine, prima di uscire di casa: speriamo oggi che mi sparino addosso, così va tutto bene. Trump, prosegue il sapiente Augias, «quando ha avvertito un doloroso bruciore», ha avuto «una reazione fulminea». Mica ha aspettato due ore prima di dire ahi, macché: se n’è accorto subito. E anche questo dimostra quanto sia demoniaco. «Puro istinto», incalza Augias, come quello di rialzarsi e mostrare il pugno. «Sono cose che si fanno se uno ha dentro di sé una naturale potenza istrionica», ovviamente, e che suscitano inevitabilmente «similitudini con il possibile prototipo (della potenza istrionica, ndr): Benito Mussolini». Dal che si deduce che Trump è stato davvero fortunato perché gli hanno sparato, ma se sarà ancor più fortunato lo appenderanno a testa in giù a piazzale Loreto. Manna doppia caduta dal cielo. Per altro, poi, a pensarci bene, è stato così conveniente farsi sparare che c’è da pensare che Trump abbia organizzato tutto da solo. Lo lascia intendere esplicitamente ancora Alan Friedman: «Ad alcuni il tentato omicidio richiamerà alla mente l’incendio del Reichstag del 1933», scrive. Dunque: Trump è come Hitler. Ha fatto tutto da solo. E ora vuole usare l’attentato «per imporre la sua ascesa verso la dittatura». Il bello è che, subito dopo, Friedman, prendendosela con quelli che ipotizzano che l’attentato sia «istigato da Biden», attacca la «teoria del complotto», i «teorici della cospirazione» e la «strampalata disinformazione». Praticamente, un’autodenuncia.«Donald apparirà un eroe», si dispiace l’ex assistente di Bill Clinton, Sidney Blumenthal intervistato a tutta pagina dal Messaggero. In effetti, per lui Trump ricorda «i boss della mafia in Sicilia». Dunque, perché non sparargli? L’unico dispiacere è che questo attentato «ingigantisce la vittima e rimpicciolisce le sue bestemmie democratiche» e così rischia di far passare «in secondo piano quello che era un dramma politico per l’intero Paese e per l’intero Occidente», come spiega Ezio Mauro su Repubblica. Non siamo certi di aver capito bene, perché la prosa dell’ex direttore non è limpidissima: ma qual sarebbe il «dramma»? Un candidato presidente che viene ferito durante un comizio? O il fatto che questo candidato possa democraticamente vincere le elezioni? Comunque, che nostalgia per quel Trump «palazzinaro a Manhattan», «impresario di casinò mal gestiti», «conduttore tv gradasso»: ora «dal sangue di Butler nasce il nuovo Donald», spiega preoccupato Gianni Riotta sempre su Repubblica. E dal suo tono sembra che in Pennsylvania, più che un attentato, ci sia stata una sessione di cure termali rigenerative.Poi c’è il solito coro di quelli che dicono che bisogna abbassare i toni. E fa specie che quelli che lo dicono più di tutti siano quelli che, fino a ieri, inneggiavano al Fronte nazionale contro l’avanzata del neonazismo in Europa, quelli che proclamavano la nuova Resistenza in Italia contro le camicie nere meloniane, quelli che andavano in Parlamento a vagheggiare una nuova piazzale Loreto. Ma tant’è. Almeno qualcuno è rimasto coerente. Come il mite, mitissimo Gianni Cuperlo che, in una abbondante intervista a Repubblica, spiega che «la gente deve uscire di casa per fermare una destra che distrugge la Costituzione». Ci vuole «un’organizzazione» per impedire che torni l’«autoritarismo» e che il Paese faccia «un salto indietro com’è avvenuto col fascismo». Poi Cuperlo aggiunge una domanda che è quasi un invito alla battaglia: «Non è una ragione sufficiente per lottare?». Come no: una ragione sufficiente per lottare. Che se poi parte una pallottola, pazienza. Purché colpisca qualcuno di destra, però. Perché in questo caso, come dice Augias, non è un dramma. È manna.
Jose Mourinho (Getty Images)